L’accordo di Parigi mira a contenere l’aumento della temperatura atmosferica globale sotto i 2° C entro la fine del secolo, limitando le emissioni di gas serra. Tuttavia, l’innalzamento delle temperature nella zona dell’Artico può portare allo scongelamento del permafrost, con conseguenti emissioni aggiuntive di gas serra in atmosfera. Queste emissioni aggiuntive riducono infatti il bilancio del ciclo di carbonio, che delinea la quantità consentita di emissioniantropiche prima che vengano superati i 2° rispetto alla temperatura media preindustriale.
Un rapporto del JRC ha valutato l’attuale e futuro scongelamento del permafrost nell’Artico e le conseguenti emissioni di anidride carbonica e metano.
arctic_permafrost_thawing_onlineL’Artico si riscalda più velocemente del resto del pianeta e gli scienziati del JRC hanno concluso che l’incremento delle temperature in questa zona negli ultimi decenni è principalmente causato dal riscaldamento dell’oceano e del ghiaccio marino in inverno e dal riscaldamento della terra in estate.
Lo scongelamento del permafrost, ovvero i terreni perennemente ghiacciati che caratterizzano le regioni più settentrionali del pianeta, produrrebbe dunque un aumento delle emissioni di anidride carbonica. I cambiamenti passati nelle condizioni climatiche nell’area del permafrost hanno infatti portato ad un accumulo di vegetazione depositata, che ha creato grandi concentrazioni di carbonio organico nel suolo: si stima che nei terreni ghiacciati dell’emisfero settentrionale sia immagazzinato il doppio del carbonio contenuto nell’atmosfera. Quando il permafrost si scongela, il carbonio organico accumulato viene rilasciato in atmosfera con conseguente ulteriore emissione di anidride carbonica e metano destinati ad accelerare ancor di più il riscaldamento globale.
Le emissioni di anidride carbonica provenienti dallo scongelamento del permafrost hanno già un impatto sul tasso di riscaldamento globale, ma al momento il loro contributo è molto inferiore a quello delle emissioni prodotte dall’uomo. Gli scienziati stimano che in futuro la situazione potrebbe invertirsi e le emissioni provenienti dallo scongelamento del permafrost diventare più grandi di quelle antropiche e gli obiettivi dell’accordo di Parigi per ridurre il riscaldamento globale potrebbero essere superati prima del previsto. Ciò richiederebbe ulteriori riduzioni delle emissioniantropogeniche per limitare l’aumento della temperatura globale.
Ma gli effetti dello scongelamento del permafrost non si fermerebbero qui: uno studio pubblicato sulla rivista scientifica BiorXiv ha evidenziato come il disgelo dei ghiacciai e del permafrost può liberare virus e batteri non più attivi e intrappolati nel ghiaccio da millenni. Lo studio presenta i risultati di un progetto di ricerca iniziato nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi e cinesi che hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nell’altopiano del Tibet. I ricercatori hanno perforato uno strato di ghiacciaio profondo 50 metri per ottenere due campioni in cui hanno identificato 33 gruppi di virus, 28 dei quali sconosciuti e sepolti da millenni. Si tratta di agenti patogeni che potrebbero liberarsi nell’aria ed entrare in contatto con le falde acquifere: tra questi il vaiolo o l’antrace, oltre ad altre malattie sconosciute e dunque pericolose per l’uomo che non ha gli anticorpi necessari per affrontarle.