Il gestore della mobilità nelle organizzazioni complesse
La figura del Mobility Manager è stata introdotta con il Decreto Interministeriale “Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane” del 27/03/1998 e si applica ad ogni organizzazione (sia essa una azienda o un ente pubblico) con più di 300 dipendenti per “unità locale” o, complessivamente, con oltre 800 dipendenti. Il decreto prevede che le organizzazioni interessate debbano individuare un responsabile della mobilità del personale, definito, per l’appunto, Mobility Manager. Tale figura va nominata non solo nelle aziende, ma anche negli enti pubblici, è usuale individuarla in tutti i casi con l’espressione “Mobility Manager aziendale”.
Gli obiettivi del Decreto avevano riguardato la riduzione del traffico veicolare privato in itinere e delle sue nocive conseguenze, viste soprattutto con una preoccupazione di tipo ambientale: inquinamento atmosferico, consumo di energia ed emissioni di gas serra. Con tali obiettivi, il Mobility Manager aziendale ha l’incarico di ottimizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, cercando di far ridurre il ricorso all’auto privata a favore di soluzioni di trasporto a basso impatto ambientale (principalmente trasporto pubblico, mobilità ciclabile e car pooling). Le analisi condotte sulle abitudini di mobilità dei dipendenti e le azioni individuate per ottenere gli scopi prefissati costituiscono il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL).
In Italia le aziende strutturate che dispongono di un mobility manager (MM) aziendale e che effettivamente lo utilizzano sono di norma aziende grandi, mentre la altre aziende “meno strutturate” necessitano di essere accompagnate nella realizzazione di un PSCL e che allo stesso tempo sono deficitari nei dati e negli elementi per realizzarlo oltre ad aver un numero limitato di dipendenti. Il “Decreto Rilancio” ha invitato fortemente le imprese a dotarsi di questa figura e delle sue funzioni.
Come afferma Giona Compagnoni di Confindustria Emilia sono stati avviati incontri tra aziende ed Amministrazioni per creare un terreno di condivisione sull’argomento dove condividere strategie ed obiettivi non per esigenze di natura “qualificativa” del servizio o del prodotto mediante certificazioni, ma più orientato proprio a dare un supporto operativo ed una quantificazione economica ai vantaggi che possono derivare dalla mobilità sostenibile. L’obiettivo, continua Compagnoni, è quello di accompagnare le imprese meno strutturate all’avvio di un’attivazione di mobilità sostenibile attraverso l’adozione del MM non necessariamente di azienda ma anche di aree che raggruppano realtà produttive di minore entità.
L’adeguamento italiano a seguito dell’emergenza
Nel D.Lgs n. 111 del 2019 detto anche “Decreto Clima” uno dei principi cardine di tutta la strategia di mobilità sostenibile faceva riferimento a tutte le forme di mobilità condivisa accordando un approccio prioritario al Trasporto Pubblico Locale (TPL), dopo lo stato di emergenza il Ministero dell’Ambiente ha dovuto rimodulare la norma riguardante le misure per la mobilità facendo slittare le iniziative previste per il TPL al 2021 ed inserendo contestualmente per l’anno in corso forme di mobilità preferibilmente individuale utilizzando principalmente lo strumento della mobilità leggera sia di proprietà che condivisa.
Come afferma Tullio Berlenghi, occorre fare in modo che le persone sentano meno l’esigenza di possedere l’automobile e soprattutto la seconda automobile. Considerata la rivoluzione degli usi e delle consuetudini a cui è giunta una grossa parte del mondo del lavoro che ora non ha più grandi esigenze di spostamenti nei tragitti casa -lavoro od almeno sembrano rivestire carattere solo residuale, occorre spingere su i nuovi strumenti di mobilità è sull’interoperabilità che questi possono attuare per avviare un’azione efficace di pianificazione tra le amministrazioni ed i mobility manager delle aziende. Una figura questa, continua Berlenghi, la cui attività deve fare rete con gli altri mobilty Manager aziendali per favorire la maggior integrazione e complementarità possibile in modo da far diminuire la pressione sugli spazi che l’enorme numero di auto di proprietà esercita sulla rete viaria dei centri urbani.
Attuare questa “rivoluzione”, commenta il Capo della Segreteria Tecnica del Ministero dell’Ambiente, non sarà semplice perché si scontra con la percezione del singolo di rilevare il problema del congestionamento del traffico solo in capo agli altri, non percependo che lui medesimo è parte del problema, che in Italia si è particolarmente restii a rinunciare all’auto di proprietà, che già oggi, in generale, la popolazione italiana ha una bassa propensione nel seguire le regole (parcheggi disabili, per auto elettriche con ricarica, seconda e terza fila in divieto di sosta) e questo può rappresentare un problema se non vengono accordate le priorità alle corsie dedicate ed agli spazi per le fermate di salita e discesa dei passeggeri. A tutto questo si sommano gli interessi delle categorie economiche che non vedono di buon occhio il cambio della destinazione d’uso degli spazi prospicienti le attività tradizionalmente dedicati ai parcheggi.
Testo di Sergio Lavacchini
Per approfondimenti: https://www.lesscars.it/