La pandemia in atto e le conseguenti restrizioni stabilite per contrastare la diffusione della malattia hanno fornito alcuni impatti positivi a breve termine sull’ambiente europeo.
Abbiamo già affrontato l’aspetto relativo all’inquinamento atmosferico, vedendo come dall’inizio della pandemia si siano potuti apprezzare miglioramenti temporanei della qualità dell’aria.
Stessi impatti positivi, a breve termine e anch’essi probabilmente temporanei, si sono potuti osservare sui livelli di inquinamento acustico che hanno senza dubbio risentito delle restrizioni alla circolazione e allo svolgimento di attività durante i mesi di lockdown. Ricordiamo però che gli effetti del rumore sulla salute compaiono quando l’esposizione è a lungo termine; una riduzione quindi dei livelli di rumore nell’arco di pochi mesi non ridurrebbe in modo significativo l’indicatore utilizzato per misurare gli effetti del rumore, a meno che le risposte messe in atto non determinino riduzioni a lungo termine dei livelli di traffico, trasporto aereo e altre attività rumorose.
Per quanto riguarda le emissioni di gas serra, il settore dei trasporti, una delle principali fonti, risulta particolarmente colpito dalla crisi. La domanda di trasporto passeggeri è infatti diminuita a causa delle restrizioni sui viaggi internazionali e della riduzione del pendolarismo, del turismo e dei viaggi d’affari. L’Unione internazionale trasporto stradale prevede un calo del 57% del fatturato dell’attività di trasporto passeggeri su strada in Europa per il 2020 rispetto all’anno precedente; per il trasporto aereo, i dati dell’International Air Transport Association mostrano un calo del 65,2% dei passeggeri aerei in chilometri in Europa da inizio anno a luglio rispetto allo stesso periodo del 2019: queste cifre indicano un calo significativo delle emissioni di gas serra dai trasporti nel 2020.
Quanto al settore energetico, le prime stime dell’Agenzia internazionale dell’energia dicono che la domanda globale di energia è destinata a diminuire del 5% nel 2020, le emissioni di CO2 legate all’energia del 7% e gli investimenti energetici del 18%.
Tuttavia, la riduzione delle emissioni antropiche dovuta alle misure di confinamento non avrà un effetto visibile sulla media globale di anidride carbonica atmosferica nel 2020, poiché questa riduzione sarà minore, o al massimo simile, alla variabilità naturale osservata di anno in anno. Questo è quanto emerge dalle recenti analisi dell’Organizzazione metereologica mondiale che ha rilevato ancora livelli record di anidride carbonica in atmosfera nonostante i lockdown dell’ultimo anno.
Ma questa emergenza sta mostrando chiari segni negativi su altri aspetti, ad esempio il maggior consumo di imballaggi e prodotti in plastica monouso, come risultato delle misure di blocco nella maggior parte dell’Europa, insieme a severi requisiti di igiene. La pandemia ha infatti portato ad un improvviso aumento della domanda globale di dispositivi di protezione individuale; all’inizio dell’emergenza l’Organizzazione mondiale della sanità aveva stimato, ogni mese, la necessità di 89 milioni di mascherine mediche a livello globale, insieme a 76 milioni di guanti da visita e 1,6 milioni di set di occhiali.
Quanto alle abitudini di consumo della popolazione, poiché la maggior parte dei ristoranti è stata chiusa per la ristorazione in loco, molti sono passati a offrire servizi di asporto e consegna utilizzando contenitori di plastica monouso. Diversi grandi rivenditori di caffè hanno smesso di consentire ai clienti di portare contenitori riutilizzabili, utilizzando tazze usa e getta al loro posto. Nel frattempo, i punti vendita online hanno registrato un’impennata della domanda, con molti prodotti confezionati in plastica monouso.
Sebbene i prodotti in plastica usa e getta abbiano svolto un ruolo importante nella prevenzione della diffusione della malattia, a breve termine, l’aumento della domanda di questi articoli potrebbe frenare gli sforzi fatti dall’UE per combattere l’inquinamento da plastica e passare ad un sistema di plastica più sostenibile e circolare. Su questo versante ricordiamo l’appello che a livello regionale hanno fatto nel mese di giugno 2020 Legambiente e Unicoop Firenze, denunciando il pericolo di un uso strabordante di plastica usa e getta e ricordando a tutti di non perdere le buone abitudini acquisite prima della pandemia.
Ci sono però anche altri fattori legati all’emergenza in atto che impattano su questo aspetto: la riduzione dell’attività economica ha visto un forte calo dei prezzi globali del petrolio e ciò ha reso significativamente più economico produrre articoli in plastica da materiali vergini di origine fossile piuttosto che utilizzare materiali plastici riciclati. La minore domanda di mercato per la plastica riciclata ha anche complicato gli sforzi di molte amministrazioni europee per la gestione delle loro pratiche di smaltimento, dovendo optare per metodi di smaltimento dei rifiuti meno sostenibili a causa delle quantità significative di rifiuti di plastica.
Al di là di questi impatti specifici, la pandemia sta evidenziando, ancora una volta, la natura interconnessa dei nostri sistemi, economici, sociali, ambientali.
Gli studi indicano Covid-19 come una malattia passata dagli animali all’uomo e la comparsa di tali patogeni zoonotici è collegata al degrado ambientale e alla correlata interazione umana con gli animali nel sistema alimentare. Circa il 60% delle malattie infettive umane sono infatti di origine animale e tre quarti delle malattie infettive nuove ed emergenti sono trasmesse all’uomo dagli animali.
Nuovi virus sono emersi da sistemi intensivi di allevamento di bestiame domestico e più del 50% delle malattie infettive zoonotiche emerse dal 1940 sono state associate a misure per intensificare l’agricoltura.
Il periodo di blocco ci ha dato poi un assaggio di come le specie animali e vegetali reagiscono a un minore disturbo umano, sia in contesti rurali che urbani. Durante il blocco a livello europeo, un minor disturbo nelle aree urbane e remote (meno turismo ricreativo) ha offerto agli ecosistemi e agli habitat la possibilità di riprendersi e ha fornito nuovi spazi e nicchie da occupare per le specie. Una nuova ricerca sta esaminando il modo in cui le aree naturali urbane aumentano la resilienza delle città, mantenendo il benessere delle popolazioni urbane e consentendo anche il distanziamento sociale. Mantenere o espandere lo spazio per la natura nelle città dovrebbe diventare sempre più parte dell’agenda della sostenibilità.
Da tutto ciò emerge l’urgente necessità di affrontare le sfide ambientali, per proteggere non solo l’ambiente, ma anche la salute e il benessere della nostra società. La gestione di questa emergenza è senza dubbio un’occasione importante da cui imparare, anche per orientare le nostre scelte per il futuro.
Per approfondimenti leggi il Briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente COVID-19 and Europe’s environment: impacts of a global pandemic