Radioattività in Lombardia, pubblicati i dati 2020

Sono stati recentemente pubblicati sul sito di Arpa Lombardia i dati 2020 della Rete di monitoraggio della radioattività ambientale in Lombardia.

Il report riporta i risultati delle analisi effettuate nel 2020 su 1033 campioni di cui 176 prodotti alimentari, 302 acque potabili e 555 matrici ambientali.

Nel 32% dei campioni di prodotti alimentari è stata individuata la presenza in tracce di Cs-137 (cesio 137) ancora riconducibile alle conseguenze dell’incidente di Chernobyl. La maggior parte di questi campioni (55 su 58) è relativa a selvaggina, funghi e pesci di lago. Tutti i campioni sono risultati conformi, tranne uno su funghi spontanei che ha superato il livello di riferimento per la concentrazione di Cs-137 stabilito dalla normativa europea (600 Bq/kg).

In tutti i campioni di acqua potabile la radioattività artificiale è risultata assente, mentre quella naturale è risultata trascurabile e conforme ai requisiti stabiliti dal D.L.vo 28/16.

Le analisi di radioattività sui campioni d’aria (particolato atmosferico e gas) hanno evidenziato la presenza sporadica di iodio 131 (valore massimo 11 microBq/m3) e cesio 137 (valore massimo 3 microBq/m3), entrambi in concentrazioni non rilevanti per la salute e non attribuibili a incidenti in impianti nucleari, ma sempre riconducibili alle conseguenze dell’incidente di Chernobyl (cesio 137) o all’utilizzo di radiofarmaci a scopo sanitario (iodio 131).


Concentrazione di cesio 137 in aria – Punto di controllo: Milano

La normativa europea (Trattato Euratom del 1957, Raccomandazione 2000/473/Euratom, Raccomandazione 2003/274/CE) e nazionale (D.L.vo 101/2020) stabiliscono tempi e modi del monitoraggio sistematico dei livelli di radioattività in ambiente e negli alimenti. In Lombardia la Rete di monitoraggio della radioattività, attiva dal 1988, è gestita dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in collaborazione con la DG Welfare regionale.

 La presenza di livelli mediamente più elevati di Cs-137 nei campioni di prodotti spontanei (selvaggina, frutti di bosco, funghi e pesci di lago) dipende dalla specificità degli ambienti naturali boschivi e lacustri che hanno la peculiarità di accumulare e trattenere nel tempo il Cs-137 immesso in ambiente dall’incidente di Chernobyl del 1986. Tali prodotti, considerata la loro scarsa presenza nella dieta umana, più che alimenti vanno considerati indicatori ambientali e come tali sono costantemente sotto controllo.

I controlli sulle acque potabili hanno lo scopo di rilevare la presenza di sostanze radioattive di origine sia naturale che artificiale, entrambe ugualmente pericolose per la salute se presenti in quantità superiori a quanto stabilito dalla normativa vigente (D.L.vo 28/2016).  In Lombardia la maggior parte delle acque utilizzate a scopo potabile origina da acquiferi sotterranei che sono naturalmente protetti dalla contaminazione antropica. Quasi tutte le acque contengono invece uranio naturale, in quantità misurabile ma ben al di sotto dei limiti stabiliti dalla legge.

La rete di monitoraggio della radioattività negli alimenti prevede ogni anno il prelievo e l’analisi radiometrica di campioni di alimenti nei quali viene quantificato il contenuto di radionuclidi gamma emettitori (il cesio 137 è tra questi) e in alcuni casi anche il contenuto di Sr-90, entrambi ancora presenti in ambiente dopo l’incidente di Chernobyl e dei test nucleari in atmosfera degli anni sessanta.

Nel grafico seguente viene rappresentata la distribuzione percentuale delle tipologie di alimenti analizzati.

Oltre ai principali componenti della dieta, alimenti di largo consumo campionati in centri di grande distribuzione, la rete monitora alimenti meno frequenti nella dieta – come miele, frutti di bosco, funghi spontanei, pesci carnivori di lago e selvaggina – che tuttavia rappresentano meglio la contaminazione radioattiva della catena alimentare su scala locale e sono perciò considerati importanti indicatori ambientali.

Nel 2020 la stima della dose annuale pro-capite dovuta al consumo di alimenti, valutata sulla base dei prodotti di largo consumo che contribuiscono in misura dominante alla dieta, è pari circa ad 1 microSv.

Tale valore è 10 volte inferiore rispetto al criterio di non rilevanza radiologica di 10 microSv anno-1, quindi irrilevante.

Gli studi confermano pertanto la salubrità, dal punto di vista del contenuto di radioattività, degli alimenti di più largo consumo presenti sulle nostre tavole.

L’intero set di dati è scaricabile a questo link https://www.arpalombardia.it/Pages/Radioattivita/Radioattivit%C3%A0.aspx

a cura di Rosella Rusconi – Arpa Lombardia

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