Nel nostro Paese i cittadini si stanno rendendo sempre
più parte attiva della cosa pubblica, realizzando, nel proprio contesto
locale o su una scala anche più ampia, dei cambiamenti tangibili e
creando allo stesso tempo un nuovo modo di essere cittadini e componenti
di una determinata comunità.
Dalle persone che si rimboccano le maniche per risolvere un problema che affligge il proprio territorio o la propria comunità, a persone che in nome di una sensibilità sempre più accesa verso le problematiche ambientali si sono fatte promotrici di progetti di raccolta dati e monitoraggio ambientale.
In entrambi questi casi stiamo parlando di attività che, pur non arrivando sempre all’attenzione del grande pubblico, ci raccontano di cittadini partecipi alla cosa pubblica, corresponsabili del buon andamento della propria città o della cura e gestione della “casa comune”, ovvero l’ambiente.
Esempi li possiamo ritrovare sia nei quartieri delle nostre città, sia nello spazio virtuale delle app e più in generale del Web. Ecco allora i movimenti Retake che sono impegnati per la diffusione del senso civico in diverse città italiane, in primis Milano e Roma, e che cercano di coinvolgere i cittadini nella risoluzione comune di problemi, favorendo il recupero degli spazi e dei beni pubblici.
Fare Comunità è un blog dell’associazione “Amici di Pericle” di Piedimonte Matese nell’Alto Casertano, che vuole contribuire a diffondere nel territorio la cultura civica e democratica e favorire la partecipazione dei cittadini nella risoluzione dei problemi delle comunità.
Anche le app possono dal canto loro favorire tale senso civico, permettendo di gestire problematiche ed esigenze comuni in modo collaborativo, trovare soluzioni condivise, scambiare esperienze. Su Arpatnews ne abbiamo ad esempio parlato affrontando il tema della riduzione dei rifiuti, alimentari, tessili e ingombranti.
Guardando a queste esperienze e facendo riferimento a quel modello di società e di città oggi definita “smart”, potremmo qui a tutti gli effetti parlare di smart citizens, in quanto questi cittadini sono sì portatori di bisogni, ma manche soggetti capaci di proporre soluzioni e quindi attori collaborativi nell’attuazione delle loro proposte. Sono cioè cittadini “intelligenti” perché si prendono cura della cosa pubblica.
Se infatti la smart city è una città caratterizzata da un’alta qualità della vita, o perlomeno preoccupata di migliorare la qualità della vita dei propri abitanti e di proteggere l’ambiente in cui essi vivono, ed è in grado di rispondere ai bisogni sociali ed economici della società e dei singoli cittadini, questo vale anche per chi questa città la vive, come attore partecipe e consapevole.
Alcuni di questi cittadini si fanno chiamare “civic hackers”, per sottolineare il loro attivismo al di là delle intenzioni della pubblica amministrazione: anzi, là dove quest’ultima latita o ritarda, loro si inseriscono per cercare soluzioni e risposte creative ad esigenze e problemi concreti, senza allo stesso tempo contrastare chi ufficialmente e professionalmente deve gestire ed amministrare la cosa pubblica, contribuendo così a far emergere problemi altrimenti invisibili e a darne valore, prendendosene cura.
A ben vedere non sono poi tanto lontano dai movimenti Retake o simili, se non per il fatto che questi problem solvers delle smart city si affidano in modo preponderante alla tecnologia per facilitare l’individuazione e la soluzione dei problemi. Alcuni esempi sono i cittadini che attraverso la tecnologia si sono applicati con creatività per dare una risposta all’emergenza terremoto facendosi comunità (Terremoto Centro Italia) o l’esperienza di MappiNa, una piattaforma collaborativa che realizza una diversa immagine delle città attraverso il contributo, critico ed operativo, dei suoi abitanti.
Sulla stessa lunghezza d’onda possiamo collocare chi prende parte a progetti di citizen science, che è qualcosa di più che un modo di raccogliere dati, contribuendo attivamente a sensibilizzare, costruire capacità e soprattutto rafforzare le comunità.
Esempi di citizen science li abbiamo sotto i nostri occhi nelle nostre città: citiamo ad esempio il progetto Che aria tira? di autocostruzione – da parte di cittadini interessati al tema – di una rete di centraline low cost per la misurazione della qualità dell’aria nella piana fiorentina; sullo stesso tema il progetto umbro AirSelfie® che ha visto il contributo di cittadini che hanno indossato dei sensori portatili in grado di misurare in tempo reale le concentrazioni di PM2.5 nel corso della giornata.
Il campo della marine litter si presta molto bene ad esperienze di citizen science: la stessa Agenzia europea per l’ambiente (AEA) con Marine LitterWatch consente ai cittadini di monitorare, identificare e segnalare i rifiuti marini trovati sulle spiagge utilizzando l’elenco standard previsto dalla Strategia marina stessa, ottenendo quindi la comparabilità con i dati raccolti dagli Stati membri nei mari regionali europei e nell’insieme dell’UE.
Ricordiamo qui anche l’esperienza degli osservatori civici, “sentinelle per l’ambiente” che vigilano sul territorio con compiti di segnalazione per scoraggiare gli abusi, ma anche con finalità di proposta di soluzioni nei confronti delle istituzioni; tali osservatori sono particolarmente attivi in Campania.
Spostandoci in un altro campo c’è il Progetto Radon in Friuli Venzia Giulia, dove la popolazione è stata chiamata a collaborare attivamente con i ricercatori per le misure di radon nelle abitazioni.
Ad oggi purtroppo non vi è ancora sufficiente sinergia tra la citizen science e le iniziative delle smart city e neppure vi è interoperabilità e riusabilità dei dati, delle app e dei servizi sviluppati in ogni progetto. Questo rende difficile confrontare i risultati e quindi trasferirli da un contesto all’altro. Molto spesso i dati raccolti per un dato progetto scompaiono infatti dopo la fine del progetto stesso, rendendo impossibile la riproducibilità dei risultati e l’analisi delle serie temporali. Tentativi di diverso tipo sono alla base invece di iniziative come quella dell’AEA sui rifiuti marini.
Resta il fatto che costruire e mantenere attiva la comunità e la fiducia tra i suoi membri sono punti chiave di qualsiasi progetto di citizen science come di smart city e sarebbe dunque auspicabile che le istituzioni si facessoro promotori e facilitatori di tali iniziative da cui loro stesse possono trarre vantaggio. Del resto la stessa Costituzione ci dice che le amministrazioni dovrebbero favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, per lo svolgimento di attività di interesse generale. I patti di collaborazione fra cittadini e amministrazione sono in questo senso strumenti importanti con cui i Comuni, insieme ai cittadini attivi, possono concordare tutto ciò che è necessario fare per realizzare degli interventi di cura, rigenerazione e gestione dei beni comuni in forma condivisa.
Maddalena Bavazzano