Un incontro tecnico tra speranze e tensioni quello che si è svolto in Thailandia all’inizio di settembre per dare operatività all’Accordo sul clima di Parigi. Ispra era presente nella delegazione italiana che ha partecipato al negoziato. Si guarda ora verso il summit di dicembre, quando si riuniranno a Katowice tutti i 180 paesi firmatari.
I negoziati di Bangkok, che si sono svolti dal 2 al 10 settembre scorso, hanno contribuito a dirimere alcuni dei numerosi problemi tecnici nell’attuazione dell’Accordo sul clima di Parigi. Uno dei principali è definire in che modo i Paesi dovranno raccogliere i dati sul clima e monitorarne l’andamento a livello nazionale. Elemento strategico di primaria importanza, per dare operatività a quanto stabilito dall’Accordo: limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2°C e ridurre le emissioni di gas serra entro il 2030.
Dopo la conferenza di Parigi e la ratifica dell’accordo da parte di 180 paesi su 197 membri della Convenzione delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), si è passati a Bangkok da una fase politica a una più tecnica, per creare gli strumenti con i quali ridurre le emissioni climalteranti e monitorare tale riduzione.
Un primo passo è stata la creazione di un organo tecnico, l’Ad hoc working group on Paris Agreement (APA). La struttura si è concentrata su due aspetti: – la mitigazione, ovvero decidere quali debbano essere gli elementi e gli indicatori contenuti negli impegni di riduzione delle emissioni (NDC) presentati da ciascun paese, nonché le modalità di contabilizzazione degli stessi;
– il tema trasparenza (art. 13 dell’Accordo di Parigi), che è incentrato sul reporting e review delle informazioni relative agli inventari nazionali di gas serra, al supporto finanziario fornito e ricevuto, alle azioni di adattamento intraprese da ciascuno stato. Su quest’ultimo punto, la trasparenza, i negoziati sono stati costruttivi e hanno permesso una profonda revisione del testo presentato prima della conferenza dai co-facilitatori.
Nonostante i buoni progressi ottenuti, sussistono ancora molte divergenze su alcuni punti. Si è discusso, ad esempio, se l’utilizzare le più recenti linee guida Ipcc nella sezione relativa agli inventari delle emissioni di gas serra. Nonostante queste siano al momento obbligatorie per tutti, i Paesi in via sviluppo le ritengono un fardello eccessivo rispetto alle loro capacità e chiedono sia concessa una certa dose di flessibilità nel loro utilizzo. I Paesi sviluppati, tra i quali l’Unione europea e l’Italia, chiedono che le revisioni delle emissioni si applichino con le stesse modalità a tutte le Parti.
Meno positivo è stato il confronto sulla mitigazione, argomento sul quale la discussione si è nei fatti bloccata. Il gruppo dei Like Minded Group of Developing Countries (LMDC), guidato da Cina e India, hanno posto un veto sulla metodologia proposta per la definizione degli impegni di mitigazione nazionali (NDC), chiedendo maggiore flessibilità e condizioni diverse. Contro questa linea i Paesi industrializzati, in particolare Usa e Canada, favorevoli a un sistema di regole comuni e flessibilità, basate sulle diverse capacità e circostanze.
E’ atteso per la metà di ottobre un nuovo documento dei co-facilitatori dell’Ad hoc working group, che recepirà le istanze presentate a Bangkok e costituirà una base di partenza per i negoziati previsti a dicembre alla COP24 di Katowice.
In conclusione, si è trattato di un negoziato abbastanza produttivo, soprattutto per la trasparenza delle azioni, meno per la parte mitigazione. La strada verso un testo definitivo appare in salita. Il punto di scontro fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo è essenzialmente nel fatto che l’Accordo di Parigi stabilisce un unico sistema di regole da applicarsi a tutti gli stati in ciascuna fase del processo: dalla definizione degli impegni di mitigazione, all’analisi delle azioni messe in campo per raggiungere gli impegni, fino alla contabilizzazione finale. Altro nodo ancora irrisolto è la trasparenza sulle emissioni di gas serra, così come sulle misure nazionali adottate per la loro riduzione. Divergenze che il solo confronto tecnico difficilmente sarà in grado di risolvere, come ribadito dalla segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa. Appare quanto mai necessario che un accordo politico, prima ancora che tecnico, aiuti ad accelerare il processo negoziale.
Marina Vitullo, Ispra
(foto IISD)