Confservizi Cispel Toscana, Vivi l’Arno, Cedaf, con il patrocinio della Regione Toscana, hanno organizzato una mostra sul fiume dal titolo “ARNO. Sicuro. pulito. da vivere”, un momento per riflettere su cosa è stato fatto negli ultimi 20 anni per renderlo più sicuro, più pulito, insomma da vivere.
Certo ancora molto c’è da fare, ma le opere di difesa idraulica e messa in sicurezza dalle esondazioni rappresentano un miglioramento e ne abbiamo avuto la riprova in questi giorni particolarmente piovosi di novembre che hanno determinato una forte piena dell’Arno.
Martedì 12 novembre 2019, presso lo spazio espositivo Carlo Azeglio Ciampi a Firenze, è stato affrontato il tema della salubrità dell’Arno, con la partecipazione ed il contributo di diversi soggetti: enti territoriali, gestori del servizio idrico integrato, Università di Firenze, Autorià di Distretto dell’Appennino settentrionale e ARPAT.
I rappresentanti del servizio idrico hanno sottolineanto come ci siano stati negli anni forti investimenti, soprattutto nei settori che riguardano:
- gli schemi strategici di approvvigionamento
- l’aumento e mantenimento dei livelli di servizio
- il superamento delle criticità normative.
Publiacqua, per esempio, ha previsto, nel periodo 2016 – 2023, di investire circa 1,4 miliardi di euro, di cui circa la metà destinata alle fognature e alla depurazione. Infattti, nel bacino dell’Arno sono presenti come reflui urbani e civili all’incirca 2.250 scarichi, con diverse potenzialità. Di questi, 1.550 devono essere tenuti in buono stato di manutenzione ma rispettano la normativa vigente mentre 750 hanno bisogno di investimenti cospicui perché non sono a norma e questo è anche causa di procedura di infrazione da parte dell’UE. Ricordiamo che la Toscana ha due procedure di infrazione, una risalente al 2014, la numero 2059, che ci impone di lavorare celermente per evitare di essere condannati, e una seconda del 2017, la numero 2181. In molti casi si tratta di recuperare scarichi in piccoli agglomerati che riguardano poche decine-centinaia di abitanti equivalenti, dove il costo-beneficio potrebbe non essere proporzionato, ma è comunque necessario rispettare il disposto normativo, pur non determinandosi un vantaggio ambientale evidente.
Come sottolinea Isabella Bonamini dell’Autorità di distretto dell’Appennino Settentrionale lo stato di qualità dei corpi idrici, in particolare quello del fiume Arno, è un tema attenzionato da circa 20 anni, prima da parte dell’autorità di bacino del fiume Arno e oggi dall’autorità di distretto.
Prima che la stessa normativa lo prevedesse, era stato realizzato un piano di qualità delle acque, precursore di altri previsti successivamente, già allora si prevedeva di raggiungere una serie di risultati tra cui, quello ambizioso ma irraggiunto, di rendere balneabile il tratto cittadino del fiume, entro il 2007.
Per sapere se un fiume goda o meno di “buona salute” dobbiamo riferirci allo stato ecologico e allo stato chimico.
L’Arno è suddiviso in 9 corpi idrici diversi, bagna molte località della Toscana, è gravato da molte infrastrutture e risulta fortemente antropizzato e sfruttato. Lo stato ecologico e chimico non possono, quindi, non risentire di questa situazione.
presentazione-12nov2019_1-cispelMarcello Mossa Verre, Direttore Generale di ARPAT, ricorda che tutti i dati ambientali sui corpi idrici toscani possono essere visualizzati nell’Annuario dei dati ambientali, relativo al 2018, pubblicato di recente. A questo strumento si affiancanco report specifici, come il
- “Monitoraggio ambientale dei corpi idrici superficiali (fiumi, laghi, acque di transizione) – Risultati 2018”
- “Monitoraggio ambientale acque di transizione – Triennio 2016-2018”
dove si riportano, dettagliatamente, tutti i dati relativi al monitoraggio effettuato nel 2018 ma anche riferiti agli ultimi tre anni, secondo la pianificazione della Regione Toscana, da cui emerge il quadro generale delle acque superficiali, sotterranee e di transizione nel nostro territorio regionale.
Il monitoraggio realizzato da ARPAT prevede la misurazione dello stato ecologico e di quello chimico.
Il primo è tendenzialmente di tipo biologico con l’apporto di una valutazione di alcune sostanze chimiche; nello stato ecologico sono dominanti i fattori che riguardano i popolamenti dei substrati, delle acque, molto sensibili risultano essere i macro invertebrati; infatti, vengono sorvegliate, nel monitoraggio, le macrofite, le comunità bentoniche di diatomee ed altri parametri previsti dalla normativa che, insieme ad altri macro-descrittori, come quelli che servono a definire i nutrienti in acqua, danno un’idea globale sullo stato di sanità del corpo idrico.
Il secondo, ovvero lo stato chimico, invece, riguarda il monitoraggio di una serie di sostanze chimiche contenute in una lista richiamata dalla normativa e aggiornata periodicamente. Lo stato chimico può essere solo buono o non buono, quindi se viene superato anche solo un valore tra quelli contenuti nella lista, lo stato del corpo idrico scade, con la conseguente classificazione di non buono.
Dalla lettura dello stato ecologico e chimico possiamo mutuare una fotografia che ci mostra come molti tratti del fiume siano classificati non buoni e fortemente modificati, ma dobbiamo, comunque, tenere conto che il trend è complessivamente positivo perché negli anni sono stati registrati miglioramenti.
Per quanto riguarda l’Arno, Marcello Mossa Verre sottolinea che lo stato ecologico nella parte a monte del fiume, vicino alla sorgente, risulta elevato poi la situazione tende a peggiorare avvicinandosi alla foce.
Per lo stato chimico valgono analoghe considerazioni, lo stato chimico a monte è buono, scendendo risultano esserci punti in via di miglioramento ed altri che peggiorano, ma, il linea di massima, è possibile affermare che lo stato chimico del fiume tende a scadere via via che ci si approssima alla foce.
Destano alcune preoccupazioni inquinanti come i metaboliti del glifosato e alcuni nuovi inquinanti, emergenti, ad esempio il FPAS, usato come impermeabilizzante dei tessuti, che è stato rinvenuto in alcuni punti di campionamento e che non è presente nelle acque sotterranee.
Dai monitoraggi realizzati dall’Agenzia possiamo desumere che, tra gli indicatori da considerarsi molto sensibili, si possono annoverare i macro-invertebrati che sono determinanti nel valutare lo stato del corpo idrico, mentre altri risultanto meno significativi. LIMeco, che potrebbe essere influenzato dalla depurazione, risulta meno sensibile, appare meno disturbato, in quanto le sostanze azotate, i vari nitrati, sono meno preoccupanti e risulta più condizionato da questioni naturali come la morfologia dei corpi idrici.
Dobbiamo, in ogni caso, considerare che alcune sostanze chimiche, che incidono sullo stato ecologico e chimico, sono in quantità molto ridotte e risulta anche difficile, allo stato attuale, capire come gestirle, forse non è neppure possibile intervenire attraverso la depurazione e quindi devono essere gestite diversamente operando più sul versante della prevenzione.
Altrettanto preoccupante risulta la presenza della plastica nei nostri fiumi, veri e propri vettori di questo materiale verso i mari. Come sottolinea Luca Solari dell’Università di Firenze, si stima che attraverso i corpi idrici superficiali giungano nei mari da 0,41 a 4 milioni di tonnellate di plastica.
Quando parliamo di plastica nei fiumi ma anche nei mari, dobbiamo considerare che c’è una plastica che si vede, quella che galleggia ed una che, invece, rimane invisibile, rimanendo nella colonna d’acqua o sul fondale, ma non da sottovalutare. Infatti, la plastica nell’acqua si trasforma, subisce l’attacco da parte dei batteri, si crea un biofilm prodotto dai batteri, viene appesantita ed affondata, oppure si frantuma rilasciando sostanze tossiche o ancora si trasforma in frammenti che possono essere anche di dimensioni piccolissime, tanto da parlare di micro o nano plastiche, che possono finire nella catena alimentare.
Per quanto riguarda la presenza di plastica nei nostri fiumi, non ci sono molti studi, secondo i calcoli realizzati dall’olandese Ocean Clean Up:
- il Tevere trasporta 39.600 kg di plastica ogni anno,
- l’Arno 18.700 kg ogni anno
- il Po 5.400 kg ogni anno.
Non si tratta di dati definitivi e dobbiamo dire che ancora sappiamo poco su questo tema. Per quanto riguarda l’Arno, abbiamo alcuni dati rilevati in occasione della predisposizione di una tesi di laurea, da cui emerge che la plastica presente nel fiume, all’altezza dell’opera di presa dell’Anconella a Firenze, risulta essere di 0,6 MP/mcubo.
Questo tipo di inquinante purtroppo spesso sfugge alla depurazione, gli impianti di trattamento delle acque, infatti, non sempre riescono a trattenere le micro-nano plastiche, quindi è preferibile realizzare delle politiche di prevenzione per ridurne l’impatto, tenendo conto delle diversi fonti di provenienza sia agricoltura che industriale ma anche errati comportamenti delle persone nella gestione dei rifiuti.
Scarica la presentazione di Marcello Mossa Verre (direttore generale Arpat)
Testo a cura di Stefania Calleri