A Giorgio Nebbia

Il 3 luglio è morto all’età di 93 anni Giorgio Nebbia, pioniere del movimento ambientalista italiano. Ha studiato per una vita la scienza delle merci, la sua materia di insegnamento era infatti la merceologia, dedicandosi ad approfondimenti sull’impatto ambientale e la ecosostenibilità. Era professore emerito dell’Università di Bari, dove ha insegnato dal 1959 al 1995.

Per ricordarlo proponiamo qui:


A Giorgio Nebbia

L’Italia di 40 anni fa era un paese interessante nel quale esistevano luoghi, soprattutto a Milano, frequentando i quali si poteva entrava in contatto con maestri del pensiero sui cui libri ci si era formati, alle cui conferenze si cercava di non mancare a costo di faticose trasferte ferroviarie dalla provincia alla metropoli o ammassati nell’auto di amici disponibili. Parlo della Milano anni ’70 , dalla Casa della Cultura al Club Turati , dall’Istituto Gramsci al Centro S. Fedele, luoghi che anticipavano di molto i moderni thinking tank.

Poi c’erano veri e propri cenacoli culturali che non rifiutavano l’accesso a giovani appassionati e curiosi : uno di questi era la redazione del  Sapere di Giulio Maccacaro , la cui eredità , mancato il fondatore e spaccatosi il gruppo originario sulla questione nucleare , venne tenuta viva da Giovanni Cesareo e tanti di noi ambientalisti della prim’ora con  Scienza/Esperienza.

Alle riunioni di  Sapere si entrava in relazione con i maestri dell’approccio critico al sapere e al potere : lì conobbi Giorgio Nebbia , che era un maestro vero, sapeva dedicarti tempo e attenzione, insegnarti il metodo.

Oltre a Giorgio, ho avuto la fortuna di frequentare maestri come Aurelio Peccei, come Laura Conti, uniti nelle loro differenze dalla capacità di essere rigorosissimi con se stessi, dalla grande attitudine ad operare in logica da ‘civil servant’ , dalla grande capacità visionaria. Giorgio è stato un visionario, il primo, partendo dalla scienza delle merci, a parlare della necessità di progettare una società neotecnica, per gestire con efficienza ed equità le trasformazioni di materia ed energia che supportano ogni forma di insediamento antropico. 

Io ero fra quelli che nell’Emilia anni ’70 fece decine di assemblee sul ‘Progetto a medio termine’ voluto da Enrico Berlinguer , grande occasione per elaborare una progettualità nuova cui dare concreto seguito: in Emilia Romagna un progetto orientato alla qualità ambientale (oggi diremmo sostenibilità) voleva dire sceglier se concentrare lo sviluppo in pianura lungo la via Emilia o investire sull’Appennino già allora in abbandono. Purtroppo fu scelta l’opzione che poi ha portato all’attuale consumo di suolo, all’aria cancerogena padana, all’idolatria di Mammona, all’apertura alla economia criminale.

Tutto questo ha a che fare con la nozione di subalternità culturale, morbo drammatico da cui per un lungo periodo l’ambientalismo scientifico italiano , grazie a Giorgio e agli altri maestri , non è stato contaminato. Giorgio ci ha insegnato a non essere subalterni, ad avere capacità critica. A studiare in profondità gli argomenti cui ci dedichiamo, a ricercare costantemente il confronto, per essere difficilmente attaccabili e rendere autorevole la riflessione e l’azione che si propone.

Giorgio Nebbia anche su questo non sbagliava e il pensiero di Giorgio ci aiuterà ancora a lungo.

Walter Ganapini



L'”uomo” come modificatore della Terra — 2016

Culture della sostenibilità, 9, (18), 14-20 (II semestre 2016)
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Tutte le manifestazioni della vita comportano scambi, “commerci”, di materia e di energia; i vegetali “comprano” (senza pagare niente) anidride carbonica dall’aria, acqua e azoto dall’aria e dal suolo, e “fabbricano” le molecole di amidi, cellulose, lignine, grassi, proteine, generando, come rifiuti, ossigeno e le spoglie delle foglie e dei tronchi e delle radici. Non a caso i biologi del secolo scorso hanno chiamato i vegetali organismi “produttori”, prendendo a prestito un termine dalle manifatture. Gli animali “comprano” ossigeno e acqua e vegetali (o eventualmente altri animali), fabbricano le molecole del proprio corpo e generano come rifiuti anidride carbonica, vapore acqueo, metano, ammoniaca, gas che tornano nell’atmosfera, ed escrementi, tanto che i biologi li hanno giustamente chiamati organismi “consumatori”, prendendo a prestito, anche qui, un termine dal linguaggio dei commerci. Infine gli organismi decompositori riciclano le scorie organiche esistenti nel terreno o nelle acque e rigenerano e rimettono in circolazione anidride carbonica, acqua, azoto, eccetera. Nella grande diversità biologica del mondo animale alcuni animali si nutrono di altri (rispettivamente i predatori e le prede), così come si trovano forme di solidarietà e collaborazione, per esempio fra organismi che vivono in simbiosi, o forme di sfruttamento, per esempio da parte di organismi parassiti di altri.

La biosfera ha funzionato e funziona attraverso cicli di scambi di materia e di energia che sono sostanzialmente “chiusi”: tutto ciò che viene estratto ritorna in ciclo. Tutta questa frenetica circolazione di materia e di energia — fra produttori, consumatori, decompositori — e questi rapporti, non privi di dolore, sono finalizzati alla propagazione della vita, che, nella biosfera, è l’unica cosa che conta. Nella natura non esiste la categoria dei rifiuti e forse neanche quella della morte perché in qualsiasi punto del grande ciclo ogni molecola contribuisce alla prosecuzione della vita. Le cose sono andate avanti con questi cicli, per migliaia di secoli, attraverso profonde modificazioni della superficie del pianeta, attraverso mutamenti climatici, fino a 200 o 100 mila anni fa, quando sulla superficie della Terra è comparso un animale consumatore speciale appartenente alla specie Homo sapiens, capace di utilizzare, grazie alla posizione eretta, le zampe anteriori per toccare meglio il mondo circostante, capace di aumentare le proprie conoscenze e di trasmettere le nuove esperienze ad altri esseri umani.

Per moltissimi millenni gli esseri umani si sono comportati in maniera non molto diversa dagli altri animali e sono vissuti nutrendosi di bacche e semi e frutti e radici raccolti dai vegetali, cacciando gli animali proprio come facevano i predatori meno evoluti. Queste piccole comunità di raccoglitori-cacciatori sono andate muovendosi attraverso i continenti, nelle foreste, nelle paludi e nelle savane, alla ricerca di cibo e di condizioni favorevoli di vita, ricoverandosi nelle grotte per proteggersi dal caldo e dal freddo, con continui lenti progressi, ma senza modificare in maniera apprezzabile il mondo circostante.

La prima grande rivoluzione si è avuta circa diecimila anni fa quando qualche nostro lontano progenitore ha scoperto che alcuni semi e piante potevano essere coltivati e che alcuni animali potevano essere catturati e fatti crescere e riprodurre in spazi limitati. Questi nostri antenati, divenuti coltivatori-allevatori, potevano ottenere il cibo senza dover vagare per gli spazi e rincorrere le prede e avevano così più tempo per dedicarsi all’osservazione del mondo circostante e per scambiarsi le esperienze.

La transizione del Neolitico, all’inizio dell’Olocene, ha avuto molte conseguenze importanti: innanzitutto ha generato il concetto di proprietà. La terra coltivata e gli animali perdevano il carattere di beni comuni, ma venivano ad “appartenere” ad una comunità, o ad alcuni membri della comunità, e da tale proprietà erano esclusi gli altri membri della comunità e gli abitanti delle terre vicine. Da questo momento gli scambi di materia ed energia, gratuiti nella natura, sono stati regolati da una nuova entità, lo scambio in forma di materia o di lavoro e, poco dopo, in forma di denaro.

I grandi cicli della biosfera offrivano gran parte dei beni essenziali per la vita degli umani: i vegetali, la carne richiesti come alimenti, il legno come materiale da costruzione o fonte di energia, le pietre per le costruzioni.

I nostri antenati hanno così cominciato a costruire ricoveri o abitazioni duraturi e per questo hanno imparato a tagliare gli alberi, e poi che certe pietre, per riscaldamento, potevano essere trasformate in materiali duri, i metalli, molto più adatti delle pietre per tagliare gli alberi, per uccidere gli animali, per aprire nuove cave o miniere.

Queste operazioni modificavano, in modo spesso irreversibile, i territori naturali da cui venivano estratte le pietre o tagliati gli alberi, immettevano nell’aria gas e fumi irritanti e generavano scorie che gli organismi decompositori naturali non erano in grado di trasformare e rimettere in ciclo come materia utile. Ben presto le attività umane si sono scontrate con dei limiti fisici, l’esaurimento di alcune cave e soprattutto la diminuzione della fertilità di alcuni suoli agricoli in seguito alle coltivazioni.

Per far fronte a quest’ultimo inconveniente gli Ebrei avevano imposto per legge “divina” (ne parla il capitolo 25 del libro biblico del Levitico) la sospensione periodica delle coltivazioni per “far riposare” le terre coltivabili. Altre società agricole avevano capito che, alternando le coltivazioni di cereali con quelle delle leguminose (molti millenni dopo si sarebbe capito che la loro utilità è dovuta alla capacità di fissare l’azoto atmosferico), si poteva in parte restituire al terreno “qualcosa” (l’azoto) che i cereali asportano nella loro crescita.

Certi beni o materie o oggetti utili e importanti però si trovavano in alcuni luoghi e non in altri; qualche membro di ciascuna comunità, più coraggioso, o intraprendente, il mercante, deve essersi messo in viaggio per cercare nei villaggi e nelle terre vicine o lontane il sale, e poi i metalli e altri tipi di cibo. Spesso i paesi che avevano in abbondanza qualche materia ricercata o rara sono diventati ricchi e forse esosi, al punto da suscitare l’odio o la gelosia dei paesi vicini che hanno cercato di conquistarli con la forza. Le attività mercantili hanno portato da una parte alle guerre imperialistiche, dall’altra parte all’accumulazione di ricchezza e ad una maggiore richiesta di beni materiali — cibo, spezie, tessuti, edifici, vasellami, armi, e poi merci di lusso per i ricchi — con un crescente aggressivo intervento sull’ambiente e dilatazione della tecnosfera, l’universo degli oggetti portati via dalla natura e immobilizzati nel mondo degli umani.

Dopo millenni di lenta evoluzione di questi processi, una importante svolta verso la modificazione dell’ambiente si è avuta intorno al Cinquecento con i perfezionamenti della tecnologia dei metalli e con la conquista dei nuovi continenti che hanno messo a disposizione nuove riserve e specie di minerali, di alimenti, di merci. La disponibilità di questi nuovi beni materiali ha contribuito sia a stimolare la curiosità scientifica e la conoscenza della loro composizione e utilità, sia ad aumentare il desiderio di possesso di nuove merci dapprima da parte delle classi dominanti e poi progressivamente da parte della nascente borghesia. In questo modo l’assalto alla natura è stato incentivato e anzi legalizzato da una ideologia che identifica il “progresso” nell’aumento del possesso delle merci e dei beni materiali.

L’ulteriore accelerazione della modificazione della natura da parte degli esseri umani si è avuta nel Settecento con due invenzioni, quella della produzione dell’acido solforico con le camere di piombo da parte di Roebuck nel 1749 e quella della macchina a vapore da parte di Watt nel 1784. Non a caso Crutzen e Stoemer, nel loro articolo del 2000, hanno suggerito che l’antropocene inizia a partire da questa seconda invenzione, pur riconoscendo che, a rigore, l’era degli effetti modificatori della Natura da parte dell’uomo possa comprendere addirittura l’intero Olocene.

Da questo momento in avanti tutta la storia umana è stata caratterizzata dal “di più”, dalla frenesia della crescita dei beni materiali con una reazione a catena. Più macchine che alleviavano la fatica del lavoro umano richiedevano sia più ferro sia più carbone. Più ferro poteva essere prodotto scaldando ad alta temperatura in uno speciale “altoforno” il minerale di ferro con il carbone fossile anziché con il carbone di legna, usato in precedenza, col vantaggio di diminuire il taglio dei boschi. L’estrazione del carbone dal sottosuolo richiedeva più macchine e più pompe per svuotare i pozzi dalle acque, e quindi più e migliore ferro.

La produzione del ferro riusciva meglio se si usava (dal 1710), invece del carbone tale e quale, un carbone più duro e resistente che si otteneva dal carbone fossile per riscaldamento ad alta temperatura. Questo processo di “distillazione secca”, di cokizzazione, del carbone dava luogo alla formazione di grandi quantità di sottoprodotti gassosi, liquidi e solidi, dapprima buttati via nell’aria o nel suolo, poi riconosciuti adatti a molte cose utili. Il gas si prestava bene come fonte di illuminazione (dal 1810) dapprima delle strade, poi delle fabbriche, il che consentiva di allungare la giornata lavorativa, poi degli edifici e delle abitazioni, il che significava la possibilità di leggere più comodamente e a lungo, e di informarsi e stimolava le curiosità e nuove invenzioni. Il catrame che residuava durante la distillazione secca del carbone si prestava a conservare meglio il legno (dal 1805) come quello delle traversine ferroviarie; le traversine e le rotaie di ferro e la macchina a vapore applicata alle locomotive (dal 1830) consentivano di spostare persone e merci, alla ricerca di altre e maggiori quantità di materie. La diffusione delle ferrovie nel Nord America ha consentito la conquista delle vaste e “libere” terre dell’ovest e ha contribuito alla trasformazione delle estese praterie americane in terre coltivate e miniere, dopo essere state “sgombrate” dagli “inutili” bisonti e nativi, uno dei più grandi sconvolgimenti ecologici dell’Ottocento.

Tutti questi progressi avevano provocato una crescente richiesta di acciaio, resa possibile con l’invenzione di nuovi processi per trasformare la ghisa, prodotta dall’altoforno, in acciaio (1860), e di altri processi ancora (1861-1865) adesso in grado di trasformare in acciaio sia la ghisa sia i rottami di ferro che nel frattempo si stavano accumulando dalle macchine fuori uso. Altri sottoprodotti della cokizzazione del carbone, come il solfato di ammonio, si rivelarono adatti come concimi che facevano aumentare le rese agricole, come indicavano le nuove scoperte della chimica (1840-1850).

Più prodotti agricoli, più carne offerta dalle nuove terre americane e trasportata in Europa con navi frigorifere (dal 1877), consentirono un miglioramento delle condizioni e della durata della vita, con conseguente aumento della popolazione anche delle classi meno abbienti. Un aumento della popolazione significava una maggiore richiesta di filati e tessuti che potevano essere prodotti a sempre minore costo grazie all’applicazione delle macchine alle operazioni di filatura (1785) e tessitura (1800).

Maggiori quantità di tessuti richiedevano maggiori quantità di detergenti e di sbiancanti che vennero offerte dalle scoperte della produzione della soda (1800) per trattamento del sale con acido solforico. Una maggiore richiesta di acido solforico comportò un più intenso sfruttamento delle miniere siciliane di zolfo (dal 1820), delle miniere spagnole di piriti (dal 1835) e maggiore produzione di fumi tossici che si liberavano nell’aria dalle fabbriche chimiche. Da alcuni sottoprodotti inquinanti i chimici riuscirono a ottenere altre merci utili come il cloro (dal 1870) usato come sbiancante delle fibre tessili e come disinfettante delle acque e delle fognature, altro strumento di miglioramento della salute; da altri sottoprodotti della fabbricazione della soda venne recuperato (1882) lo zolfo. La disponibilità di maggiori quantità di acido solforico spinse anche a trattare le ossa o alcune rocce e minerali (1845) per ricavarne concimi fosfatici, anch’essi utili per aumentare le rese agricole.

Maggiori quantità di tessuti significava maggiore richiesta di coloranti che, al posto dei pochi coloranti vegetali fino allora disponibili, potevano essere ottenuti sinteticamente (dal 1856 in avanti) da alcuni altri sottoprodotti della distillazione secca del carbone. Quei sottoprodotti che potevano essere trasformati in esplosivi (metà dell’Ottocento) mediante impiego di acido nitrico. La richiesta di acido nitrico comportò una crescente pressione (dal 1830) sulle allora uniche riserve di nitrati disponibili nei giacimenti dell’altopiano cileno e boliviano, ma anche una ricerca di processi per ottenere i nitrati artificialmente, un problema risolto alla fine dell’Ottocento.

Maggiori quantità di acido solforico, di nitrati e di sottoprodotti della distillazione secca del carbone consentivano la preparazione di più “efficaci” esplosivi, la nitrocellulosa (1843), la nitroglicerina (1847), il tritolo (1853), molto “utili” nelle continue guerre che hanno dilaniato tutto l’Ottocento. La produzione di merci, l’estrazione di risorse naturali e l’inquinamento sono stati ulteriormente accelerati dalla scoperta, dal 1859 in avanti, di grandi quantità di petrolio del Nord America.

La scoperta della raffinazione del petrolio in frazioni di diversa densità e utilità (dal 1860), ha messo a disposizione cherosene adatto per le lampade da illuminazione mobili, al posto degli oli vegetali e del grasso di balena, e carburanti adatti a nuovi motori che potevano sostituire le macchine alimentate da carbone.

Le scoperte dei motori a combustione interna, dal 1860 in avanti, hanno fatto crescere la richiesta di prodotti petroliferi e hanno consentito la costruzione di nuovi veicoli leggeri che si muovevano da soli, senza rotaie, liberamente sulle strade. Più strade richiedevano anche trattamenti di impermeabilizzazione realizzabili col catrame derivato dalla distillazione secca del carbone (1902) e poi dai residui della distillazione del petrolio. Questa lunga serie di progressi tecnici e merceologici del XIX secolo ha determinato un aumento della popolazione mondiale — di lavoratori e di consumatori — che è passata da 950 milioni nel 1800 a 1600 milioni nel 1900.

Le azioni di modificazione della natura da parte dell’uomo hanno avuto un’ulteriore accelerazione nel corso del ventesimo secolo. Il Novecento si apriva con altre scoperte rivoluzionarie: quella della radioattività, nei primi anni del secolo, che apriva le porte alla conoscenza di modificazioni della parte atomica, la più intima della materia; e quella della sintesi dell’ammoniaca (1910) dall’azoto dell’aria; era così possibile ottenere concimi azotati per la popolazione mondiale crescente e sintetizzare dall’ammoniaca acido nitrico, la base per più moderni esplosivi subito richiesti dalla prima guerra mondiale (1914-1919).

Una guerra durante la quale sono stati collaudati migliori motori a scoppio che rendevano possibili nuovi veicoli come l’aeroplano e migliori automobili. Negli anni venti del Novecento si è avuta una nuova espansione e accelerazione dei consumi e delle attività estrattive, minerarie, agricole e industriali, con la costruzione di strade, grandi città, e con l’espansione dei commerci. La pausa consumistica della grande crisi economica mondiale del 1929-1935 è stata seguita dalla seconda guerra mondiale (1939-1945), l’avventura imperialista della Germania e del Giappone per la conquista di materie prime naturali, minerali, petrolio, gomma; il grande conflitto praticamente planetario ha visto una accelerazione della richiesta di acciaio, alluminio, macchine, esplosivi, accompagnata dalla distruzione di vite umane e di beni materiali.

La seconda guerra mondiale finisce nel 1945 con la comparsa dell’energia atomica, impiegata nella costruzione di bombe devastanti come nessuna arma precedente e in grado di immettere nell’ambiente, anche quando usata per produrre elettricità atomi in grado di emettere una mortale radioattività per secoli e millenni.

Nella seconda metà del Novecento molti paesi africani e asiatici si sono liberati dalla sudditanza coloniale, potenti imperi si sono dissolti, altri imperi economici sono sorti, la nuova divinità chiamata globalizzazione ha portato a nuove forme di conflitti militari, ideologici, religiosi, commerciali che vedono tutti contro tutti.

Nello stesso tempo comincia a diffondersi (dal 1960) la consapevolezza che le attività umane possono arrecare modificazioni irreversibili nell’ambiente naturale dovute ai limiti fisici del pianeta Terra. Una misura di questa accelerazione dello sfruttamento della natura dal 1900 al 2015 è indicata dall’aumento della popolazione mondiale da 1600 a 7300 milioni di persone e dei consumi mondiali di energia da 50 a 550 EJ. L’accelerata modificazione del pianeta è testimoniata, fra l’altro, dall’aumento della temperatura media della Terra e delle relative vistose modificazioni climatiche, dovuto all’aumento della massa dei gas immessi ogni anno nell’atmosfera in seguito alla produzione e all’uso di combustibili fossili e alla crescente produzione di merci agricole e industriali.

Energia e merci, peraltro, a cui accedono, e dei cui effetti negativi ambientali sono responsabili, in modo molto differente i singoli abitanti del pianeta, quelli dei paesi ricchi industrializzati, quelli dei paesi in rapida industrializzazione, quelli dei paesi poveri e dei paesi poverissimi che speso sono costretti a privarsi dell’essenziale per alimentare i consumi dei ricchi. Energia a merci la cui crescente produzione e uso, per ineluttabili leggi fisiche, chimiche e biologiche, impoveriscono le riserve di risorse naturali che ogni generazione lascia a quella successiva e provocano un peggioramento della qualità, dell’attitudine ad essere usate in maniera umana, dell’aria, delle acque, del suolo, con conseguente aumento di malattie e di violenza. Per lasciare alle generazioni future un mondo naturale meno impoverito e meno contaminato, non resta che passare da un’economia dell’abbondanza e del superfluo ad una economia dell’”abbastanza”, attraverso una revisione critica dei bisogni umani al fine di riconoscere quelli fondamentali, scoraggiando lo spreco e l’abuso fatto dai ricchi a spese dei poveri — e della Natura.

Anche attraverso una revisione etica della qualità delle merci e dei manufatti — una “merceologia morale” ? — per individuare quelli che rendono massimo il benessere umano con il minimo danno alla biosfera, per suggerire mutamenti nel modo di fabbricare alimenti, abitazioni, mezzi di trasporto, strumenti di informazione.

Mi rendo conto che questa prospettiva è contraria all’ideologia che soltanto più beni materiali assicurano più ricchezza monetaria, considerata l’unico indicatore del benessere, cioè dello stare bene, contraria al credo che la scienza, la tecnologia e la stessa crescita della ricchezza materiale qualche soluzione troveranno, un credo in aperto contrasto con le leggi della vita alla luce della storia dei viventi.

Forse la constatazione che anche la nostra specie umana ubbidisce alle stesse leggi di crescita e declino di tutti gli esseri viventi può indurre a cercare il “benessere” in valori come la solidarietà, il rispetto degli altri, il vivere “bene”.

Quanto durerà l’antropocene? Il Papa Francesco, in un “dialogo” con il giornalista Scalfari nell’estate del 2013, ha scritto che un giorno la nostra specie scomparirà. Quando e come questo avverrà per la popolazione umana — centinaia, migliaia di anni ? — non è possibile sapere: innumerevoli specie viventi sono comparse, cresciute e scomparse; non scomparirà comunque la vita, almeno fino a quando il Sole diffonderà un po’ delle sue radiazioni di luce ed energia.

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