Una zona ad alta pericolosità sismica quella tra la Turchia meridionale e la Siria settentrionale dove ha avuto luogo il terribile terremoto che ha provocato migliaia di vittime.
Dopo la prima scossa registrata nella notte tra il 5 e il 6 febbraio di magnitudo pari a 7.9, anche in Italia è stato attivato l’allerta tsunami “rosso”. Alle 2:26, ora italiana, di lunedì 6 novembre, il Dipartimento di Protezione Civile aveva diramato un’allerta tsunami relativo al rischio di una possibile onda di maremoto con un’altezza s.l.m. superiore a 0,5 metri e/o un run-up (la quota topografica raggiunta dall’onda durante l’inondazione) superiore a 1 metro, mantenendo un costante aggiornamento tra l’Istituto nazionale INGV e il Dipartimento di Protezione Civile per l’analisi dei dati. Sulla base di quanto registrato dalla Rete mareografica nazionale, gestita dall’Istituto, non sono state osservate oscillazioni del livello del mare degne di rilievo e quindi l’allerta tsunami si è chiuso alle 7 ora italiana.
L’Ispra ha il compito di fornire in tempo reale i dati di livello marino rilevati dai suoi strumenti al Centro per l’Allerta Tsunami (CAT) dell’INGV. Quest’ultimo verifica la possibilità che un determinato evento sismico con epicentro nel mare, o in prossimità di aree costiere, possa generare un maremoto, stimando i tempi di arrivo delle onde e i tratti costieri potenzialmente interessati. Un sistema di sorveglianza in continuo quello dell’Istituto costituito da 36 mareografi, posizionati sulla terraferma in porto, che indicano il livello del mare in quel punto. A questi si aggiungono altri sei mareografi del Sistema nazionale di allerta maremoti (SiAM).