Muoversi in bicicletta, tra tradizione e innovazione

La bicicletta è il mezzo più efficiente per gli spostamenti urbani. Tuttavia viene ancora vista spesso come ostacolo alla circolazione dei mezzi motorizzati. I vantaggi di un più diffuso uso della bici sono notevoli in termini ambientali, economici, di sicurezza e di salute, come mostrano diversi studi. L’articolo in Ecoscienza 6/2019.

Che la bicicletta sia il mezzo più efficiente per gli spostamenti urbani è un dato noto a chi si occupa di mobilità. A parità di energie impiegate, la bicicletta compie uno spostamento maggiore rispetto a tutti gli altri mezzi.
Ce lo conferma l’esperienza personale. È un mezzo molto più veloce del mezzo pubblico grazie alla possibilità di scegliere il tragitto migliore ed evitare fermate e soste. È più veloce anche dell’automobile, che dà l’illusione di velocità grazie ai picchi, ma nella realtà mantiene, nel traffico, una media inferiore ai 15 km/h.
A tutto ciò occorre aggiungere i tempi di ricerca del parcheggio.

La bici è il mezzo più efficiente per gli spostamenti urbani

Ce lo dicono inoltre le rilevazioni empiriche, come quelle fatte da Legambiente per anni in varie città metropolitane con l’iniziativa “Trofeo Tartaruga”: dato uno stesso punto di partenza e arrivo in un tragitto di circa 5 km, nella gara tra auto, bici e trasporto pubblico, l’utente in bici è sempre risultato il primo ad arrivare.

Ce lo confermano infine anche gli studi scientifici, come lo studio “Bicycle Technology” di S.S. Wilson, pubblicato da Scientific American nel 1973. Nello studio si mostra il paragone non solo con altri mezzi di spostamento inventati dall’uomo, ma anche con il movimento di alcuni animali (con i dati ricavati dagli studi del biologo Vance A. Tucker della Duke University) (figura 1).

Nonostante sia intuitivo che un mezzo di 14 kg (la bici) sia più efficiente di un mezzo che pesa in media 14 quintali (l’auto) per spostare un essere umano, questo dato continua a stupire. Eppure, nonostante le evidenze scientifiche, nell’immaginario collettivo italiano la bicicletta è relegata esclusivamente al tempo libero ed è molto lontana dallo smart, efficiente e prestante ciclista urbano europeo.

A farla da padrona è la nostalgia del ciclismo storico raccontato da manifestazioni come L’Eroica (la pedalata vintage tra le colline del Mugello che fa più di 8.000 paganti da tutto il mondo ogni anno) e dal ricordo dei furgoncini Doniselli, i mitici tricicli da trasporto usati da tutti i lavoratori urbani, dai netturbini ai gelatai, prima della grande motorizzazione del dopoguerra. Cartoline sbiadite buone per le domeniche pomeriggio, per i laboratori di restauro e le vetrine dei negozi dei centri storici.

Secondariamente, da un decennio circa, assistiamo alla grande rinascita della pratica del ciclismo sportivo, sia per i professionisti, con rinnovato interesse verso le più famose manifestazioni sportive come il Giro d’Italia (tornato sulle reti nazionali e sulle prime pagine dei quotidiani), che per gli amatori di tutte le età, testimoniato dalla crescita costante del mercato delle bici sportive.

Per quanto possano sembrare incoraggianti, questi segnali sembrano avere l’effetto paradossale di rafforzare l’idea che le biciclette debbano stare lontane dalla vita quotidiana delle nostre città. Del resto, la vulgata vuole la bicicletta come “ostacolo” alla circolazione dei mezzi motorizzati, contrapponendo il ciclista perdigiorno al lavoratore in automobile. Le strade delle nostre città confermano il diffuso pregiudizio per cui l’auto rappresenta il mezzo più competitivo negli spostamenti quotidiani (usata nel 69% degli spostamenti casa-lavoro): in Italia la mobilità ciclistica si attesta su percentuali veramente marginali. 

La mobilità ciclistica in Italia è ancora marginale

Secondo il rapporto Mobilitaria 2016-2017 di Kyoto Club/Isfort, la media delle 14 città metropolitane dà la bicicletta al 2,7% degli spostamenti, con il primato alla città di Firenze, a 5,5%, e l’ultimo posto per Napoli allo 0,6%. Dati che tristemente si scontrano con le evidenze scientifiche sulla centralità che la bicicletta potrebbe avere nel rendere i nostri centri abitati più sicuri e i cittadini meno poveri e più in salute. 

In termini collettivi, secondo il 1° Rapporto sull’economia della bici in Italia del 2018 compilato da Legambiente, l’uso attuale della bicicletta, pur così marginale, produce in Italia un risparmio sanitario quantificabile in circa 1 miliardo di euro, un risparmio di 107 milioni di euro di costi delle infrastrutture necessarie (le infrastrutture dedicate alla ciclabilità richiedono, infatti, meno spazio e quindi minori costi), e circa 500 milioni di euro di riduzione dei costi ambientali e sociali delle emissioni di gas serra. 

Uno studio di Polinomia del 2016 – condotto all’interno del Biciplan della città di Bologna – ci dice che con un investimento iniziale di 10 milioni di euro (più 16 milioni di euro l’anno per il mantenimento di servizi e infrastrutture), il Comune di Bologna potrebbe generare un ritorno economico nell’ordine di 32 milioni di euro l’anno per il Comune stesso, tra risparmio infrastrutturale, costi incidentali e sociali. 

Lo stesso incredibile risparmio si avrebbe anche sulle spese di trasporto sostenute dal singolo cittadino: secondo Il Sole 24 Ore, il costo per il possesso e mantenimento di un’auto oscilla tra i 2.400 e i 2.800 euro l’anno, ai quali bisogna aggiungere i costi del carburante. L’attuale uso della bicicletta consente agli italiani un risparmio di oltre 127 milioni di euro di carburante. A questo si aggiungano oltre al miglioramento della salute, anche il vantaggio di una diminuzione dei tempi di spostamento: Ipsos e Boston consulting group per la prima edizione dell’Osservatorio europeo della mobilità ci dicono che gli italiani che si spostano in auto ci passano circa 556 ore all’anno, di cui 35 fermi negli ingorghi. 

Nell’ultima rilevazione di The European House Ambrosetti per Finmeccanica, si sostiene che il modello di mobilità attuale genera effetti negativi quantificati tra i 30 e i 50 miliardi di euro ogni anno, quasi il 3% del Pil italiano.

Inutile aggiungere che, in combinazione con il trasporto pubblico, con una maggiore capillarità dei servizi, la bicicletta potrebbe essere la soluzione intermodale anche per spostamenti extraurbani, mentre le cargo bike elettrificate costituiscono per esempio una validissima alternativa per la logistica nelle città e le movimentazioni dell’ultimo miglio, eliminando così gli ultimi alibi di chi pensa che la bicicletta sia una soluzione per pochi e non “per chi lavora”.

Come uscire da questa situazione di stallo? 

La strada è indicata da tempo da tutte quelle città europee che da decenni si stanno impegnando nella riduzione del traffico motorizzato in favore della bicicletta. Non mancano buone pratiche, efficaci campagne di comunicazione (come quelle diffuse in tutto il mondo da Copenhagenize.com) e modelli spesso riportati in ambiziosi piani del traffico. A Copenhagen l’uso della bicicletta si attesta su percentuali che arrivano al 65%, grazie a un’urbanistica che ha da tempo messo al centro lo spostamento delle persone, marginalizzando l’uso dell’auto e costruendo spazi urbani intelligenti e funzionali.

In Italia, invece, latita un’efficace azione politica congiunta a livello nazionale e locale, che sappia con coraggio prendere provvedimenti impopolari ma necessari, e coinvolgere i cittadini in un necessario cambiamento che è prima di tutto culturale e sociale. 

Ancora vittime di un modello di sviluppo che ha visto negli anni 60 l’industria dell’auto e lo sviluppo della rete autostradale come primario strumento di modernizzazione del nostro paese, rischiamo di non riuscire più a recuperare i danni fatti al paesaggio, alla qualità dell’aria e alla disgregazione delle rete sociali negli sprawl urbani dove l’auto è diventata l’unico mezzo per connettere luoghi e persone, a scapito della felicità degli individui e della loro libertà di spostamento.
L’articolo in Ecoscienza 6/2019
di Simona Larghetti, Project Manager Dynamo Velostazione
Presidente Consulta della bicicletta, Comune di Bologna

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