Un’ampia letteratura scientifica mette in luce la maggiore vulnerabilità dei bambini all’inquinamento dell’aria, outdoor e indoor, rispetto agli adulti. Sono soprattutto tre i motivi per cui i bambini sarebbero più vulnerabili: respirano più rapidamente degli adulti e questo facilita l’assorbimento delle sostanze inquinanti, vivono più vicini al terreno dove alcune sostanze inquinanti sono presenti in maggiori concentrazioni e l’esposizione avviene quando il loro organismo (sistema nervoso compreso) è ancora in via di sviluppo.
L’OMS stessa, in una sua pubblicazione su inquinamento atmosferico e salute dei bambini, ha evidenziato ancora una volta come l’inquinamento atmosferico sia assai rilevante per la salute dei bambini, perché
- influisce sul neurosviluppo e sulle capacità cognitive, influenzando negativamente lo sviluppo mentale e motorio,
- danneggia la funzione polmonare, anche a livelli più bassi di esposizione, portando ad asma e infezioni acute delle basse vie respiratorie,
- rappresenta circa 1 decesso su 10 nei bambini sotto i cinque anni di età,
- è tra le cause di alcuni tumori infantili, come ad esempio leucemie e retinoblastomi, che possono essere associati ad esposizioni della madre agli inquinanti cancerogeni nel periodo prenatale,
- l’esposizione in età infantile, oltre a determinare effetti misurabili nel bambino stesso, si proietta anche negli anni successivi rendendolo più vulnerabile durante tutto il suo percorso di vita, mettendolo maggiormente a rischio, ad esempio, di malattie croniche come le malattie cardiovascolari.
Cosa fare allora per tutelare i bambini e limitare la loro esposizione all’inquinamento atmosferico?
Secondo l’OMS, per far fronte ai rischi sopra esposti e quindi migliorare la sicurezza dei bambini e, conseguentemente, la loro salute, tutti i Paesi dovrebbero impegnarsi per soddisfare pienamente le linee guida internazionali sulla qualità dell’aria. Tra le azioni di tutela da mettere in atto troviamo l’attenzione ai luoghi di vita dei bambini, come le scuole, i campi sportivi e i parchi giochi, che dovrebbero sempre essere costruiti il più lontano possibile dalle maggiori fonti di inquinamento atmosferico (strade ad alto traffico, centrali elettriche, fabbriche ecc.).
A questo proposito il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), per mettere realmente in pratica la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha dato vita da diversi anni al programma Città amiche delle bambine e degli adolescenti, che contiene una serie di indicazioni minime; tra queste troviamo il diritto dei bambini di vivere in un ambiente non inquinato e quello di poter accedere a spazi verdi e strade non pericolose.
A livello europeo, la Dichiarazione di Parma, appoggiata e sottoscritta nei 2010 da 53 Stati membri partecipanti alla quinta conferenza ministeriale su ambiente e salute, impegnava i Paesi a ridurre l’esposizione dei bambini ai rischi ambientali e a garantire loro, entro il 2020, l’accesso ad ambienti e luoghi della vita quotidiana salubri e sicuri tali da poter andare a piedi e in bicicletta all’asilo e a scuola, nonché a spazi verdi nei quali giocare e svolgere attività fisica.
È evidente che di strada ce ne sia ancora da fare, ma fanno ben sperare alcune esperienze che cercano di rispettare tali impegni con azioni mirate, ad esempio riducendo le fonti di inquinamento, principalmente il traffico, nei luoghi maggiormente frequentati dai bambini, come ad esempio le scuole.
Incentivare la mobilità pedonale o ciclabile nel tragitto casa-scuola è sicuramente un modo per rispondere a questi obiettivi. Purtroppo i dati non sono incoraggianti: l’Italia, insieme a Irlanda, Portogallo e San Marino, risulta ai primi posti in Europa per l’utilizzo della macchina nel tragitto casa-scuola (OMS 2018). La quinta rilevazione di OKkio alla Salute (2016) – il sistema di sorveglianza nazionale promosso e finanziato dal Ministero della Salute – mette infatti in luce una bassa percentuale di bambini italiani che si recano a scuola a piedi o in bicicletta (27%), a fronte della maggioranza che utilizza la macchina (62%) o lo scuolabus (10%). Al Nord la quota che va a piedi o in bici è maggiore (30%) rispetto al Centro (24%) e al Sud (25%) (vedi immagine – tratta dall’indagine 2016 OKkio alla Salute – che rappresenta la quota di bambini che si reca a scuola a piedi o in bicicletta).
Oltre al beneficio in termini di miglioramento dell’esposizione agli inquinanti atmosferici, è bene ricordare che andare a scuola a piedi, o comunque da soli, avrebbe benefici anche sullo sviluppo psico-fisico, contribuendo a sviluppare l’autonomia, il senso di orientamento, l’autostima, la capacità di concentrarsi, la socializzazione dei bambini. Senza tralasciare che il tragitto casa-scuola a piedi è uno strumento di educazione stradale, di conoscenza del territorio e una modalità per riappropriarsi degli spazi urbani.
Per rispondere poi a chi crede che accompagnare i bambini in auto e non farli andare a piedi sarebbe un modo per “proteggerli” dall’aria inquinata, numerosi studi dimostrano quanto ciò sia lontano dalla verità. Uno studio condotto a Copenaghen dall’Università danese di Roskilde ha per esempio rilevato che un conducente ha effettivamente respirato più inquinamento rispetto a un ciclista sulla stessa strada. A simili conclusioni è giunta anche una ricerca svolta da ricercatori dell’Istituto di valutazione ambientale dell’acqua di Barcellona. L’agenzia che effettua il monitoraggio della qualità dell’aria nella regione parigina (Airparif) mette a disposizione uno strumento che permette agli automobilisti di calcolare l’inquinamento all’interno delle proprie macchine, dove si registrano i livelli più elevati di biossido di azoto.
Cosa si sta facendo in Italia?
Il progetto La città dei bambini, nata nel lontano 1991 con lo scopo, tra gli altri, di promuovere l’autonomia e la libertà di movimento dei bambini nelle città, intende rendere gli spazi pubblici frequentati dai bambini liberi da auto e di conseguenza dall’inquinamento che esse producono. A Malnate, una delle città aderenti alla Rete che conta oggi più di 100 città di diversi paesi dell’Europa e dell’America Latina, è stato ad esempio avviato il Progetto A scuola ci andiamo da soli, un modo per permettere ai bambini di uscire di casa senza essere accompagnati, incontrare gli amici e giocare negli spazi della città.
Analoghi scopi li ha l’Associazione Moving school 21, nata per promuovere il benessere del bambino negli spazi della scuola e nella città. In particolare il suo progetto Scarpe Blu – 200 km all’anno intende proprio sviluppare la mobilità autonoma e sicura dei bambini in un raggio medio di 500 metri attorno alla scuola.
A Pesaro dal 2001 è attivo A scuola ci andiamo con gli amici, un progetto comunale che si rivolge agli alunni delle scuole primarie e che costituisce una delle prime esperienze in Italia di educazione alla mobilità autonoma e sostenibile.
Progetti simili sono quelli denominati pedibus e bicibus, che vogliono limitare l’uso delle auto per il tragitto casa-scuola. Informazioni e contatti con i comuni e le scuole aderenti in Italia è possibile rintracciarli in rete attraverso alcune reti ed associazioni che però non coprono tutte le singole esperienze attive ad oggi:
- Associazione Nazionale Italiana Piedibus.it
- Rete Nazionale Pedibus
- Associazione Pedibus
- Manuale FIAB dei percorsi casa-scuola
Al di là di queste esperienze che spesso nascono su iniziativa delle scuole o dei comitati dei genitori o ancora dal singolo Comune, altro si può fare, soprattutto da parte delle amministrazioni locali, ad esempio tramite i Piani Urbani di Mobilità Sostenibile (PUMS) con i quali si possono limitare il traffico davanti alle scuole, con ZTL, zone 30 o zone pedonali, o migliorare i percorsi ciclabili e ciclopedonali. Qui riportiamo a pure scopo esemplificativo alcune di queste misure già realizzate:
- istituire una ZTL davanti alle scuole in orario di entrata ed uscita, come ad esempio fatto a Stezzano (BG), Bergamo, Vidigulfo (PV);
- istituire il divieto di accesso nei pressi delle scuole nell’orario di ingresso dei bambini, come ad esempio fatto in provincia di Bolzano;
- costruire percorsi pedonali/ciclabili dedicati, come la Tangenziale dei bambini realizzata a Casalmaggiore (CR) con fondi privati: un paio di chilometri lungo l’argine maestro del Po, sicuri perché chiusi al traffico veicolare e quindi adatti alla viabilità scolastica;
- offrire agevolazioni fiscali, come fatto ad esempio a Isnello (PA) dove chi rinuncia all’auto e utilizza il Pedibus ottiene una riduzione della Tari (tassa sui rifiuti) del 15%;
- elaborare un progetto unitario di mobilità sostenibile casa-scuola, come quello fatto dall’Unione della Romagna Faentina e dall’Unione dei Comuni della Bassa Romagna (L’Unione fa… bene: mobilità casa-scuola a piedi e in bici) dedicato alle scuole primarie e secondarie; tra le misure previste percorsi protetti in prossimità delle scuole, percorsi ciclabili e Zone 30;
- promuovere un protocollo d’intesa tra soggetti pubblici per favorire spostamenti casa-scuola sostenibili e sicuri, come fatto dal Comune di Reggio Emilia con il Manifesto per una mobilità sicura, sostenibile e autonoma che coinvolge diversi soggetti in un piano condiviso di progettazione.
Come si può vedere si tratta di esperienze, per non parlare addirittura di esperimenti, spesso isolati e non messi a pieno regime. Sicuramente la strada è ancora lunga e passa inevitabilmente da un’educazione in primo luogo degli adulti-genitori che giocano in queste scelte un ruolo chiave.
Secondo i dati del 5° Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, nel 2019 per il 91% degli italiani il rispetto delle generazioni future è il principale motivo delle scelte sostenibili. Allora, cominciamo ad operare scelte davvero sostenibili anche nel campo della mobilità e facciamolo per il bene dei nostri figli!
Testo di Maddalena Bavazzano