Intervento del direttore Centro regionale Aria di Arpa Puglia sul rapporto ambiente-salute riguardo alla situazione di Taranto.
Il rapporto ambiente-salute a Taranto è imprescindibile, e se ne deve tener conto nel processo di autorizzazione degli impianti industriali, in particolare per quanto riguarda lo stabilimento siderurgico ILVA.
È acclarato l’impatto sulla salute della produzione di acciaio, per quanto riguarda specialmente le aree della città di Taranto più vicine allo stabilimento. Lo dimostra una miriade di indagini epidemiologiche, ultima delle quali il ponderoso studio analitico di coorte condotto da una equipe ARPA Puglia/ARESS/ASL di Taranto diretta dal dott. Francesco Forastiere, del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio. Lo studio conclude che l’esposizione a PM10 e SO2 di origine industriale è associata a un aumento della mortalità per cause naturali, tumori, malattie cardiovascolari e renali, oltre che al ricorso alle cure ospedaliere per molte patologie dei residenti a Taranto.
Spesso, a ciò viene opposta la constatazione che, sempre a Taranto, gli standard di qualità dell’aria previsti dalla normativa italiana, applicazione della normativa europea, sono rispettati. In effetti, dal 2012 i livelli di PM10 sono divenuti tali da non superare né il limite previsto per la media annuale (pari a 40 µg/m3), né il limite massimo di 35 superamenti del livello di 50 µg/m3 di PM10 in un anno. Neppure il valore obiettivo di 1 ng/m3, sancito per il benzo(a)pirene (BaP), composto della categoria degli IPA (gli idrocarburi policiclici aromatici), viene superato in nessuna delle postazioni di monitoraggio di Taranto, sempre dal 2012.
Ma questo, a cosa è dovuto? E la situazione è rassicurante?
Per quanto riguarda la prima domanda, bisogna considerare che, dal 2012, a seguito sia all’emanazione del Decreto di riesame dell’AIA di ILVA che dell’azione della Magistratura tarantina, la produzione dello stabilimento, anche a causa di una serie di adeguamenti impiantistici, tuttora in corso, è scesa al di sotto del massimo produttivo potenzialmente consentito (pari a 8 milioni di tonnellate per anno). La minor produzione, oltre che la messa in opera degli adeguamenti ed il notevole livello di attenzione del management di ILVA hanno prodotto, in effetti, una situazione di qualità dell’aria migliorata, ma che non può però essere considerata “a regime”.
E per quanto riguarda la seconda domanda, certo la situazione non è rassicurante. Intanto perché la produzione può aumentare di nuovo, con effetti negativi di impatto sull’ambiente. Poi perché gli adeguamenti sono, in alcuni casi, dei “revamping” di impianti vecchi, che danno un effetto positivo, ma solo a breve termine, con possibile nuova obsolescenza nel futuro non lontano. Poi perché le matrici “permanenti” (suolo, acque sotterranee, sedimenti) sono state e rimangono contaminate, richiedendo bonifiche lunghe, cospicue, onerose e difficilmente applicabili; e gli effetti di tali inquinamenti si dilatano ad un orizzonte temporale di decenni, e forse più.
Ed infine, perché per gli inquinanti in questione (PM10, BaP) non è nota alcuna soglia minima di effetto. Il rispetto dei limiti italiani/europei (peraltro molto superiori a quelli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) non garantisce l’assenza di effetti sulla salute. E, anzi, gli studi epidemiologici mostrano come tali effetti ci siano – ad esempio quando il vento spira sulla città dalla parte dell’industria, nei cosiddetti “wind-days”.
Lo mostra, anche, il risultato della VDS, la valutazione del danno sanitario effettuata sempre da ARPA Puglia, ARES e ASL di Taranto per lo stabilimento ILVA, che evidenzia un permanere di un rischio inaccettabile anche in presenza di una completa applicazione degli adeguamenti previsti dal Decreto di riesame dell’AIA di ILVA, alla massima potenza produttiva. VDS prevista dalla Legge Regionale 21/2012, ma osteggiata dal Ministero dell’Ambiente.
Gli effetti ci sono, e ci saranno, almeno fino a quando gli impianti non subiranno delle modifiche sostanziali, quale la copertura dei parchi di materie prime, che appare finalmente iniziata, ma con enorme ritardo rispetto a quanto inizialmente previsto.
Mentre altre possibili innovazioni tecnologiche, ventilate da Arpa Puglia e dalla Regione Puglia, quali lo spegnimento a secco del coke (il cosiddetto “dry-quenching”), che eliminerebbe del tutto i pennacchi bianchi emessi dalle cokerie e ben visibili dalla città; o l’implementazione della riduzione diretta con gas naturale del minerale di ferro per la produzione del DRI (il “Directly reduced Iron”), eliminando il carbone e gran parte dell’area a caldo, gli altiforni, le acciaierie, l’impianto di sinterizzazione, e delle emissioni di idrocarburi policiclici aromatici e di diossine; queste innovazioni non appaiono neppure considerate nel piano di cessione dello stabilimento all’attuale compratore straniero.
L’analisi del rapporto ambiente-salute appare fondamentale per analizzare la situazione tarantina. Ma c’è ancora chi sostiene che tale relazione non può entrare a far parte dei processi autorizzativi dell’AIA.
Roberto Giua
Direttore Centro Regionale Aria
ARPA Puglia