Walter Ganapini, direttore generale di Arpa Umbria, in un editoriale per la rivista Micron, partendo dal tema delle infrastrutture verdi, delinea una serie di priorità ambientali alle quali ancorare le prospettive di uno sviluppo nuovo del Paese.
Da tempo il dibattito a livello internazionale in materia di “infrastrutture verdi”, a partire dai documenti al riguardo della Commissione Europea e delle Nazioni Unite, si chiede se l’opzione prevalente in ambito urbano debba essere crearne di nuove o intervenire sull’ambiente costruito e sulle reti esistenti in base all’approccio “greening the greys?”.
Per quanto attiene l’Italia e Milano, a partire dalle immagini del satellite europeo Envisat sull’inquinamento atmosferico, dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanitàsull’impatto di tale fenomeno e dalle classifiche UE che vedono 17 città italiane, di cui molte padane, tra le 30 con l’aria più inquinata, è evidente come se ne debba focalizzare la caratteristica di luogo di conclamata crisi ambientale e sanitaria.
Il dissesto idrogeologico è grave, le acque di falda e superficiali sono inquinate, l’aria che vi si respira fanno del Bacino Padano una delle quattro aree più contaminate al mondo, consumo e impermeabilizzazione del suolo sono cresciuti vertiginosamente, il depauperamento della fertilità dei terreni rischia di aggravarsi a seguito degli effetti di aridificazione già in essere a causa del Cambiamento Climatico, l’esigenza di bonifica delle aree contaminate è inevasa, la biodiversità non è tutelata sufficientemente, come non lo sono i beni culturali, paesistici e architettonici.
La crisi ambientale si intreccia con la più generale crisi sociale e finanziaria da globalizzazione deregolata e finanziarizzazione dissennata, come drammaticamente descritto da Papa Francesco nella ‘Laudato sì’ . Si aggravano nodi storicamente irrisolti, a partire dalle lacune imponenti nel campo della ricerca, dell’innovazione e della formazione, per arrivare al fatto che oggi, nell’Unione Europea, deteniamo il record delle procedure d’infrazione irrogate in materia di mancato rispetto della normativa ambientale (14% sul totale).
Emergenze ambientali nuove e vecchie, irrisolte, crollo dei sistemi di controllo e del lavoro di ricerca per la conoscenza e l’innovazione specifiche, peggioramento dell’Amministrazione Pubblica ed assenza di ogni azione di semplificazione reale del procedimento amministrativo, difficoltà delle cultura industriale ad accettare la sfida della qualità ambientale di processi produttivi, prodotti e territori come fattore competitivo sui mercati globali: questo il quadro con cui fare i conti per porre mano ai nodi critici della locomotiva del Paese, Milano e il Bacino Padano, orientando le scarse risorse disponibili su poche, cogenti, priorità, a partire dalla manutenzione del territorio, non su illusorie evocazioni di crescita.
Quale crescita? Forse di numero di automobili? Di autocarri o di reti per materiale rotabile? Di infrastrutture inutili? O del nucleare e del consumo di fonti fossili, che assorbono ingenti sussidi pubblici?)
Pochi assunti programmatici vanno esplicitati:
- il primo è che l’Italia potrà vivere una fase di sviluppo solo se sostenibile, dunque di alta qualità ambientale di territori, stili di vita, processi produttivi, beni e servizi;
- il secondo è che non si condivide l’ipotesi che l’unico futuro per il Paese sia quello di una mega-Disneyland post-industriale per vecchi e nuovi ricchi, a partire da mafie indigene e dell’Est o dai tycoons del Levante estremo;
- il terzo è che la chiave di volta dello sviluppo sostenibile sia quello indicato dall’UE e dall’OCSE, e cioè la integrazione di considerazioni ambientali nei cinque driversdello sviluppo (Industria, Agricoltura, Trasporti, Energia, Turismo).
Appare così chiaro come la priorità vada attribuita
- a un programma di manutenzione e rinaturazione del territorio a partire da quanto indicato da un Rapporto del 2000 dell’allora autorevole Autorità di Bacino del Po, secondo cui la eliminazione di potenziali rischi di perdita di vite umane da dissesto idrogeologico avrebbe richiesto investimenti pari a oltre 7 miliardi di euro (equivalenti all’impegno previsto per l’inqualificabile Ponte sullo Stretto) da destinare al presidio attivo dei versanti appenninici ed alpini, alla riduzione di prelievi dagli alvei fluviali, all’intervento sui crescenti insediamenti in aree esondabili;
- a un programma di manutenzione dell’ambiente costruito urbano affetto da consumo parossistico di suolo, “erosione urbana” che distrugge e spreca una risorsa ambientale pregiata e scarsa;
- a un programma di manutenzione straordinaria e modernizzazione delle infrastrutture a rete,essendo sotto gli occhi di tutti lo stato di degrado di cruciali infrastrutture quali laferroviaria (non solo la “secondaria” ), la fognaria e depurativa, l’acquedottistica (generalizzato tasso di dispersione dalle reti di collettamento e adduzione delle risorse idriche oltre il 30%, rispetto al 10% considerato fisiologico 15-20 anni fa, prima della ‘sbornia da finanziarizzazione’ dei Servizi Pubblici Locali).
È ormai chiaro che la “finanziarizzazione” dei Servizi Pubblici Locali, in assenza di adeguate politiche preventive di vera liberalizzazione dei mercati guidate da Authorities capaci e trasparenti, conduce a uno scadimento drammatico dei servizi al territorio, peraltro mai accompagnato da benefici economici per il cittadino-utente-cliente.
È ragionevole presumere che la riqualificazione mirata delle reti ferroviarie possa, ad esempio, contribuire a quel nuovo modello logistico che mitigherebbe sensibilmente l’inquinamento da trasporto pesante su gomma fino a ottimizzare le connessioni con le altrettanto auspicabili “autostrade del mare”, occasione unica di rilancio della cantieristica e di valorizzazione delle strutture portuali anche al Nord.
Nel campo dei trasporti, soprattutto alla scala urbana, c’è bisogno di scelte univoche, drastiche, a favore delle opzioni capaci di favorire una migliore qualità dell’aria: potenziamento del trasporto pubblico e rinnovamento delle relative flotte, logistica commerciale affidata a flotte elettriche o a gas, promozione delle bicicletta. I Piani Energetici Regionali e Comunali ed i Servizi Pubblici Locali devono altresì promuovere il ricorso alle fonti rinnovabili di energia ed agli schemi di cogenerazione ad alto rendimento.
Su quali tipologie di spazi intervenire e in quali tempi, dunque? In tema di infrastrutture verdi e risorsa idrica a scala urbana e metropolitana, la priorità va attribuita alla promozione di nature-based solutionsin modo da accrescere la resilienza complessiva di quegli ecosistemi antropizzati, con reti ecologiche estese sull’intero territorio urbano valorizzando, nel caso dell’area milanese, importanti esperienze consolidate in tema di green belts e green corridors, subito mappando tali siti per valutarne lo stato e, se in condizioni di abbandono, degrado, cattiva gestione, provvedere allo stanziamento delle risorse necessarie per la loro manutenzione e ripristino.
Nel breve periodo occorre poi iniziare a lavorare in logica ‘greening the greys’ sugli spazi di risulta, più facilmente gestibili, a partire da fasce di rispetto ferroviario, spazi sottostanti viadotti ed altre infrastrutture esistenti, finanziando pratiche per incrementi di biodiversità e di resilienza urbana.
Per coniugare la manutenzione delle infrastrutture verdi con l’innovazione nella loro gestione, vanno preventivamente approntati set di indicatori per la progettazione ex-ante e la misurazione d’efficacia ex-post della gestione di risorse ambientali urbane critiche, quali il tasso di crescita annuale della vegetazione, l’estensione della superficie di suolo de-impermeabilizzato o l’aumento di sostanza organica nel terreno. Nel medio-lungo termine si possono perseguire obiettivi di riqualificazione e rigenerazione di luoghi centrali della città, sulla scorta di grandi esperienze in essere, a partire da Utrecht.
Quale macchina amministrativa serve per realizzare progetti di conservazione e valorizzazione degli ambienti urbani, cioè politiche a lungo termine confliggenti con cicli politici di breve termine? È possibile attivare public/private partnership,e se sì come, allo scopo di concretizzare politiche promosse dal settore pubblico?
Può la società civile contribuire a progetti di protezione e valorizzazione delle risorse ambientali urbane chiedendo con urgenza alla politica di promuovere la partecipazione più ampia in logica europea e, in tale contesto, quale ruolo per la citizen science? L’esperienza internazionale e le migliori pratiche nazionali consigliano che il ruolodi regia multi-stakeholder competa alla Amministrazione Pubblica, anzitutto attraverso la Conferenza interna dei Servizi che attivi collaborazione efficiente tra i settori interessati, semplificando l’iter burocratico e garantendo l’essenziale celere tempistica grazie anche ad innovativi strumenti regolamentari urbanistici e di gestione del territorio orientati al conseguimento della resilienza.
Tale Conferenza opera secondo logica inter-istituzionale superando vincoli formalistici legati a confini amministrativi, soprattutto in presenza di infrastrutture verdi che interessino un’area vasta. Il limite dei cicli politici a breve termine può superarsi grazie al coinvolgimento della società civile (Forum degli stakeholders), che funga da garante della transizione in nome di un riconosciuto interesse generale ai beni comuni cocretizzato in progetti condivisi di protezione e valorizzazione delle risorse ambientali urbane.
In questo ambito le imprese possono fornire un contributo essenziale in termini di innovazione tecnologica e di eventuale stanziamento di risorse a integrazione di quelle pubbliche, anche per evitare sinergicamente sprechi di risorse. Collaborazione tra società civile e istituzioni e partecipazione delle imprese garantiscono altresì una attenzione costante al territorio e una presenza di attori in grado di monitorare e preservare risorse naturali urbane cruciali per lo sviluppo sostenibile degli insediamenti antropici.
Walter Ganapini