Dal 2006 al 2012, la popolazione di lupo occupava il 18,04% del territorio nazionale; dati preliminari relativi al periodo 2012-2018 indicano che la proporzione è cresciuta al 23,02%, evidenziando che la presenza della specie interessa oggi ¼ dell’Italia (dati del III rapporto Direttiva Habitat, coordinato da ISPRA). La presenza della specie è attualmente segnalata in anche in contesti diversi da quelli dove tradizionalmente è collocata, quali ambienti di pianura e caratterizzati da una maggiore presenza antropica.
In Italia, il declino del lupo è proseguito fino agli anni 70, quando la specie era definitivamente scomparsa dall’arco alpino e permaneva soltanto nelle zone appenniniche dell’Italia centro- meridionale. Negli ultimi 40 anni, la specie ha avuto un naturale recupero, andando ad occupare tutto l’arco Appenninico e raggiungendo prima le Alpi occidentale e più recentemente quelle centro-orientali.
Dati recenti, riferibili al campionamento 2017-18, presentati in forma preliminare in occasione del convegno finale del progetto LIFE WOLFALPS nel marzo del 2018, riportano per le Alpi la presenza di 47 branchi, 6 coppie e 1 individuo solitario e un numero minimo di 293 individui (dati progetto Wolfalps). Per la restante porzione del territorio peninsulare nazionale, esistono due stime che tuttavia non derivano da un programma organico di monitoraggio e sono quindi associate ad un elevato grado di incertezza. La prima, a scala nazionale, riporta 1580 animali – con una valutazione dell’incertezza compresa tra 1070 e 2472; la seconda, un valore complessivo per il territorio italiano compreso tra un minimo di 1269 individui ed un massimo di 1800.
L’incremento numerico e distributivo del lupo impone un costante sforzo di aggiornamento delle conoscenze sulla specie, per fornire ai decisori dati scientifici credibili e autorevoli sui quali basare le scelte di conservazione e gestione. Con questo obiettivo, l’ISPRA è stato incaricato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di elaborare e applicare un Piano Nazionale di monitoraggio, che permetta di raccogliere dati standardizzati per tutto il territorio interessato dalla presenza della specie su distribuzione e abbondanza, prevalenza dell’ibridazione con il cane domestico, diffusione dei danni agli animali domestici, applicazione ed efficacia dei metodi di prevenzione degli impatti. Dell’avvio di questo Piano si questo si discute oggi e domani a Roma con i principali esperti del lupo del mondo della ricerca, dei parchi, delle regioni e province autonome e del mondo delle associazioni.
Quali sono le minacce per la conservazione della popolazione italiana di questa specie? Sicuramente la mortalità di origine antropogenica, per le quali mancano stime attendibili dell’impatto complessivo: bracconaggio, incidenti stradali, malattie trasmesse da domestici, l’ibridazione con il cane che mette a rischio il patrimonio genetico del lupo, il generale conflitto con le attività antropiche (danni all’allevamento).
Mancano dati attendibili sugli impatti del bracconaggio (che tutti gli esperti ritengono molto diffuso), degli incidenti stradali e degli effetti delle malattie trasmesse dai domestici. Mentre per l’ibridazione con il cane, che mette in pericolo il patrimonio genetico del lupo, rischiando di cancellare gli adattamenti frutti di milioni di anni di evoluzione, dal 2002 ad oggi il personale del Laboratorio dell’Area per la Genetica della Conservazione dell’ISPRA ha analizzato il DNA estratto da più di 13500 campioni biologici: da tale analisi condotte in 15 anni, sono emersi più di 2000 genotipi unici di cui l’8-13% presentava tracce di ibridazione. Tuttavia in alcune aree del paese, come la Toscana, si registra un picco di ibridazione che interessa il 25-33% degli esemplari (dati Regione Toscana, analizzati in collaborazione con ISPRA) arrivando a oltre il 50% nel grossetano, e con diversi branchi prevalentemente ibridi.
E’ essenziale avere una fotografia precisa dei danni causati dal lupo, per meglio programmare le misure di prevenzione e compensazione, ma i dati raccolti restano molto frammentari: una ricognizione condotta dall’Unione Zoologica Italiana su incarico del Ministero Ambiente per il periodo 2010-2015, con dati relativi a 15 regioni, 2 province autonome e 9 parchi nazionali, indicava per l’Italia una media di 2590 capi predati/anno, con indennizzi erogati in media di 1.439.308 euro/anno.