In un recente intervento su AmbienteInforma il ricercatore di Ispra Lorenzo Ciccarese ha parlato dell’Amazzonia, in fiamme la grande riserva di carbonio e fonte di ossigeno per il pianeta.
Torniamo sull’argomento riprendendo un articolo della rivista Micron nel quale si evidenzia come le centinaia di incendi che stanno mandando in fumo tante zone della foresta amazzonica, costituiscono un tema che ci interessa da vicino.
La «quasi la totalità degli incendi che si vedono, anche con le immagini satellitari, sono i tipici incendi che vengono appiccati per la deforestazione. O per eliminare gli alberi o – subito dopo averli eliminati – per bruciare i residui e predisporre il territorio all’agricoltura o al pascolo» ha raccontato a Micron Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale della Statale di Milano e indicato come uno degli undici ‘scienziati emergenti’ da Nature nel 2018.
Anche se siamo soliti pensare alla foresta Amazzonica come il “polmone verde della terra”, il fatto che bruci non è tanto grave per la produzione di ossigeno quanto per la liberazione del carbonio che le piante hanno fissato durante la loro crescita e che, bruciando, finisce in atmosfera.
«Quando noi parliamo di anidride carbonica e cambiamento climatico ci sono due concetti da considerare: i serbatoi e i flussi» spiega Vacchiano. «I serbatoi sono tutti quei luoghi sulla terra in cui il carbonio resta intrappolato. I flussi riguardano il passaggio da un serbatoio all’altro. Il flusso che ci preoccupa di più è quando passa da quelli che chiamiamo serbatoi terrestri – cioè la vegetazione, ma anche i combustibili fossili – al serbatoio dell’atmosfera. Dove può fare danni aumentando l’intensità dell’effetto serra». Aggravando, quindi, il riscaldamento del clima.
«La foresta amazzonica, nonostante non abbia un flusso particolarmente alto, cioè non scambia molto carbonio con l’atmosfera, è però un serbatoio importantissimo. È come un conto in banca miliardario da cui non si aggiunge e non si toglie niente, non genera molti interessi né perde di valore», dice Vacchiano: «Se noi non deforestiamo, questo conto in banca resta lì, resta intatto, continua a tenere intrappolato il carbonio, che non se ne va da altre parti dove può fare grossi danni».
Da giorni, Giorgio Vacchiano sta usando la sua bacheca su Facebook per rilanciare articoli di media internazionali e testimonianze di ambientalisti locali. Aggiungendo informazioni, spiegando e parlando delle diverse implicazioni che gli incendi in Amazzonia possono avere per l’ambiente e per la nostra vita quotidiana.
«Qualcuno dei miei colleghi pensa che ci debba essere una sorta di figura terza, un intermediario: che lo scienziato faccia la sua ricerca e poi siano altri che debbano raccontarla al pubblico. La mia esperienza è invece che si rischia di perdere troppo in questo passaggio». Secondo lui il problema non è che le persone non sappiano cosa succede, anzi: rovesciargli addosso nuovi dati senza inserirli in una storia, senza parlare al cuore oltre che al cervello rischia di non portare a niente.
«Penso che è lo scienziato che vive la scoperta sulla sua pelle, o che vive anche l’assenza di scoperta, la frustrazione. Tutto il lavoro di ricerca ha i suoi alti e bassi e fa assolutamente parte di quello che dobbiamo raccontare. Perché aiuta le persone a identificarsi con qualcosa».
Nell’articolo su Micron anche le implicazioni degli incendi sulla biodiversità ed il ruolo dei paesi europei, e non solo, per fronteggiare la situazione.