In un articolo pubblicato su Micron Andrea Rubin auspica una riflessione sulle modalità con cui si comunica la scienza anche in virtù della rilevanza pubblica che lo sviluppo tecnoscientifico ha assunto.
Nell’articolo cita quindi una serie di recenti risultati di ricerche ed approfondimenti sul tema.
(…) “In un contesto sociale ampiamente mediatizzato come quello contemporaneo, la comunicazione della scienza è un ambito ancora troppo spesso percepito in modo ambivalente dai ricercatori e dal pubblico. Infatti, se da un lato scienziati e ricercatori considerano importante comunicare la scienza anche a un pubblico di non esperti, dall’altro il rapporto con i media e con il pubblico è considerato spesso conflittuale e inadeguato. Ai media vengono sovente rivolte principalmente due critiche: fornire scarsa copertura dei temi di scienza e tecnologia e diffondere informazioni imprecise. Verso il pubblico si rivolgono invece accuse di ignoranza o di essere animato da atteggiamenti antiscientisti.
Si tratta di pregiudizi che decenni di studi sul rapporto tra scienza e società hanno ampiamente suggerito di rivedere. Annualmente, infatti, vengono monitorati alcuni indicatori sul rapporto tra scienza e società come, per esempio, il livello di alfabetizzazione scientifica dei cittadini, le opinioni su alcuni temi contingenti relativi a scienza e tecnologia o l’esposizione a contenuti tecnoscientifici nei media.
Proprio sul tema delle fonti d’informazione con cui gli italiani si informano sui temi di scienza e tecnologia, il centro di ricerca indipendente Observa – Science in Society, che rileva da quindici anni la situazione del rapporto tra scienza, tecnologia e società italiana mediante un Osservatorio, ha recentemente effettuato un approfondimento i cui risultati sono confluiti nell’Annuario Scienza Tecnologia Società 2018 (ed. Il Mulino).
Nel 2016, l’indagine condotta dall’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società di Observa, coordinato da Massimiano Bucchi e Barbara Saracino, ha potuto registrare un aumento dell’interesse per i contenuti scientifico-tecnologici presentati da stampa, TV e web.
L’Osservatorio ha anche verificato quanto i cittadini ritengano credibilialcune delle fonti sopracitate. I risultati sembrano premiare, fra tutte, le conferenze pubbliche dei ricercatori ovvero forme di comunicazione diretta tra scienziati e pubblico che le considera tra le fonti degne di maggior fiducia. Mentre sono soprattutto i blog e i profili social degli scienziati a godere di una minor fiducia, tanto che più di un cittadino su quattro li considera poco o per nulla credibili.
(…) un quarto degli italiani ritiene poco o per niente affidabili le notizie su scienza e tecnologia, o medicina o salute presenti sul web e/o sui social. Se incrociati con i dati sociodemografici, l’identikit dell’utente “web scettico” restituisce l’immagine di una persona laureata e con un alto livello di alfabetizzazione scientifica. La scarsa fiducia riposta sulle notizie che circolano sul web e sui social network è frutto soprattutto della convinzione che le cosiddette fake news in questi media siano frequenti: il 75% degli italiani ritiene che la diffusione di notizie false sul web e/o sui social in generale sia molto o abbastanza frequente e che anche le notizie di scienza, tecnologia o medicina e salute non siano esenti da questi meccanismi. Più della metà degli italiani ritiene che, su questi argomenti, circolino notizie poco credibili.
Cosa rende dunque una notizia attendibile e credibile? Gli italiani dichiarano di affidarsi soprattutto alla fonte da cui proviene la notizia. Più del 40% dei cittadini, infatti, risponde in questo modo. È di poco inferiore al 20%, invece, la percentuale di coloro che consultano altre fonti.
(…) In un recente articolo pubblicato sulla rivista il Mulino, Massimiano Bucchi e Giuseppe Veltri ricordano che le recenti iniziative per contrastare la diffusione e il proliferare di notizie false rischia di condurci fuori strada.
L’invenzione di notizie o la diffusione di notizie deformate non è una novità recente. E non è certamente da attribuire unicamente a Internet. Di certo, la portata del fenomeno è mutata in virtù dell’ordine di grandezza con cui ciò avviene o può avvenire. Per quanto riguarda i temi di scienza e tecnologia e/o medicina e salute una cosa deve necessariamente essere considerata: parte del pubblico rimane impermeabile a dati, risultati e posizioni che provengono dal mondo degli esperti.
Non si tratta di una carenza di informazioni come hanno potuto dimostrare oltre trent’anni di studi nell’ambito del cosiddetto Public Understanding of Science, ovvero una diffusa (ancora oggi) concezione della comunicazione della scienza. Public Understanding of Science fu il titolo di un rapporto commissionato nel 1985 dalla Royal Society, a un gruppo di studiosi guidati dal genetista Sir Walter Fred Bodmer. Il rapporto denunciava l’ignoranza che i cittadini avevano rispetto ai temi scientifici. Tuttavia, l’implicita idea di fondo che prevedeva «più comunicazione = più comprensione = più sostegno sociale alla scienza» appare oggi quanto mai infondata. Esso appariva come la pretesa di convertire l’uomo della strada in esperto scientifico.
A questa «visione dominante» della comunicazione pubblica della scienza sono riconducibili almeno due elementi: l’idea che la complessità dei contenuti scientifici necessiti di una mediazione per il grande pubblico e l’idea che il pubblico vada alfabetizzato alla scienza.
Gli studi sulla copertura mediatica dei temi scientifici e tecnologici si sono concentrati, almeno inizialmente, sul pubblico destinatario di tale comunicazione e hanno potuto rilevare che più informazione scientifica non equivale necessariamente a una maggior accettazione acritica di alcuni elementi controversi.
Anzi. In alcuni casi, è stato dimostrato il contrario: i più scettici sull’adozione di alcune decisioni legate ai prodotti e ai risultati della tecnoscienza sono proprio i più informati sui contenuti. Ciò pone anche una serie di dubbi sull’efficacia delle numerose iniziative di debunking che recentemente sono proliferate poiché le questioni tecnoscientifiche, una volta entrate nell’arena pubblica, sono sì connesse ai risultati di scienza e tecnologia, ma vi entrano anche aspetti politici, sociali e culturali.
Gli Ogm ne sono stati (e sono) un valido esempio: lo scetticismo rispetto al loro impiego come alimenti esula dalle loro caratteristiche tecniche e ha maggiormente a che fare con ciò che gli alimenti Ogm rappresentano da un punto di vista industriale, economico e politico.
In altre parole, la valutazione finale su un tema tecnoscientifico da parte dell’opinione pubblica è effettuata soprattutto in relazione alla sfera valoriale.
Cercare di istruire il pubblico, attraverso la trasmissione di contenuti – così come vorrebbe il Public Understanding of Science – non funziona perché si dimentica che al processo comunicativo segue, da parte dei pubblici, una rielaborazione dei contenuti entro un quadro articolato di valori, preferenze, percezioni, rappresentazioni di sé e dei temi in oggetto.
(…) Il caso degli Ogm, appena ricordato, ci permette anche di chiamare in causa un altro aspetto: il ruolo della fiducia nelle istituzioni coinvolte in decisioni sulla tecnoscienza. La perdita di fiducia può facilmente derivare da episodi e scandali pregressi che il pubblico percepisce come rilevanti.
Ritornando in conclusione ai dati, possiamo notare che non ci troviamo di fronte a un’ondata di aperta opposizione alla scienza. Diversi studi hanno infatti confermato che la scienza e la tecnologia godono ancora ampiamente di fiducia e prestigio tra i cittadini: due terzi degli europei ritengono che “scienza e tecnologia rendano la nostra vita più facile, sana e confortevole” e tre quarti ritengono che da scienza e tecnologia vengano rilevanti opportunità per le nuove generazioni.
In Italia, dal 2011 a oggi, il riconoscimento dei benefici della scienza non ha mai coinvolto meno del 73% dell’opinione pubblica, giungendo a superare l’80% nella rilevazione 2017.
I dati raccolti e presentati nell’Annuario Scienza Tecnologia Società 2018, curato da Giuseppe Pellegrini, permettono di comprendere meglio come un’informazione corretta sia senza dubbio importante, ma smentire i contenuti inaffidabili non appare una via sufficiente né decisiva.
Il principale problema non è la necessità di colmare un gap di competenze scientifiche ma la necessità di far conoscere il metodo scientifico con i suoi limiti e le sue potenzialità, e ciò vuol dire conoscere i tempi spesso lunghi della ricerca e riconoscere il ruolo sociale degli esperti.
Alcune vicende di attualità ci ricordano che il rapporto tra scienza e società non è fatto solo di comunicazione di contenuti, ma di creazione e di consolidamento di un rapporto di fiducia tra cittadini ed esperti che oggi attraversa una fase estremamente critica. In società pluraliste come quelle contemporanee non è possibile trascurare le differenti valutazioni avanzate dai diversi gruppi sociali che inevitabilmente le caratterizzano. Se, infine, come ricordato dalla frase divenuta virale “la scienza non è democratica: non si vota certo per alzata di mano sulle leggi della gravitazione”, non possiamo però dimenticare che la discussione sul ruolo della scienza nella società, ossia sulle priorità, le implicazioni, le decisioni che si possono prendere sulla base di risultati o pareri di esperti, quella sì dovrebbe essere senza dubbio democratica.”