Inquinamento atmosferico e aspettativa di vita in Cina
Negli ultimi anni studi di coorte condotti in Nord America e in Europa hanno evidenziato chiaramente che l’esposizione a lungo termine a polveri sottili come il PM2.5 è associata a un aumento del rischio di mortalità. Tuttavia, questa associazione raramente è stata quantificata per concentrazioni ambientali più elevate e nei paesi a basso e medio reddito, come la Cina, che sono spesso le aree del mondo con una maggiore presenza di inquinanti in atmosfera.
Lo ha fatto per la prima volta un team internazionale di ricercatori cinesi e statunitensi, che ha stimato il rischio di mortalità per tutte le cause per esposizione prolungata a PM2.5 (da 7 a 113 μg/m3) fra una coorte di popolazione anziana in 22 delle 31 province della Repubblica popolare cinese, che rappresentano l’85% della popolazione del paese. I risultati sono stati pubblicati in questi giorni su The Lancet Public Health.
I dati provengono dal Longitudinal Healthy Longevity Survey (CLHLS) cinese, uno studio prospettico che ha coinvolto uomini e donne di età pari o superiore a 65 anni dal 2008 al 2014. Precedenti analisi avevano mostrato evidenze sul fatto che l’esposizione a lungo termine a PM2.5 aumentasse il rischio di mortalità per tutte le cause, ma questa ricerca è la prima a considerare in particolarmente gli anziani e sia gli uomini che le donne.
Il primo risultato evidenzia che nel 2010 1.7 milioni di persone over 65 erano a rischio di mortalità prematura correlata con l’esposizione a PM2.5, un numero maggiore di quanto stimato dal Global Burden of Disease 2010. In una finestra di 3 anni le persone esaminate sono stati esposte a una concentrazione mediana di PM2.5 di 50,7 μg / m3, più del doppio del valore soglia fissato come livello di sicurezza per la salute. Il secondo risultato ottenuto è che il rischio di mortalità per esposizione a questo inquinante non è lineare. La regola intuitiva “più aumentano le concentrazioni, più aumenta il rischio di mortalità” vale solo fino a una certa soglia: 60,9 μg / m3. Superata questa, anche in presenza di concentrazioni molto alte il rischio rimane pressoché il medesimo.
I ricercatori hanno “mappato” le 22 province suddividendole in porzioni molto piccole, di 1 km quadrato, dettagliando per ogni porzione le concentrazioni di particolato e il rischio di mortalità a esso correlato. In questo modo hanno potuto osservare che al di sotto di 60,9 μg / m3 di PM2.5 la pendenza della curva del rischio sanitario si faceva più ripida. In parole più semplici: una volta ridotta la concentrazione di PM2.5 a meno di 60,9 μg / m3, era via via più semplice ottenere benefici per la salute riducendo ulteriormente anche di poco la concentrazione di particolato. Al di sopra di questa concentrazione invece, ridurre la concentrazione non cambiava granché le cose in termini di rischio di malattie e di mortalità.
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