Anche se il Mediterraneo e l’Italia stanno attraversando un inizio di autunno dal sapore tardo primaverile, negli ultimi giorni, in Europa e in particolare sulle isole Britanniche, ha tenuto banco il passaggio dell’uragano Ophelia, nato come depressione tropicale il 9 ottobre scorso sulle miti acque dell’Atlantico orientale, ad ovest delle coste nord occidentali Africane.
Tempeste tropicali di questo tipo, solitamente tendono a dirigersi nell’area dei Caraibi, seguendo il flusso costante degli alisei. In questo caso, invece Ophelia, ha assunto una traiettoria particolare. La tempesta si è gradualmente intensificata fino ad assumere le caratteristiche di uragano secondo la scala Saffir-Simpson (composta da 5 categorie, la scala misura l’intensità degli uragani in funzione delle velocità dei venti, fornendo una misura empirica dei danni che possono essere provocati dallo scatenarsi di un ciclone).
In una prima fase si è lentamente spostata in direzione nord-est attraverso l’oceano Atlantico, e martedì 10 ottobre è diventata un uragano di categoria 2 per poi intensificarsi ulteriormente fino a sabato 14 ottobre, quando, è stato classificato di categoria 3. Secondo i meteorologi della Colorado State University, mai un uragano di tale intensità si era spinto così ad est. A tal proposito, per rendere meglio l’idea, basti pensare che persino il modello globale americano del National Hurricane Center era sprovvisto di una griglia di calcolo per la previsione dell’intensità dei venti che arrivasse a coprire completamente le isole Britanniche.
La posizione in cui si è formata e il suo percorso, hanno reso Ophelia particolarmente intensa, nonostante abbia viaggiato a latitudini più settentrionali rispetto a quelle interessate normalmente dagli uragani. La presenza di una anomalia positiva della temperatura delle acque superficiali Atlantiche e la contemporanea assenza di venti intensi nei livelli medio-alti della troposfera hanno creato condizioni favorevoli per l’intensificazione della tempesta. L’uragano ha colpito le coste meridionali Irlandesi con venti tra i 140-150 km/h con raffiche fino a 190 km/h.
La pressione al suolo ha raggiunto valori molto bassi in prossimità della costa sud-occidentale Irlandese (969 hPa) favorendo la formazione di un gradiente notevole e del classico fenomeno dello storm surge[1]. Stando a quanto riferito dai principali mass media, purtroppo 3 persone hanno perso la vita e 360 mila sono i cittadini rimasti senza energia elettrica in Irlanda.
Non avranno la forza, la grandezza e tanto meno la potenza devastatrice degli uragani alle latitudini tropicali oceaniche, ma anche sul nostro mar Mediterraneo si possono formare delle figure cicloniche con caratteristiche equiparabili a quelle dei cicloni tropicali. Si tratta di eventi comunque rari noti attraverso l’acronimo TLC, acronimo di Tropical Like Cyclones, ovvero cicloni simili a quelli tropicali.
Questi fenomeni sono ancora attualmente oggetto di studi e approfondimenti, tanto che il termine TLC si è iniziato ad usare solo verso la fine degli anni ’90. Più recentemente, a partire dall’inizio degli anni 2000, è stata coniata la definizione di Medicanes, che racchiude due parole per descrivere la forma più rara e intensa dei tipi di TLC possibili nel Mediterraneo, ovvero i Mediterranean Hurricanes (gli uragani mediterranei).
Anche per i Medicanes si fa ricorso a una scala simile alla più famosa scala Saffir-Simpson la quale, in base alla velocità dei venti medi sostenuti e ai valori di pressione del sistema centrale, li suddivide a sua volta in:
– Mediterranean Tropical Depression quando la velocità del vento medio sostenuto è inferiore ai 63 km/h
– Mediterranean Tropical Storm quando il vento si aggira fra i 64 e 111 km/h
– Medicane o Mediterranean Hurricane quando il vento medio supera la soglia dei 111 km/h.
Tra i Medicanes più recenti figura Qendresa, che tra il 7 e il 9 novembre 2014 è arrivato a sfiorare la Sicilia, con effetti anche su Lampedusa e Malta.
Antonio Iengo, previsore del Centro funzionale Arpal
[1] Lo Storm Surge è un anomalo innalzamento dell’acqua causato dai venti e della bassa pressione di una tempesta. Ad un abbassamento repentino della pressione atmosferica corrisponde un innalzamento del livello del mare. Lo Storm Surge, detto anche onda di tempesta, interessa principalmente le zone costiere, ma può penetrare anche sulle zone più interne
Fonti