L’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ha pubblicato due briefing che lanciano nuovi allarmi.
Nel 2018, infatti, le concentrazioni di gas a effetto serra hanno raggiunto nuovi massimi e i dati in tempo reale provenienti da una serie di località specifiche indicano che i livelli di anidride carbonica (CO2) hanno continuato ad aumentare anche nel 2019.
La concentrazione di CO2, il principale gas serra correlato alle attività umane, ha raggiunto nuovi massimi nel 2018, con 407,8 parti per milione (ppm), ovvero il 147% rispetto al livello preindustriale del 1750, in crescita rispetto a 405,5 ppm del 2017. L’aumento tra il 2017 e il 2018 è stato superiore al tasso di crescita medio dell’ultimo decennio.
Circa il 40% del metano viene emesso in atmosfera da fonti naturali e circa il 60% proviene da attività umane, come l’allevamento di bestiame, la coltivazione del riso, lo sfruttamento di combustibili fossili, le discariche e la combustione di biomassa. Il metano atmosferico ha raggiunto un nuovo massimo nel 2018, con circa 1869 parti per miliardo (ppb) ed è ora al 259% rispetto al livello preindustriale. L’aumento dal 2017 al 2018 è stato superiore sia a quello osservato tra il 2016 e il 2017 sia alla media dell’ultimo decennio.
Il protossido di azoto viene emesso in atmosfera da fonti naturali (circa il 60%) e antropiche (circa il 40%), inclusi oceani, suolo, combustione di biomassa, uso di fertilizzanti e vari processi industriali. La sua concentrazione atmosferica nel 2018 era di 331,1 parti per miliardo. Questo rappresenta il 123% dei livelli preindustriali. L’aumento dal 2017 al 2018 è stato anche superiore a quello osservato dal 2016 al 2017 e al tasso di crescita medio negli ultimi 10 anni. Il protossido di azoto svolge un ruolo importante nella distruzione dello strato di ozono stratosferico che ci protegge dai dannosi raggi ultravioletti del sole.
Non vi sarebbe dunque alcun segno di rallentamento, per non parlare di calo, nella concentrazione di gas serra in atmosfera, nonostante tutti gli impegni previsti dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: l’ultima volta che la Terra ha sperimentato una concentrazione comparabile di CO2 è stata 3-5 milioni di anni fa. Allora, la temperatura era più calda di 2-3° C, il livello del mare era di 10-20 metri più alto di adesso.
Secondo un altro briefing dell’Organizzazione meteorologica mondiale, il 2019 sarà molto probabilmente il secondo o il terzo anno più caldo mai registrato, chiudendo un decennio di eccezionale calore globale e condizioni meteorologiche ad alto impatto.
La temperatura media globale da gennaio ad ottobre 2019 è stata infatti di 1,1 ± 0,1° C al di sopra delle condizioni preindustriali (1850-1900). Le medie quinquennali (2015-2019) e decennali (2010-2019) sono, rispettivamente, quasi sicuramente il quinquennio e il decennio più caldi mai registrati. Dagli anni ’80, ogni decennio successivo è stato più caldo dell’ultimo.
L’innalzamento medio globale del livello del mare risulta accelerato a causa dello scioglimento delle calotte glaciali in Groenlandia e Antartide, secondo il rapporto. Ad ottobre 2019, il livello ha raggiunto il suo valore più alto a partire da gennaio 1993.
L’oceano, che funge da cuscinetto
assorbendo calore e anidride carbonica, sta pagando un prezzo pesante, a
partire dalle temperature oceaniche che hanno raggiunto livelli record.
Nel decennio 2009-2018, l’oceano ha assorbito circa il 22% delle emissioni annuali di CO2, il che aiuta ad attenuare i cambiamenti climatici. Tuttavia, l’aumento delle concentrazioni atmosferiche di CO2
influisce sulla chimica dell’oceano e delle sue acque che risultano il
26% più acide rispetto all’inizio dell’era industriale, con conseguenze
negative sugli ecosistemi marini.
Il continuo declino a lungo termine del ghiaccio marino artico è stato confermato anche nel 2019: l’estensione minima giornaliera di ghiaccio marino artico a settembre 2019 è stata la seconda più bassa.
Parlando poi degli eventi climatici estremi, le ondate di calore e le inondazioni, che erano un tempo eventi rari, stanno diventando sempre più regolari. I paesi che vanno dalle Bahamas al Giappone al Mozambico hanno subito l’effetto di devastanti cicloni tropicali. Incendi violenti hanno attraversato l’Artico e l’Australia.
Sui devastanti incendi in corso in Australia il WMO mette in evidenza la connessione con il cambiamento climatico.
Il briefing del WMO dedica un’ampia sezione agli impatti meteorologici e climatici sulla salute umana, sulla sicurezza alimentare, sulla migrazione, sugli ecosistemi e sulla vita marina. Non si può scordare, ad esempio, che la variabilità climatica e gli eventi meteorologici estremi sono oggi tra i fattori chiave dell’aumento della fame nel mondo.
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