Direttore generale dell’Ispra dal 2017, Alessandro Bratti conosce bene la realtà del Sistema Snpa. Entomologo di formazione e ricercatore universitario, tra il 2006 e il 2008 è stato direttore generale dell’Arpa Emilia Romagna. A questo incarico sono seguiti 10 anni di impegno politico in Parlamento, durante i quali ha seguito in modo particolare i temi ambientali e da vicino la genesi della legge istitutiva di Snpa. Dal 2014 fino alla nomina in Ispra – per la quale si è dimesso dalla carica di deputato – è stato presidente della Commissione Bicamerale sul traffico illecito dei rifiuti (Commissione ecomafie). La “Commissione Bratti” ha lavorato su numerosi filoni di inchiesta e approfondito casi irrisolti di rilevanza nazionale: dalla vicende delle navi a perdere (connessa all’omicidio di Ilaria Alpi e del capitano Natale De Grazia) alle bonifiche dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN), dal mercato del riciclo ai traffici transfrontalieri di rifiuti. Gli anni trascorsi a Roma in Parlamento e alla guida dell’Ispra non hanno scalfito l’amore per la sua città natale Ferrara, dove ha ricoperto incarichi politici alla guida del Comune dal 1990 al 2006. All’ambiente e alla politica unisce anche una grande passione per lo sport: ha giocato a pallavolo per oltre 20 anni ai massimi livelli, partecipando ai campionati europei juniores in Francia nel 1977 e in nazionale under 23 fino al 1980. E’ stato campione italiano universitario con il Cus Bologna nel 1985 e 1987.
A lui abbiamo rivolto le domande che AmbienteInforma ha già presentato ad alcuni direttori delle Agenzie. Ne emerge non solo una visione nazionale, maturata in ambito professionale e politico, ma anche alcune proposte concrete per migliorare la governance e l’autonomia del Sistema.
Il Paese sta affrontando una crisi sanitaria, sociale ed economica con pochi precedenti, ma al contempo sta lavorando per uscirne e costruire una prospettiva di ripartenza. In quale modo SNPA e gli enti che lo compongono può dare il proprio contributo perché questa ripartenza sia nel segno dell’ambiente?
Quanto a contenuti e professionalità, il Sistema credo sia centrale in un ragionamento che metta al centro l’ambiente come leva per uscire dalla crisi. Del resto, già prima della pandemia e poi riconfermandolo dopo, la Commissione europea aveva approvato il Green Deal e nelle linee strategiche del Recovery Fund più di un terzo delle risorse è dedicato alla transizione ecologica. Ciò significa dare centralità dell’ambiente nelle politiche di sviluppo dell’Unione europea. Se a questo si aggiungono altre strategie approvate recentemente a livello comunitario, come quella sulla biodiversità, credo che chi lavora sui temi ambientali a 360° ed è impegnato sul territorio, come Ispra e le Arpa, dovrebbe essere un interlocutore fondamentale per il Governo.
Cosa che oggi non è ancora una realtà. Ciò denota da una lato ancora poca conoscenza da parte dei decisori politici dell’attività svolta dal Sistema, dall’altro come Snpa non siamo riusciti ancora ad affermarci e farci riconoscere quali interlocutori strategici in un disegno di questo genere. Le Agenzie sono ancora viste spesso come una direzione della Regione e per Ispra, come anche per gli enti di ricerca nazionali, non c’è stato un coinvolgimento se non marginale nelle proposte progettuali che sono in corso.
Devo dire, a nostro parziale sollievo, che anche negli altri Paesi non é stata data una forte attenzione alle strutture simili al nostro Sistema per quel che riguarda il Recovery fund, tranne qualche raro caso. E’ quanto emerge da una ricerca promossa dall’EPA Network, il sistema che ruota intorno all’Agenzia europea. Da un punto di vista culturale, c’è da lavorare anche a livello europeo.
Se la ripartenza del Paese deve essere nel segno dell’ambiente, quali potrebbero essere i problemi che ancora impediscono il consolidamento di un forte Sistema nazionale di protezione ambientale, da affrontare e risolvere una volta per tutte?
Lo schema che abbiamo realizzato attraverso l’approvazione della legge 132/2016 è abbastanza unico a livello europeo. Aldilà di paesi più piccoli come la Svizzera, la Slovacchia o l’Austria, dove c’è un’unica agenzia nazionale, in quelli più grandi come l’Italia non esiste un Sistema come il nostro.
In Italia si è sentita l’esigenza di creare livelli essenziali omogenei di tutela ambientale in tutto il Paese, attraverso una “federazione tecnica” più forte. E’ stata una scommessa. Non che prima non esistesse una collaborazione, ma il Sistema a rete si è consolidato con la legge 132.
Una norma che, come molte, manifesta i suoi limiti nell’applicazione. Che a quattro anni dall’approvazione non sia uscito un solo decreto attuativo lo dimostra. Questa difficoltà può essere ascritta sia ad una certa lentezza da parte del ministero competente, sia alla scelta da parte del legislatore di emanare decreti attuativi attraverso DPCM o DPR, che si è dimostrata un’opzione assolutamente infelice. Bisognava probabilmente trovare delle forme più snelle, perché questi atti normativi sono molto complessi e richiedono confronti continui da parte dei vari organi dello Stato.
C’è poi un problema di risorse, che non definirei solo economiche. Penso alla capacità di introdurre figure nuove nel Sistema, con giovani tra i 25 e i 30 anni che possano apportare contributi di freschezza. Oggi l’età media in Snpa è abbastanza alta. Dovremmo lavorare per togliere i vincoli che impediscono l’assunzione di nuovo personale.
Esiste anche una questione di natura regolamentare. Le Agenzie hanno un contratto di lavoro associato alla sanità, che ritengo sia un bene, ma le professioni che svolgiamo non sono equiparabili a quelle del comparto sanitario. Certo, formulare oggi la richiesta di un contratto a parte cadrebbe nel vuoto. Sicuramente va fatta una battaglia perché all’interno del comparto sanità si riconosca un ruolo particolare al Sistema.
Se questo pacchetto di iniziative andasse a buon fine – decreti attuativi, risorse e rimozione dei vincoli nell’assunzione di nuovo personale, modifiche contrattuali e soprattutto il Dpcm sui LEPTA – avremmo fatto un grossissimo passo in avanti.
Stiamo attenti, però, a non sottovalutare il ruolo che il Sistema ha acquisito nel contesto nazionale. Talvolta ci si dimentica da dove siamo partiti. Nelle prima delle due legislature che ho fatto in Parlamento, tra 2008 e 2013, ricordo che le Agenzie non si sapeva neanche cosa fossero. La stessa Apat era un oggetto misterioso e altrettanto per Ispra. Oggi c’è una situazione molto diversa. Il contesto è cambiato, il Sistema si è affermato, c’è più attenzione da parte del decisore politico verso queste professionalità preziose che svolgono un lavoro fondamentale sul territorio.
Sulla base di condizioni di rinnovata forza e autonomia il SNPA può svolgere un ruolo importante nello scenario che si sta profilando in Italia e in Europa?
Autorevolezza, autonomia e qualità si conquistano sul campo. C’è da dire che Ispra, per quanto debba seguire le direttive del ministero vigilante, ha una forte autonomia data dalla norma che regolamenta le attività̀ degli enti pubblici di ricerca (decreto 218/2016).
Non altrettanto si può dire per le Agenzie, che sono ancora considerate enti strumentali delle Regioni. Del resto la loro attività è finanziata dalle Regioni e dal Fondo sanitario nazionale. Tutto ciò non dico condizioni, ma sicuramente rende la situazione complicata. Quella dell’autonomia è una battaglia che nel tempo bisognerà in qualche modo fare. Se si vuole più indipendenza, è necessario che dal punto di visto giuridico questo riconoscimento ci sia. Se ci fosse un certo grado di finanziamento che venisse anche dal livello nazionale, questo potrebbe dare alle Agenzie un’autonomia maggiore rispetto alle Regioni stesse e farle più sentire integrate nel Sistema.
C’è una sorta di contraddizione interna di non facile soluzione, che potrebbe essere in parte superata da un’unitarietà nazionale di carattere gestionale e di governance. Elemento che oggi non vedo presente nel dibattito politico e non credo che le Regioni, su questo indirizzo, sarebbero d’accordo. Ho vissuto la genesi della legge 132. Al massimo si è riusciti a sviluppare una Rete dal punto di visto tecnico, per lavorare ai Lepta e possibilmente mantenerli.
Un Sistema ambientale nazionale dovrebbe essere a mio parere un’autority, con un modello simile a quello anglosassone.
Come lei ha detto, ha vissuto da vicino in Parlamento la genesi della legge 132. Quali miglioramenti osserva oggi rispetto al quadro iniziale e quali criticità vede ancora aperte?
Di positivo c’è che si è rafforzato il ruolo del Sistema. Qualche anno fa era impensabile che le Agenzie si confrontassero direttamente con il Ministro, ma anche la stessa Ispra. Dobbiamo dirlo: l’attenzione che oggi c’è verso il Sistema non c’era mai stata nel passato. Sono stato direttore dell’Arpa Emilia Romagna e non ricordo questo ruolo strategico. Bene, tutto questo è merito della legge e delle diverse sensibilità ambientali nel Paese.
Certo, la 132 rimane la grande incompiuta. Gli elementi di debolezza, che in parte si paventavano, sono legati al non riconoscimento giuridico di Snpa e nella governance debole. Ci vuole molto tempo per prendere le decisioni, talvolta le procedure sono elefantiache. Ci sarebbe anche da vincere un senso di diffidenza che pervade il Sistema.
Alcuni miglioramenti sono stati realizzati. Ritengo che si potrebbe mutuare qualcosa dall’Agenzia europea per rendere il tutto più operativo. La EEA ha un board di 39 paesi e un Bureau di 10 che ha potere esecutivo. Snpa è un Sistema in cui si è privilegiata la partecipazione all’efficienza. Con un piccolo sforzo si potrebbero avere l’uno e l’altro.
(a cura di Anna Rita Pescetelli)