Una riflessione di Simona Re sulla comunicazione ambientale, pubblicata sul numero 5/2021 di Ecoscienza, rivista di Arpae Emilia-Romagna.
“Quello che dobbiamo fare ora è unirci come una comunità globale con un senso condiviso di urgenza, cooperazione ed equità”. Così si conclude il secondo Appello degli scienziati del mondo sull’emergenza climatica di William J. Ripple e colleghi, pubblicato lo scorso luglio sulla rivista Bioscience e sottoscritto da oltre tredicimila scienziati [1]. Spesso si accusano gli esperti di comunicare attraverso noiosi e incomprensibili numeri, ipotesi e stime. Gli appelli di Ripple rompono il cliché, offrendo al mondo un aggiornamento semplice ed esaustivo della situazione del clima sul nostro pianeta, e invocando “un cambiamento trasformativo, che è necessario ora più che mai per proteggere la vita sulla Terra e rimanere entro il maggior numero possibile di limiti planetari”.
È un messaggio forte e chiaro quello delle migliaia di studiosi, giunto in sordina nel mare magnum dell’informazione mediatica focalizzata sulla gestione dell’emergenza pandemica e alle prese con aggiornamenti distanti e all’acqua di rose su obiettivi di ripresa da Covid-19, transizione ecologica, green deal europeo e sulla Cop26 di Glasgow.
Le reazioni emotive delle persone all’emergenza climatica oggi sono le più disparate, tra attivisti indignati nelle piazze e persone colpite dall’ansia climatica che si mescolano in una popolazione dominata da una generale apatia e disinteresse. Considerando l’urgenza della transizione ecologica e gli importanti cambiamenti a venire nei sistemi economici mondiali e nelle nostre vite, la comunicazione dell’emergenza climatica possiede tutti gli elementi per aggiudicarsi il titolo della più grande sfida di comunicazione del rischio nella storia dell’uomo.
Precaution advocacy e asintomatici della crisi climatica
Con il termine precaution advocacy, lo psicologo Peter Sandman indica le azioni utili ad allertare una popolazione non sufficientemente preoccupata di un grave pericolo. Nel caso del clima parliamo della comunicazione di istituzioni, scienziati, opinion leader, media e attivisti, volta a informare le persone sull’emergenza climatica e i relativi impatti. Come dimostra l’esperienza di Covid-19, comunicare e gestire un’emergenza globale è un compito tutt’altro che banale. D’altra parte, la comunicazione della crisi climatica si rivela anche più difficile rispetto a quella della pandemia. La percezione degli impatti risulta infatti limitata da un’innata distanza psicologica di natura spaziale, temporale e sociale. A questo si somma la complessità del fenomeno, incluse le importanti connessioni e trade-off delle soluzioni per il clima, la biodiversità e il benessere della società. A questo proposito, i suggerimenti degli esperti sono di comunicare i cambiamenti climatici, gli impatti e gli scenari come rischi presenti e locali, e di prediligere il coinvolgimento emotivo ed esperienziale delle persone limitando la trasmissione di dati tecnici e informazioni scientifiche complesse [2-4].
Un’altra criticità dell’elefante nella stanza della precaution advocacy del clima riguarda la diffusa reazione di apatia delle persone. I numerosi “asintomatici della crisi climatica” potrebbero infatti celare inconsapevolmente alti livelli di paura e indignazione, soffocati da una reazione istintiva per resistere a un impatto psicologico insostenibile fatto di tristezza, angoscia e senso di colpa per il cambiamento climatico e i suoi effetti [5,6]. In quest’ottica, la responsabilizzazione dei comunicatori del rischio – quali istituzioni, scienziati, opinion leader, media e attivisti – risulta ancora più necessaria e urgente per garantire l’efficacia della transizione. Le emozioni infatti giocano un ruolo fondamentale nel condizionare la risposta alle emergenze e alle crisi, e per questo motivo gli esperti di comunicazione del rischio raccomandano di agire informando e al contempo prevenendo gli eccessi di ansia, paura e indignazione delle persone. Il principale obiettivo della precaution advocacy è quindi quello di allertare senza spaventare, per favorire decisioni lucide e azioni utili e cooperative. Le strategie vanno dall’organizzazione di campagne di sensibilizzazione, all’attenzione nella trasmissione di messaggi di efficacia per sventare i rischi di eccessiva ansia e demoralizzazione a fronte della narrazione di rischi e impatti, insieme a una particolare attenzione ai sentimenti delle persone [5,7].
La comunicazione della transizione ecologica
Il secondo grosso elefante nella stanza della comunicazione del rischio climatico è quello della cosiddetta crisis communication. In accordo con il modello di comunicazione del rischio di Sandman, l’obiettivo è guidare le persone adeguatamente preoccupate nell’affrontare un grave pericolo. È il caso della comunicazione della transizione ecologica. Una preziosa strategia riguarda allora la promozione di politiche dei co-benefici, per delineare sforzi e interventi congiunti per la riduzione dello sfruttamento delle risorse del pianeta, in grado di conciliare la lotta al cambiamento climatico con la tutela del benessere e della salute delle persone e degli ecosistemi [8].
Anche per la crisis communication, il problema climatico rende necessario porsi obiettivi assai ambiziosi. Oltre a elaborare soluzioni in grado di rispondere a crisi sanitarie e ambientali connesse e a comunicare in modo chiaro politiche climatiche “digeribili” alla popolazione (compito arduo di per sé), le dimensioni del problema e la complessità dei contesti locali richiederebbero altresì un forte coinvolgimento delle persone per alimentare un dibattito pubblico costruttivo e un processo di co-produzione della conoscenza. Coerentemente con le notabili sfumature degli esperti che definiscono la comunicazione del rischio come uno scambio interattivo di informazioni tra gli esperti e il pubblico [9], il contributo di tutte le persone allo sviluppo e all’implementazione delle soluzioni potrebbe infatti rivelarsi essenziale per garantire il successo della risposta. A farsi spazio in questa direzione è quello che viene chiamato indigenous climate decision-making, che indica le risposte dei popoli e delle comunità indigene al cambiamento climatico, basate sui processi decisionali interni anziché imposte dall’alto o dall’esterno [10]. In generale, dal punto di vista psicologico, gli esperti raccomandano di porre attenzione alle emozioni e alle esperienze delle persone, alle norme sociali e ai valori condivisi, delineando soluzioni pratiche tangibili e con un focus alla prospettiva locale [2-4].
Abbiamo gli strumenti per farcela
Comunicare e affrontare il rischio climatico non è cosa semplice, ma oggi disponiamo di tutto ciò che serve per rispondere al meglio a questa emergenza globale, per garantire la tutela della specie e delle nostre risorse. La risposta a Covid-19 insegna molti errori da non ripetere e porta con sé un’esperienza senza precedenti di efficacia della condivisione e cooperazione per obiettivi comuni. Verosimilmente, una risposta di successo alla crisi climatica potrebbe non contemplare eccessive reazioni di negazione, no mask e no pass della transizione, e per ridurre questi rischi è necessario garantire quanto prima una comunicazione efficace a tutte le persone. L’appello di Ripple e colleghi rappresenta un importante potenziale strumento a disposizione dei “comunicatori del rischio climatico” per comprendere e interpretare le attuali e future politiche climatiche dei governi, e si basa su tre pilastri: la conoscenza, fornendo evidenze di tendenze (molto preoccupanti) sull’andamento del clima e dei suoi impatti a livello globale, e sugli “scarsi progressi da parte dell’umanità nell’affrontare il cambiamento climatico” (precaution advocacy); la comunicazione, offrendo l’aggiornamento di un set di “segni vitali planetari” (precaution advocacy e crisis communication); l’azione, invocando urgenti cambi di rotta nelle aree di energia, inquinanti atmosferici, natura, cibo, economia e popolazione umana (crisis communication). Per quanto riguarda le modalità di trasmissione delle informazioni, disponiamo oggi delle preziose indicazioni degli esperti di comunicazione del rischio, sociologi e psicologi per garantire un’efficace comunicazione del clima e della transizione [3,4].
Considerando l’importanza fondamentale di trasmettere messaggi chiari e onesti alla popolazione nelle situazioni di crisi ed emergenza, riconoscere e comunicare il cambiamento climatico come un rischio per la nostra specie e per le nostre risorse – trasformando così la più consueta retorica del “salvare il pianeta” a cui siamo da lungo tempo abituati e forse assuefatti – rappresenterebbe un ottimo punto di partenza per innescare una comunicazione del rischio climatico in grado di favorire una risposta da parte delle comunità. “In senso lato, l’educazione al cambiamento climatico dovrebbe considerare gli esseri umani come individui capaci di cambiare i loro comportamenti per ridurre i rischi” affermano gli scienziati su Bioscience, raccomandando l’inserimento dell’educazione al cambiamento climatico nei programmi scolastici di base a livello globale [1]. Tuttavia, con un obiettivo di azzeramento delle emissioni di carbonio entro trent’anni, l’impegno delle future generazioni non è sufficiente. Per mano di scienziati, istituzioni, giornalisti e insegnanti, si spera che uomini e donne, giovani e adulti possano presto fruire e prendere parte a quella comunicazione responsabile e collaborativa che rappresenta solo il primo di tanti passi importanti per la cooperazione contro la crisi climatica, oltre che un diritto di cittadinanza scientifica.
Simona Re
Istituto di geoscienze e georisorse, Igg-Cnr
Riferimenti bibliografici
[1] Ripple W.J. et al, 2021, “World scientists’ warning of a climate emergency 2021”, BioScience, biab079, Supplemental Materials. doi.org/10.1093/biosci/biab079
[2] Corner A., Shaw C., Clarke J., 2018, “Principles for effective communication and public engagement on climate change: A Handbook for IPCC authors”, Oxford: Climate Outreach.
[3] van der Linden S. et al., 2015, “Improving public engagement with climate change: five “best practice” insights from psychological science”, Perspectives on Psychological Science, 10(6), 758-763. doi.org/10.1177/1745691615598516
[4] Mah A.Y.J. et al., 2020, “Coping with climate change: Three insights for research, intervention, and communication to promote adaptive coping to climate change”, Journal of Anxiety Disorders, 75, 102282. doi.org/10.1016/j.janxdis.2020.102282
[5] Re S., 2021, “La transizione ecologica, un impegno di rinnovamento sociale non più revocabile”, Scienza in Rete, 09 aprile 2021, www.scienzainrete.it/articolo/transizione-ecologica-impegno-di-rinnovamento-sociale-non-più-revocabile/simona-re/2021-04
[6] Sandman M.P., 2009, “Climate change risk communication: the problem of psychological denial”, Risk = Hazard + Outrage, The Peter Sandman Risk Communication Website, 11 febbraio 2009, www.psandman.com/col/climate.htm
[7] Witte K., Allen M., 2000, “A meta-analysis of fear appeals: implications for effective public health campaigns”, Health Education & Behavior, 27, 591–615. doi.org/10.1177/109019810002700506
[8] Vineis P., Carra L., Cingolani R., 2020, Prevenire, Einaudi.
[9] Who, 2020, Emergencies: Risk communication, 15 gennaio 2020, www.who.int/news-room/q-a-detail/emergencies-risk-communication
[10] Muralikrishna I.V., Manickam V., 2017, “Chapter Eight – Environmental risk assessment”, Environmental Management, Science and Engineering for Industry, 135-152. doi.org/10.1016/B978-0-12-811989-1.00008-7