Sempre più istanze provenienti dalla società civile e dai territori chiedono che la ricerca epidemiologica ambientale contribuisca a individuare le priorità per l’attività di prevenzione e per il miglioramento delle condizioni ambientali e sanitarie. Le Regioni si comportano in modo diversificato nell’attribuzione delle specifiche competenze e in più casi riconoscono l’epidemiologia ambientale tra le funzioni delle Agenzie ambientali.
La questione ambientale ha assunto, negli ultimi decenni, un ruolo sempre più centrale nell’interesse del singolo e della collettività così come delle istituzioni e, non da ultimo, dell’intero sistema mediatico.
Oltre a questo è però altrettanto evidente, da alcuni anni a questa parte e verosimilmente a causa del succedersi di situazioni di crisi di particolare rilevanza (si pensi ad esempio, per l’Italia, al ben noto “caso ILVA”), un aumento della sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti delle tematiche di salute legate a inquinamento ambientale; la nascita ed il progressivo moltiplicarsi ed affermarsi nella società civile di associazioni e comitati a difesa della salute pubblica sono la testimonianza concreta di quanto le istanze in questo senso chiedano sempre più di essere non solo ascoltate, ma coinvolte in una fattiva partecipazione alle scelte in materia ambientale.
In questo quadro, il recente esempio fornito dal Consiglio Regionale della Lombardia offre al Sistema delle Agenzie Ambientali l’occasione di una doverosa riflessione, specie nel momento in cui, a livello nazionale e dopo l’entrata in vigore della legge 132/2016, si sta andando velocemente verso l’approvazione dei LEPTA (Livelli essenziali di prestazioni tecniche ambientali).
Con la Deliberazione n. X/1657 del 21/11/2017, infatti, la Lombardia ha approvato un ordine del giorno “[…] concernente l’inserimento della ricerca epidemiologica ambientale tra le attività di ARPA” in cui, fra le altre cose, si legge che – in ragione delle sempre più frequenti segnalazioni di possibili aumenti di incidenza di malattie in aree caratterizzate dalla presenza di sorgenti inquinanti che generano preoccupazione – “è necessario realizzare ricerche multidisciplinari coinvolgendo esperti di diversi settori” e che pertanto “la ricerca di epidemiologia ambientale si presta (…) a essere una delle risposte alle preoccupazioni pubbliche sulle conseguenze di pressioni ambientali rilevanti”.
Gli studi di epidemiologia ambientale – continua il testo del documento – contribuiscono infatti a individuare le priorità per attività di prevenzione e per il miglioramento delle condizioni ambientali e sanitarie, così come dimostrato dalle esperienze già consolidate nelle ARPA di Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Piemonte dove la ricerca epidemiologica ambientale si occupa da tempo di studiare le correlazioni tra l’inquinamento delle matrici e i danni sanitari.
Accogliendo istanze espressamente avanzate dal territorio, il Consiglio Regionale lombardo conclude impegnando il Presidente della Giunta e la Giunta regionale “a far sì che tra le funzioni, le attività e i compiti di ARPA Lombardia rientri quella di ricerca epidemiologica ambientale”.
Un commento di Mauro Mariottini, Direttore del Servizio di Epidemiologia Ambientale di ARPAM e dell’Osservatorio Epidemiologico Ambientale della Regione Marche, intende riaprire il dibattito su tale funzione alle soglie della definizione dei LEPTA che il SNPA sarà chiamato a garantire sull’intero territorio nazionale.
Forse, a questo punto, l’intero SNPA potrebbe interrogarsi seriamente in merito alle competenze in campo di epidemiologia ambientale delle ARPA ed in generale sull’integrazione ambiente e salute, aprendosi alle legittime richieste che sempre più provengono dalla società civile e dalle stesse istituzioni pubbliche di governo dei territori.
Passare sotto silenzio, nella definizione dei LEPTA, esperienze sul campo di lunga durata e scelte legislative regionali già attuate o in procinto di attuazione (come nel caso della Lombardia), evitando quanto meno di aprire alla possibilità di consentire alle regioni di operare scelte autonome in merito alla funzione di epidemiologia ambientale nelle ARPA sulla base delle richieste locali, potrebbe rivelarsi insoddisfacente se non dannoso per le necessità delle comunità ed un’altra occasione persa per tutto il SNPA.
Riflessioni importanti, ma a fianco alla riflessione sulla collocazione della epidemiologia ambientale all’interno del SNPA, un bilancio su come è andata la funzione laddove era prevista è attiva (ormai da più di 15 anni) sarebbe necessario. Un bilancio oggettivo, legato alla possibilità di esercitare la funzione di sorveglianza, supportando attività di prevenzione, indirizzando i controlli…il bilancio andrebbe valutato Regione per Regione, la eterogeneità è alta…..grazie
L’epidemiologia ambientale è materia di tipo interdisciplinare, che, sulla base della finalità propria, dovrebbe essere collocata all’interno del SSN; per condurre studi di epidemiologia ambientale servono molti dati sanitari e ambientali, competenze mediche, tossicologiche, ambientali, statistiche. Dentro le ARPA? Forse sarebbe meglio ragionare su una struttura di progetto, collocata dentro il SSN, a livello regionale per poter fare massa critica, a cui il SNPA a livello regionale fornisca i dati ambientali utili alla correlazione con quelli sanitari. Non serve un approccio di potere, ma un approccio funzionale, multidisciplinare, tecnico e organizzativo di raccolta, validazione, elaborazione di dati sanitari e ambientali.
concordo: non serve un approccio di potere e la disciplina epidemiologia ambientale è sicuramente più affine alla disciplina epidemiologia che non ai controlli e monitoraggi ambientali (importantissimi e di ottima qualità, ma disponibili o implementabili anche stando nel SSN).
non serve un approccio basato sulle persone che dovrebbero occuparsi di epidemiologia ma un approccio basato sulla funzione che è richiesta, Regione per Regione, valutando peculiarità, risorse, possibilità di potenziare quanto di buono esiste
Non di tratta di appropriarsi di una competenza ma di svolgerla effettivamente con la indispensabile integrazione e multidisciplinarietà tra ambiente e salute. Attualmente si sta sempre più divaricando il rapporto tra le strutture deputate alla tutela dell’ambiente e della salute e con i lepta proposti si arriverà a giustificare la totale compartimentalizzazione e chiusura dei due sistemi. L’epidemiologia ambientale è quasi dappertutto competenza sanitaria ma chi realmente e compiutamente la svolge?
In alcune esperienze regionali il contenitore ARPA ha dato buoni risultati e tali esperienze devono oggi essere accentuate/superate con la formalizzazione di rapporti di integrazione spinta con il SSR. Nelle Marche si è tentato di proporre anche la costituzione di una Agenzia regionale con competenze sia ambientali che sanitarie (una fusione riveduta tra l’ARS e l’ARPAM).
Per superare le problematiche legate alle competenze si potrebbe anche prevedere che le ARPA, qualora svolgano funzioni di epidemiologia ambientale, per questa specifica funzione, possano essere ricomprese (anche se parzialmente) nel SSR.
Credo che sia sbagliato lasciare al solo SSN questa materia.
Inoltre, per una corretta valutazione del rapporto Ambiente / Salute, accanto a tecniche, strumenti e studi di epidemiologia ambientale, bisogna integrare quelle più utili in termini di capacità predittive, ovvero quelle di tossicologia e di valutazione del rischio.
Lo dicono alcune esperienze più o meno recenti (Emilia, FVG…).
Il ragionamento è stato impostato a mio avviso in maniera molto corretta in un convegno di alcuni mesi fa a Bologna.
Bisogna riprendere a lavorare da lì.
Non è la collocazione delle competenze che crea le effettive capacità, anche se di certo aiuta nel processo di consolidamento di una attività.
In Emilia-Romagna l’integrazione tra competenze ambientali e sanitarie è ricercata e applicata, anche affrontando oggettive difficoltà, da almeno una decina di anni, con risultati che sicuramente non sarebbero stati ottenuti con atteggiamenti di chiusura o autoreferenziali. Il ruolo e la volontà di Arpae nel seguire questa strada è stato fondamentale.
Nella nuova definizione dell’Agenzia, Arpae ha mantenuto la parola “prevenzione” nella declinazione del nome, questo non può non essere visto come segno di continuità e sviluppo di attività che hanno la sanità come partner naturale, e tra le quali sicuramente rientra l’epidemiologia ambientale. Un passo ulteriore dell’Agenzia ha portato ad avvicinare le competenze di epidemiologia, tossicologia, cancerogenesi e mutagenesi, nell’ottica di offrire un migliore contributo (di servizio e di ricerca) per trattare il rapporto ambiente-salute con il massimo della competenza possibile, così come richiede un tema così complesso e multidisciplinare.
Rimangono ancora strada da fare e difficoltà da affrontare. Il passo del consolidamento istituzionale di questa attività nelle agenzie può rappresentare la quadratura del cerchio, anche per i percorsi professionali delle persone che da tempo si sono impegnate e hanno scommesso su questa tematica; in questo senso auspico che l’esempio della Lombardia serva da traino, con le giuste declinazioni che tengano conto delle peculiarità e opportunità che si presentano in ciascuna regione.
In generale tutti i PRP hanno recepito le linee concettuali ispiratrici della macroarea 2.8 Ridurre le esposizioni ambientali potenzialmente dannose per la salute.
Per rafforzare la governance di sistema a livello regionale e facilitare l’attuazione dei macro-obiettivi della pianificazione nazionale riporto il caso della regione Molise che ha scelto contrariamente a quanto sta avvenendo in altre regioni di iniziare a strutturare l’integrazione tra le attività sanitarie e ambientali partendo dai dettami del PNP 2014/18
Come primo atto il Direttore Generale per la Salute con determinazione n. 224 del 14 novembre 2016 ha demandato al Coordinatore operativo del Piano della Prevenzione (PRP) del Molise l’individuazione dei responsabili scientifici delle specifiche azioni del PRP 2014-2018, nonché ogni ulteriore provvedimento di natura organizzativa ritenuto necessario/opportuno per la gestione delle attività del Piano ritenendo , nell’ottica dei principi di efficienza e efficacia dell’azione amministrativa che l’individuazione come responsabili scientifici delle singole azioni di PRP 2014-2018 avvenisse prioritariamente tra coloro che hanno contribuito alla stesura del piano operativo regionale ed hanno partecipato alla fase di interlocuzione con il Ministero della Salute.
Pertanto, ai sensi Determinazione Dirigenziale del Servizio regionale della Prevenzione e Sicurezza Alimentare n. 855 del 6 marzo 2016 l’ARPA Molise è stata individuata quale Referente scientifico per le attività di cui al Programma IX” SALUTE E AMBIENTE” del PRP 2014-2018,
A tal fine in data 20 marzo 2017, è stata sottoscritta tra il Rappresentante Legale dell’ARPA Molise ed il Dirigente del Servizio Prevenzione, e Sicurezza Alimentare della Regione Molise una convenzione che disciplina i rapporti tra i due Enti volti alla realizzazione delle attività di supporto alle politiche regionali integrate ambientali e sanitarie nonché quelle esecutive finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di cui alla Macro 8 del Programma IX e le relative modalità
Questa scelta politica ha imposto ad arpa Molise per lo svolgimento effettivo delle attività previste dal PRP di iniziare a dotarsi con i fondi messi a disposizione del PRP di ulteriori competenze professionali oltre quelle ambientali e medica con contratto SSN ( tossicologiche modellistica etc ) per lo svolgimento di tutte le attività tecnico-professionali finalizzate all’attuazione dell’azione della rete “salute e ambiente “ rientranti nella macro 8 del programma IX del piano regionale della prevenzione 2014/2018.
I casi strani aumentano …oltre alla regione Lombardia anche il Molise ritiene di affidare ad arpa in particolare per l’interdisciplinarietà della materia il coordinamento organizzativo e tecnico dell’epidemiologia ambientale.
Forse si dovrebbe parlare di “ambiente IN salute” laddove si lavora per conservare un ambiente in salute o per ripristinarlo. A mio parere questo assomiglia al compito delle ARPA.
E parlare di “salute dell’uomo e ambiente” dove il focus sono le persone, la loro salute e le azioni a loro tutela. Tipicamente valutazioni e azioni del SSN.
sul caso in dibattito, per quello che conosco direttamente:
per l’accesso ai dati, per la disponibilità di strumenti di analisi, per i confronto tra metodologi della stessa area, o afferenti alla stessa disciplina, per l’accesso a banche dati documentali ed accesso a percorsi formativi specifici e peculiari,
la collocazione delle competenze non crea le effettive capacità,
ma permette ad un servizio, ad un gruppo di persone, ad una unità di potersi esprimere (adempiendo a linee programmatiche più ampie) o viceversa di gestire male la funzione che dovrebbe portare avanti.
la collocazione può fare la differenza.
occorrono valutazioni oggettive delle esperienze fin qui condotte.
L’iniziativa lombarda nasce prendendo spunto da iniziative di alcune regioni, citate nella decisione del consiglio regionale, in cui in realtà l’attività epidemiologica ambientale è in fase di notevole involuzione e ridimensionamento, anche perle limitazioni imposte dalla normativa sui dati sensibili, che preclude le attività delle arpa.
In quanto disciplina che richiede competenze mediche tossicologiche statistiche ed informatiche, professionalità per lo più assenti nelle arpa, vedo difficile la strada per arpa Lombardia, a meno di convenzionarsi con enti di ricerca o università che abbiano le competenze necessarie.
Non ritengo che l’esempio lombardo vada diffuso, la storia in Italia è andata in un’altra direzione
Che la strada per ARPA Lombardia sia difficile, non lo metto in dubbio, ma non a causa di professionalità ritenute “assenti” al proprio interno, bensì a causa di una visione del nucleo dirigente molto riduttiva rispetto alle funzioni che ARPA può svolgere nell’ambito della “mission” che le è stata assegnata già nell’agosto del 1999.
Sono d’accordo che l’esempio lombardo non vada diffuso e per questo auspico che la Regione Lombardia e la sua ARPA comincino umilmente a imparare qualcosa dalle esperienze maturate nelle altre regioni. Chissà che lo “Strano caso” della Regione Lombardia non sia un segnale di una strada che si sta aprendo.
Rispetto alla questione delle professionalità all’interno di ARPA Lombardia sono convinto che ce ne siano a tutti il livelli, certo le competenze reali in materia epidemiologica sono da “rodare”. Non esistono forse medici epidemiologi in ARPA, ma tengo a ricordare che parecchi tecnici della prevenzione presenti in agenzia hanno scelto di proseguire i propri studi laureandosi in “Scienze delle Professioni Sanitarie della Prevenzione”, corso di laurea magistrale che tra l’altro prevede specifica formazione di competenze in materia di epidemiologia sanitaria e ambientale. Sprecare risorse già formate e con decennale esperienza all’interno di ARPA non mi sembra utile.