La generazione elettrica si sta sempre più spostando verso le fonti rinnovabili, sia per l’aumento delle prestazioni, sia per la riduzione dei prezzi. Per raggiungere i risultati previsti dall’accordo sul clima di Parigi serve però un ulteriore salto. Occorre governare la rivoluzione in atto per trarne tutti i vantaggi possibili. Gianni Silvestrini per Ecoscienza.
Nel campo della generazione elettrica il pendolo si sta spostando sempre più velocemente dalla parte delle fonti rinnovabili. Una tendenza evidenziata dal fatto che negli ultimi sei anni l’incremento di potenza degli impianti rinnovabili è stato costantemente superiore rispetto a quello delle centrali termoelettriche. Lo scorso anno, ad esempio, la potenza fotovoltaica installata nel mondo (99 GW) è stata superiore all’aumento netto dell’insieme delle centrali termoelettriche a carbone, gas, petrolio e nucleari, mentre in Europa le rinnovabili hanno rappresentato l’86% della nuova capacità installata.
Questo incredibile sorpasso è attribuibile al costante aumento delle prestazioni e soprattutto alla riduzione dei prezzi. Solo lo scorso anno si è registrato un calo medio del 18% per il fotovoltaico e l’eolico a terra. Un risultato che supera tutte le stime fatte dalle varie istituzioni. Basta considerare che i costi del 2017 sono risultati inferiori rispetto a quelli che la International Energy Agency (Iea) stimava per il 2031-35 nel suo World Energy Outlook 2012.
Per Elena Giannakopoulou, responsabile economica del Bloomberg New Energy Finance (Bnef), gli ultimi dati sono raggelanti per il mondo dei fossili, vista la prevedibile continua erosione delle entrate legate alla gestione della flessibilità e alla copertura dei picchi delle future centrali termoelettriche. Le varie agenzie internazionali ormai ritengono che nel prossimo decennio l’energia elettrica da fonti rinnovabili sarà più competitiva rispetto a quella della generazione termoelettrica non solo nelle situazioni più favorevoli (Messico, Cile, Brasile, India, Cina, Arabia Saudita ecc.) come già avviene, ma praticamente in tutto il mondo, tanto che Bnef stima che nel 2035 l’elettricità verde potrebbe superare globalmente, con 16.000 TWh, quella prodotta da combustibili fossili. Colpisce certo che in alcuni paesi, come avvenuto lo scorso marzo in Portogallo, le rinnovabili riescano a soddisfare tutta la domanda elettrica, o che a maggio, nel Regno Unito, la produzione fotovoltaica abbia superato per un breve periodo il contributo del gas e del carbone. Ancora più interessante il caso della Danimarca dove il contributo dell’eolico ha garantito nel 2017 il 44% dei consumi elettrici.
È vero che gli elevati incentivi passati, in Danimarca come in Italia, hanno comportato un aumento dei costi per i cittadini. La situazione è però destinata a cambiare. Il governo danese, ad esempio, ha deciso di puntare all’ambizioso obbiettivo di coprire entro il 2030 con le rinnovabili almeno il 50% dei consumi energetici complessivi rispetto all’attuale 32% e contemporaneamente di ridurre drasticamente la tassazione sulle bollette delle famiglie danesi.
Il nodo di calore e trasporti
Dal quadro attuale potrebbe discendere una valutazione ottimistica sul ruolo delle rinnovabili. In realtà, siamo solo all’inizio di un percorso che dovrà vedere una forte accelerazione, in particolare nel settore del calore e dei trasporti. Secondo un recente rapporto di Irena, per raggiungere i risultati previsti dall’Accordo sul clima di Parigi, la quota delle rinnovabili sui consumi finali dovrà passare dal 19% del 2017 a una quota pari a due terzi dei consumi mondiali nel 2050. Per ottenere questo risultato il contributo annuo delle rinnovabili dovrà incrementarsi di sei volte rispetto agli attuali livelli.
Lo sforzo maggiore dovrà avvenire nel settore termico e in quello della mobilità, facilitato dalla progressiva elettrificazione di questi due comparti.
La necessità di accelerare si comprende anche dall’analisi dell’incremento della domanda energetica mondiale del 2017 sull’anno precedente, pari al 2,1%.
Va infatti sottolineato come solo un quarto di questo aumento sia stato soddisfatto dalle rinnovabili, un dato che ci fa capire come dovranno essere intensificate siale azioni di aumento dell’efficienza che quelle sulle rinnovabili.
Venendo all’Europa, gli scenari futuri saranno legati alla definizione degli obbiettivi al 2030. La Commissione aveva proposto un target del 27% per le rinnovabili, ma il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato
a larga maggioranza un target del 35%, decisamente più ambizioso, che implicherebbe una produzione di elettricità verde pari a circa due terzi della domanda elettrica. È probabile che si andrà a una mediazione sul 30% che, alla luce della riduzione dei prezzi, secondo la stessa Commissione non comporterebbe un aumento dei costi complessivi. Considerando che l’obbiettivo delle rinnovabili previsto dalla Strategia energetica nazionale (Sen) era pari al 28% dei consumi finali, non è escluso quindi che possa essere necessaria una sua revisione.
Resta il fatto che, anche con gli attuali scenari della Sen, occorre un deciso cambio di passo. Per il fotovoltaico, ad esempio, bisognerebbe incrementare di 5-6 volte l’attuale livello della potenza installata annualmente con un aumento di 35 GW, rispetto ai 20 GW attuali. Non sembra, però, che gli strumenti finora messi a disposizione siano coerenti con gli obbiettivi dati. Nel triennio 2018-20 potrebbero essere realizzati 4-6 GW solari e 1,5-2,5 GW eolici, con un’accelerazione decisa rispetto alle installazioni degli ultimi anni, ma non sufficiente rispetto agli obbiettivi della Sen.
Per un periodo transitorio serviranno ancora dei modesti incentivi, ma quello che soprattutto occorre per garantire la diffusione delle rinnovabili è un adeguamento delle regole per favorire nuove soluzioni contrattuali come i Power purchase agreements, per attivare investimenti di notevoli dimensioni per impianti che vendono l’elettricità a privati, o la possibilità di utilizzo dell’elettricità generata sulle coperture solari da parte dei condomini e di scambio di energia tra prosumers, o ancora, la valorizzazione dei servizi che sistemi abbinati di solare e accumulo possono fornire alla rete.
La barriera economica sarà dunque sempre meno influente. Anzi nel prossimo decennio potremmo assistere alla localizzazione di imprese al sud favorite dall’accesso a elettricità solare a basso costo. È probabile che invece l’elemento più delicato rispetto alla diffusione degli impianti verrà dall’interazione con il paesaggio. Riuscire a minimizzare gli impatti, coinvolgere le realtà locali, prevedere ricadute collaterali, come nel caso del fotovoltaico abbinato alla produzione agricola, saranno elementi decisivi nel garantire una diffusione delle rinnovabili.
Il contributo del biometano
Ci si è concentrati sul fotovoltaico e l’eolico, che rappresentano le tecnologie dalle quali ci si aspetta (in Italia e nel mondo) il maggior contributo nei prossimi decenni. Per quanto riguarda il nostro paese, va sottolineato il ruolo che potrà svolgere la produzione di biometano per il possibile contributo significativo rispetto alla domanda (8- 10 miliardi m3/a alla fine del prossimo decennio a fronte di una richiesta attuale di 75 miliardi m3).
Anche altri paesi spingono in questa direzione. In Francia, ad esempio, si reputa possibile sul lungo periodo coprire un terzo della domanda di gas naturale con il biometano. Ma forse l’aspetto più interessante è legato a un positivo ripensamento dell’agricoltura tradizionale, con la nuova impostazione verso doppi raccolti e l’uso del digestato in fertirrigazione, che consentirà di ridurre drasticamente il ricorso alla chimica e di arricchire la fertilità dei suoli.
Insomma, i combustibili fossili verranno insidiati non solo sul versante della generazione elettrica, ma anche negli altri settori. Occorre essere consapevoli della rivoluzione in atto e cercare di governarla per trarne tutti vantaggi possibili.
Gianni Silvestrini, direttore scientifico Kyoto Club e presidente Exalto
Per l’Italia, in più, esiste anche una stringente legislazione relativa alla conservazione del paesaggio che spesso, per non dire sempre anche quando gli impianti hanno impatti visivi minimi, non ne consente la realizzazione. Si pensi a tutti centri storici presenti in Italia e a quanti tetti potenzialmente fruttiferi si perdono.
Le commissioni paesaggistiche comunali/regionali hanno poter ostativo su tali installazioni e spesso, la loro opposizione, è solo esercizio di gusto personale più che di regola.