In termini tecnici si chiamano “molestie olfattive”, comunemente parliamo di “puzze” o odori molesti. Un tema che se talvolta può strappare un sorriso, nei fatti rappresenta uno dei problemi che più allarmano i cittadini e richiedono l’intervento delle Agenzie per l’ambiente: odori improvvisi di cui non si conosce l’origine in una zona della città, maleodoranze persistenti in un condominio, esalazioni di cui si teme la tossicità. Non a caso diverse Arpa hanno attivato applicativi specifici per la segnalazione di odori. Nei primi cinque mesi del 2022, ad esempio, Arpa Friuli Venezia Giulia ha ricevuto sull’applicativo per la segnalazione degli odori oltre 400 segnalazioni. In Lombardia le molestie olfattive rappresentano il 25% delle segnalazioni arrivate all’Arpa, seconde solo a quelle di presunto inquinamento di acque, suoli e aria. Stessa situazione in Toscana, dove gli odori sono al secondo posto nella classifica delle richieste ricevute dall’Agenzia.
Gli odori sono un problema serio e, come per tutte le matrici ambientali, per monitorarlo è necessario misurarlo. Come fare? Un metodo largamente consolidato nel mondo delle Agenzie è quello di utilizzare “esaminatori di odori” all’interno dei laboratori di olfattometria. Obiettivo è valutare l’impatto che numerose categorie di impianti e attività possono avere sul territorio, in termini di percezione di disagi olfattivi da parte della popolazione. Di recente questa tecnica ha suscitato la curiosità dei media, eppure è un tema sempre più rilevante nell’ambito dei controlli ambientali.
Ne abbiamo parlato con Magda Brattoli (Arpa Puglia), coordinatrice della rete tematica “Odori” del Snpa.
Perché si fa ricorso a collaboratori chiamati a esprimere la propria valutazione sulle concentrazioni di odore?
«La determinazione della concentrazione di odore è regolata da una norma tecnica, la UNI EN 13725, introdotta a livello europeo nel 2003 e recepita nel nostro Paese nel 2004. La norma descrive un metodo sensoriale, chiamato olfattometria dinamica, che prevede l’impiego di un panel di esaminatori, selezionati in accordo con precisi criteri quantitativi. L’adozione di una tecnica di riferimento sensoriale si deve al riconoscimento dell’elevata sensibilità del sistema olfattivo umano, in grado di rispondere a concentrazioni di frazioni di parti per miliardo, spesso pari o superiore alla sensibilità delle tecniche analitiche attualmente disponibili. Inoltre, il metodo risulta più adeguato per una valutazione complessiva dell’intera miscela odorigena perché l’unica correlabile con la percezione umana e quindi con i suoi effetti in termini di disturbo».
A questo scopo non si possono utilizzare “nasi elettronici”?
«I nasi elettronici, oggi chiamati più propriamente IOMS (InstrumentalOdourMonitoring Systems), non sono in grado di sostituire il metodo di riferimento. Nella loro applicazione richiedono, anzi, di essere “addestrati” con i valori di concentrazione di odore determinati con olfattometria dinamica. Questi dispositivi si rivelano utili per le misurazioni in continuo e per la possibilità di rilevare variazioni significative nel tempo. Sono strumenti che impiegano sensori che rispondono in maniera più o meno specifica a diverse classi di sostanze, fornendo segnali che necessitano, però, di un complesso sistema di elaborazione dei dati e di un adeguato trattamento statistico. Pertanto, pur cercando di replicare strumentalmente il sistema olfattivo umano, non possono di fatto sostituirlo.».
Come lavorano i panel di esaminatori di odori?
«I panelist operano in laboratorio. I campioni prelevati in campo, in genere presso le fonti di emissione, sono diluiti dallo strumento, chiamato olfattometro, secondo una serie di fattori di diluzione e, di volta in volta, somministrati agli esaminatori che devono segnalare la percezione o meno di odore. Le risposte del panel si traducono poi in un valore numerico che definisce la concentrazione di odore, espressa in unità odorimetriche per metro cubo. La somministrazione dei campioni odorigeni al panel avviene per un intervallo di tempo molto limitato, dell’ordine di pochi secondi. È un metodo standardizzato, ormai ampiamente consolidato, l’unico finora disponibile per quantificare gli odori».
Per collaborare con i laboratori di olfattometria occorre essere dotati di un olfatto “super”?
«I panelist vengono selezionati secondo una procedura definita dalla norma tecnica: ai candidati è somministrato un campione contenente il gas di riferimento, l’n-butanolo, e viene registrata la risposta in termini di soglia olfattiva. La selezione ha lo scopo di individuare un panel che sia rappresentativo della popolazione generale e che abbia una soglia di percezione definita dalla norma. Pertanto, gli esaminatori di odori non devono essere né troppo sensibili né troppo poco sensibili, perché devono essere in grado di fornire una misura oggettiva e quanto più rappresentativa delle caratteristiche del campione.».
Si tratta di un metodo di controllo nuovo?
«È una metodica utilizzata in Italia da quasi venti anni, da numerosi laboratori, privati, universitari e anche nell’ambito degli enti di controllo. In seno al Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, si segnalano ad esempio le esperienze delle Agenzie ambientali di Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia. Le Arpa Campania e Friuli Venezia Giulia stanno allestendo un proprio laboratorio di olfattometria e in passato esperienze simili sono state condotte in Lombardia e Veneto».
I test olfattometrici sono riconosciuti, oltre che a livello tecnico, anche nel nostro ordinamento giuridico?
«Il riconoscimento dell’odore come parametro ambientale da monitorare ha portato alla recente introduzione, nel decreto legislativo 152/06, dell’articolo 272-bis. Questa norma concede alle Regioni e alle Province autonome la possibilità di introdurre nella propria legislazione misure di prevenzione e limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti, nonché di fissare limiti di concentrazione di odore nelle emissioni in atmosfera. Vincoli di questo tipo richiedono chiaramente un’attività di controllo volta alla verifica del rispetto dei limiti prescritti, che non può prescindere dall’applicazione di una metodologia consolidata di riferimento. Avere una norma tecnica definita per la misura di odori consente al Snpa di fornire supporto alle autorità competenti per il contrasto al fenomeno delle molestie olfattive, un aspetto non trascurabile dato che si tratta di un problema particolarmente sentito in alcuni territori».
(a cura di Francesca Lombardi e Luigi Mosca)
Buongiorno,
pur condividendo larga parte dell’intervento della d.ssa Brattoli, dissento per quanto riguarda l’impiego dei nasi elettronici (o IOMS come definiti). Proprio per i motivi che la stessa d.ssa Brattoli espone sul punto specifico, un adeguato campionamento delle potenziali e diverse fonti odorigene sottoposto a detto strumento ed una corretta analisi statistica, oggi eseguita con modelli computerizzati collaudati, offre un riscontro qualitativo ed oggettivo del problema anche con una prima indivduazione chimica delle componenti che generano l’odore. Inoltre il naso elettronico elimina potenziali problemi sanitari di esposizione degli operatori a molecole nocive. Il naso elettronico inoltre offre un monitoraggio continuo e protratto nel tempo con costi ultracompetitivi. Questa è la via da percorrere in futuro, raffinando sempre più le strategie di rilevamento, per creare un moderno sistema di indagine di questi problemi.
buongiorno,
visto il commento del sign. Castiglioni, mi permetto di chiedere se l’intervento con “naso elettronico” puo essere richiesto anche per odori e fumi concentrati provenienti da canne fumarie basse (primo piano) di 5 ristoranti in centro Milano?
sarebbe interessante sapere la risposta,
grazie,
roberta vannini,siena
Consigliamo di rivolgersi direttamente ad Arpa Lombardia (https://www.arpalombardia.it/)