Intervento di Walter Ganapini, direttore generale di Arpa Umbria sulla rivista Micron.
È importante avviare un confronto e un ripensamento profondo, nella sinistra, sul rapporto che intercorre tra modello di sviluppo e vincoli ambientale ed energetico. A proposito di tale tematica, siamo in presenza, a mio avviso, di una palese subalternità, culturale e politica.
Questa subalternità si evidenzia a due livelli:
1) non si è giunti, in questi anni, a elaborare un progetto di rinnovamento tendente a trovare una nuova compatibilità tra problemi dello sviluppo e razionale utilizzazione delle risorse ambientali ed energetiche. Oltre a ciò non sono stati compiuti passi avanti significativi nella individuazione e nella costruzione di un rapporto con i soggetti sociali interessati a tale ipotesi di trasformazione;
2) a livello istituzionale decentrato, è stato possibile verificare la persistente incapacità di gestire effettivamente una ipotesi di governo, in termini di uso razionale e programmato del territorio e delle risorse, in campo ambientale ed energetico. Al proposito l’esperienza emiliana può essere illuminante: nel gennaio ‘80 la Giunta regionale approvò un proprio programma energetico ed il conseguente piano operativo, tendente a qualificare il governo dello sviluppo economico e territoriale inserendo la variabile “energia” all’interno degli strumenti di pianificazione.
Si può affermare che, a quel momento, l’elaborazione emiliana pareva la più avanzata, in campo regionale, offrendo un quadro di riferimento a tutte le iniziative già avviate spontaneamente ed uno stimolo per un vero e proprio salto di qualità operativo (rapporto non subalterno con gli Enti di Stato e le organizzazioni imprenditoriali, creazione delle Consulte energetiche provinciali, sviluppo del ruolo delle Aziende municipalizzate, sviluppo di programmi finalizzati con le Università ed i centri di ricerca, ecc.).
Oltre a ciò, si tendeva anche a sollecitare un forte sviluppo quantitativo e qualitativo dell’iniziativa sindacale (formulazione delle schede energetiche di fabbrica, ecc.) e nel campo dell’informazione e del controllo democratico sulle scelte di sviluppo.
Questo programma è caduto di fronte alla incapacità, ed alla non volontà politica, di attrezzare adeguatamente la Regione di un apparato tecnico realmente all’altezza dei problemi che si ponevano, mentre nel campo imprenditoriale si sta progredendo rapidamente nel formulare ipotesi di razionalizzazione ambientale ed energetica del modello di sviluppo, ben ai di là dell’attuale ondata neoliberista; razionalizzazione dell’esistente, quindi, e non processo di trasformazione. Ci si deve misurare con le acquisizioni di tali scuole, nel cammino verso la costruzione di una nuova cultura dello sviluppo, obiettivo, a mio parere, assolutamente prioritario.
È oggi possibile costruire un insieme organico di obiettivi e metodologie che prefigurino una nuova politica energetica. Il nodo rimane: “su quali gambe può marciare questo insieme di proposte?”.
Siamo di fronte ad una tematica caratterizzata da un’estrema complessità e che, per essere trasformata e governata realmente, richiede un grado elevato di conoscenza ed informazione. È necessario, perciò, che la nuova cultura dello sviluppo, già nel suo farsi, divenga patrimonio di grandi masse (la “comunità scientifica di massa”).