In molti si chiedono, in questo particolare momento, se esista una corrrelazione tra le malattie, come il COVID-19 (COronaVIrus Disease-2019), che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura.
Al momento non esistono risposte certe ma sia il WWF che l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, l’UNEP, offrono il loro punto di vista sulla questione.
Ecosistemi e pandemie, il rapporto WWF
L’associazione ambientalista nel suo recente report “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità” sulla possibile correlazione tra distruzione degli ecosistemi e pandemie, e l’UNEP in sei punti che riepilogano le conoscenze sul tema.
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Si stima, infatti, che l’uomo abbia modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino e messo a rischio di estinzione circa 1 milione di specie animali e vegetali.
L’IPBES (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU) ha definito questo scenario come “unprecedented”, ovvero senza precedenti.
Le emissioni di gas serra sono raddoppiate, provocando un aumento delle temperature medie globali di un grado °C rispetto all’epoca preindustriale, mentre il livello medio globale del mare è aumentato tra i 16 e i 21 centimetri dal 1900.
Le foreste pluviali che si stima producano, nel loro complesso, oltre il 40% dell’ossigeno terrestre, sono oggetto di deforestazione, una delle principali cause del riscaldamento globale, poiché produce dal 12 al 20% delle emissioni di gas serra. Ad oggi abbiamo perso quasi la metà della superficie forestale che abbracciava e proteggeva il nostro pianeta. Secondo uno studio si stima che all’inizio della rivoluzione agricola vi fossero sulla Terra circa 6.000 miliardi di alberi, mentre oggi ne restano circa 3.000 miliardi.
I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali sono considerati responsabili di circa la metà delle zoonosi emergenti. Infatti le foreste ospitano milioni di specie in gran parte sconosciute alla scienza moderna, tra cui virus, batteri, funghi e molti altri organismi molti dei quali parassiti, nella più parte dei casi benevoli che non riescono a vivere fuori del loro ospite e non fanno troppi danni.
Oggi, però, lo sfruttamento del territorio, con la costruzione di strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), lo sviluppo di villaggi in territori prima selvaggi, ha portato la popolazione umana ad un contatto più stretto con l’insorgenza del virus.
Le conseguenze dell’azione umana sugli ecosistemi
Tutti questi cambiamenti hanno provocato, e stanno producendo, impatti diffusi in molti aspetti della biodiversità. Secondo il WWF, alcune delle conseguenze dell’azione umana sul Pianeta e sugli ecosistemi potrebbero essere:
- l’aumento dei siti di riproduzione dei vettori delle malattie
- la perdita di specie predatrici e la diffusione amplificata degli ospiti serbatoio
- i trasferimenti di patogeni tra specie diverse
- i cambiamenti genetici indotti dall’uomo di vettori di malattie o agenti patogeni (come la resistenza delle zanzare ai pesticidi)
- la contaminazione ambientale con agenti di malattie infettive.
Il report sottolinea come le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali siano l’habitat ideale per malattie pericolose come la febbre dengue, il tifo, il colera, la chikungunya. Inoltre i mercati di quelle stesse metropoli, che siano in Africa o in Asia, fanno il resto, vendendo quello che rimane della fauna predata: animali selvatici vivi, parti di scimmie e tigri, carne di serpente, scaglie di pangolini e altro ancora, creando nuove opportunità per vecchie e nuove zoonosi.
Il riscaldamento globale, infine, contribuisce a creare un habitat ideale per virus e batteri, che prediligono il caldo umido favorito dalle nuove condizioni climatiche.
Questo scenario aiuterebbe i patogeni a passare da una specie ospite ad un’altra, realizzando il cd spillover. Secondo il report, tra tutte le malattie emergenti, le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare, in futuro, la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Il 75% delle malattie umane fino ad oggi conosciute derivano da animali e il 60% delle malattie emergenti sono state trasmesse da animali selvatici.
Tutto questo non ha solo conseguenze di tipo sanitario ma anche un chiaro impatto socio-economico.
L’approccio “One health”
Per fronteggiare questa situazione, il WWF propone, nel suo report, di adottare l’approccio “One Health”, che riconosce come la salute degli esseri umani sia strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente.
Un concetto strategico, formalmente riconosciuto da tanti organismi delle Nazioni Unite dall’UNEP, all’UNDP, dalla OMS alla FAO, all’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE), alla Commissione Europea sino a Istituti di ricerca di tutto il mondo, ONG e altri enti.
One Health si basa su un concetto olistico di salute delle persone, degli animali, delle piante, degli ambienti di vita e lavoro e degli ecosistemi, promuovendo l’applicazione di un approccio multidisciplinare e collaborativo per affrontare i rischi potenziali o reali che hanno origine dall’interfaccia tra ambiente di vita e lavoro, popolazioni animali ed ecosistemi.
UNEP, perdita di biodiversità e malattie infettive emergenti
Da parte sua, invece, l’UNEP, l’agenza delle Nazioni Unite per l’ambiente, ha recentemente evidenziato le relazioni che ci sono fra il coronavirus e l’ambiente naturale.
Circa il 60% di tutte le malattie infettive nell’uomo è zoonotico, così come lo è il 75% di tutte le malattie infettive emergenti, in altre parole arrivano a noi attraverso gli animali.
Le zoonosi emerse o riemerse di recente sono Ebola, influenza aviaria, sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS), virus Nipah, febbre della Rift Valley, sindrome respiratoria acuta improvvisa (SARS), virus del Nilo occidentale, malattia del virus Zika e, ora, il coronavirus. Sono tutti collegati all’attività umana.
Lo scoppio dell’Ebola nell’Africa occidentale è stato il risultato di perdite nelle foreste che hanno portato a contatti più stretti tra fauna selvatica e insediamenti umani; l’emergenza dell’influenza aviaria era legata all’allevamento intensivo di pollame; e il virus Nipah è stato collegato all’intensificazione dell’allevamento suino e della produzione di frutta in Malesia.
Scienziati e specialisti che lavorano al Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) hanno riunito gli ultimi fatti scientifici sul coronavirus: ciò che sappiamo del virus e ciò che non sappiamo.
Mentre l’origine dell’epidemia e il suo percorso di trasmissione devono ancora essere scoperti, qui ci sono sei punti importanti che vale la pena conoscere:
- L’interazione dell’uomo o del bestiame con la fauna selvatica li espone al rischio di diffusione di potenziali agenti patogeni. Per molte zoonosi, il bestiame funge da ponte epidemiologico tra fauna selvatica e infezioni umane.
- I driver dell’emergenza della malattia zoonotica sono i cambiamenti nell’ambiente, di solito il risultato di attività umane, che vanno dal cambiamento dell’uso del suolo al cambiamento climatico; cambiamenti negli animali o negli ospiti umani; e cambiamenti nei patogeni, che si evolvono sempre per sfruttare i nuovi ospiti.
- Sono emersi, ad esempio, virus associati ai pipistrelli a causa della perdita dell’habitat dei pipistrelli a causa della deforestazione e dell’espansione agricola. I pipistrelli svolgono ruoli importanti negli ecosistemi essendo impollinatori notturni e mangiando insetti.
- L’integrità dell’ecosistema sostiene la salute umana e lo sviluppo. I cambiamenti ambientali indotti dall’uomo modificano la struttura della popolazione selvatica e riducono la biodiversità, determinando nuove condizioni ambientali che favoriscono particolari agenti patogeni.
- L’integrità dell’ecosistema può aiutare a limitare le malattie, sostenendo una varietà di specie in modo che sia più difficile per un agente patogeno emergere e diffondersi.
- È impossibile prevedere da dove arriverà il prossimo focolaio o quando sarà. La crescente evidenza suggerisce che focolai o malattie epidemiche possono diventare più frequenti man mano che il clima continua a cambiare.
Un pensiero su “Wwf e Unep su biodiversità e pandemia”