Intervista ad Antonio Tisci, direttore generale di Arpa Basilicata, recentemente insediato nell’incarico. Continuiamo con lui il “giro d’Italia” con i direttori generali delle agenzie ambientali che compongono il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, per capire da loro come stanno affrontando l’attuale periodo di crisi e come pensano di poter contribuire ad uscirne in una logica di “transizione ecologica”, come sempre più spesso si legge nei documenti ufficiali.
Il Paese sta affrontando una crisi sanitaria, e sociale ed economica con pochi precedenti, ma al contempo sta lavorando per uscirne e costruire una prospettiva di ripartenza. In quale modo il SNPA, e gli enti che lo compongono, può dare il proprio contributo perché questa ripartenza sia nel segno dell’ambiente?
E’ chiaro che in Italia, come nel Mondo intero stiamo vivendo la peggiore crisi dalla Seconda Guerra Mondiale. Non solo l’elevatissimo numero di morti, la profondità della crisi economica e sociale, ma anche lo sconvolgimento delle nostre vite quotidiane indicano che stiamo attraversando una situazione senza precedenti per le nostre generazioni. Ce ne rendiamo conto quando riconsideriamo il valore di azioni spesso scontate.
D’altra parte la Storia ci insegna che le guerre e le epidemie rappresentano punti di svolta nello sviluppo dell’Umanità, motori che producono accelerazioni verso direzioni nuove.
l solo fatto di vivere un momento storico che determinerà cambiamenti importanti per il futuro delle nostre società ci deve spingere ad operare consapevoli delle nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future.
Tutti dicono che “l’ambiente dovrà essere al centro della ripresa” salvo spesso considerarlo un concetto vuoto. Sta a noi riempirlo di contenuti.
Personalmente sono convinto che dobbiamo perseguire una terza via riguardo all’ambiente. Tra la tentazione di quello che io definisco “luddismo 2.0”, cioè il rifiuto di qualsiasi novità, di qualsiasi forma di progresso, pensando che si debba avere come modello ideale quello di un ambiente incontaminato dall’opera dell’uomo e l’affermarsi di uno sviluppo economico che calpesti qualsiasi regola, qualsiasi limite, che persegua solamente il massimo profitto, infischiandosene delle ricadute sull’ambiente e sulla salute delle persone è necessario individuare una terza via.
Il modello a cui faccio riferimento è quello di un ambientalismo antropocentrico, come ben definito nell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.
Con questa visione, è essenziale il ruolo di una realtà nazionale e regionale deputata a considerare la protezione dell’ambiente efficace e reale e non, meramente, una dimensione astratta e ipotetica.
Le Arpa svolgono un ruolo fondamentale, attraverso le attività di controllo , monitoraggio e protezione che è diverso da quello ad esempio svolto dai Carabinieri forestali. Noi non siamo solo una forza che assicura la “repressione” nei confronti di chi non rispetta le norme ambientali, ma dobbiamo essere sempre di più protagonisti nel campo dello studio, della ricerca, della innovazione, per favorire la “prevenzione” ambientale, accompagnare ed incoraggiare le imprese alla conformità rispetto alle norme che tutelano l’ambiente.
In Basilicata ci troviamo a dover fronteggiare due situazioni uniche in Europa, la presenza di due impianti petroliferi (Eni e Total) sulla terraferma. Siamo cioè in presenza di grandi investimenti economici da parte di compagnie multinazionali.
Nostro compito è quello che anche questi soggetti così importanti rispettino l’ambiente.
Per fare questo non ci vuole l’ambientalismo forgiato di retorica che ulula alla catastrofe un giorno sì e l’altro pure ma una realtà tecnico-scientifica come l’ARPA che si impegni con tutte le sue forze per monitorare la situazione ed intervenire concretamente. Ma questo non basta, occorre anche che l’Agenzia si apra al territorio, che richieda maggiore coinvolgimento dei cittadini. La sfida che io mi sono proposto insediandomi come nuovo Direttore Generale di Arpa Basilicata è quella di mettere in campo tutto quanto nelle mie possibilità per riallacciare la fiducia con i cittadini .
Ho trovato una realtà in cui si aveva la sensazione di essere un una cittadella assediata, chiusa in sè stessa, dove ci si preoccupa di interloquire solo con gli addetti ai lavori.
Non può essere questa la strada. L’ambiente non è una materia per i soli tecnici. Non ci si può limitare a discutere fra esperti ed accademici. C’è l’assoluta necessità di parlare con i cittadini, con i Comitati, sforzarsi di dialogare con tutti. Comunicare ciò che si fa è importante quanto farlo, saper comunicare è importante quanto saper fare. Se non si fa in questo modo il primo “stregone/ leone da tastiera ” che lancia una fake news divulgandola sui social ha buon gioco e la reputazione dell’Agenzia cola a picco.
Se la ripartenza del Paese deve essere nel segno dell’ambiente, quali potrebbero essere i problemi che ancora impediscono il consolidamento di un forte Sistema nazionale di protezione ambientale, da affrontare e risolvere una volta per tutte?
La tutela dell’ambiente non è stata inserita nella Costituzione nel 1948, ma la protezione dell’ambiente è nella nostra Carta fondamentale come derivato della difesa del paesaggio e della salute.
Questo si riflette sulla storia del SNPA. Siamo nati come una costola della Sanità, una realtà marginale del Sistema sanitario, ed è giunto il momento di passare da questa situazione ad una nella quale effettivamente si riconosca che la tutela dell’ambiente è un bene primario per il nostro Paese e che quindi anche il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente deve fondarsi su basi più solide e pienamente autonome rispetto al mondo sanitario. E’ un fatto non solo giuridico, ma anche culturale.
Da questo punto di vista un aspetto cruciale è quello contrattuale ovvero l’inquadramento del personale nel CCNL della Sanità.
Un contratto che, naturalmente, è stato a lungo considerato ragionevole per la parte economica (anche se gli ultimi rinnovi non appaiono proprio confermare questa percezione) ma è nato per rispondere alle esigenze del sistema sanitario, della sua organizzazione, ad esempio ospedaliera, ed è strutturato per garantire l’erogazione di attività tipicamente svolte in quell’ambito, che sono molto diverse da quelle del sistema ambientale agenziale. Ogni realtà produttiva ha le sue esigenze e le norme contrattuali devono essere scritte per rispondere a quelle specifiche esigenze, circa gli orari di servizio, i profili professionali, i turni di lavoro, gli stipendi. Si tratta di una questione cruciale che crea ostacoli concreti e decisivi al buon funzionamento delle agenzie.
A causa di questa situazione chimici, fisici, biologi (tutti con la “caratterizzazione” sanitaria del CCNL e ora classificati come esponenti delle “professioni sanitarie” dalla legge 3/2018) secondo alcune organizzazioni sindacali di settore (e secondo alcune recenti sentenze di un paio di TAR) devono necessariamente essere inquadrati come dirigenti, ribaltando quanto accaduto nelle agenzie da una quindicina d’anni, per effetto dei contratti del 2005 che consentivano l’assunzione di questi laureati come degli altri, nel Comparto, e l’accesso alla dirigenza in determinate condizioni.
Non è solo un problema economico (anche se questo aspetto non è indifferente, perché avrebbe un impatto devastante sui bilanci delle ARPA e dunque in sostanza si tradurrebbe nella impossibilità di fatto di assumere questi professionisti, che sono invece, come altri, importanti per il nostro lavoro) ma in primo luogo organizzativo e funzionale.
I dirigenti hanno compiti gestionali, debbono dirigere le strutture nelle quali sono articolate le agenzie. Non è immaginabile riempire le agenzie di decine di dirigenti definiti tali per il solo fatto di possedere una specifica laurea. Nè è pensabile gestire le nostre Organizzazioni con un elemento distorcente del clima aziendale come questo laddove si introducono differenze di trattamento giuridico ed economico incomprensibili per professionisti impegnati nelle stesse attività. Permanendo questa criticità le agenzie saranno messe, in buona sostanza, nelle condizioni di non poter effettuare quel ricambio generazionale che invece è indispensabile, considerato che l’età media del personale è largamente sopra i cinquant’anni.
Sulla base di condizioni di rinnovata forza e autonomia il SNPA può svolgere un ruolo importante nello scenario che si sta profilando in Italia e in Europa?
Ritengo che l’idea di SNPA che cerca di conciliare una forte presenza federalista sui territori assicurata dalle ARPA accompagnata da una logica di rete che permette di intervenire per assicurare una sussidiarietà verticale da parte di ISPRA costituisca il sistema migliore per gestire la protezione ambientale, a patto che la politica risolva i problemi che ho segnalato.
Rispondendo alla domanda precedente- se si va oltre la retorica della centralità ambientalista, della green economy e si fanno azioni concrete per permettere al soggetto deputato per la protezione ambientale di poter funzionare al meglio.
E’ anche un problema culturale di consapevolezza da parte delle Regioni che l’ambiente non è un aspetto marginale, da trattare solo in una logica difensiva e per questo inevitabilmente ad essere perdente.
Le nostre agenzie devono essere in grado di avere un ruolo propulsivo sul territorio, coinvolgendo le parti sociali, le imprese, i cittadini,tutti interlocutori privilegiati mirando all’ innovazione e alla Ricerca.
Per fare questo è però fondamentale puntare sul dialogo e sul confronto. Dal primo giorno ho iniziato a incontrare tutti i Comitati disponibili a parlare, facendo capire loro che noi lavoriamo nell’interesse della comunità, nel loro interesse. Voglio costruire una realtà improntata alla trasparenza ed alla partecipazione.
Le agenzie hanno una connotazione tecnica-scientifica molto forte, e la loro “terzietà” è un tassello importante per la loro autorevolezza e proprio per assicurare la fiducia dei cittadini. Il suo curriculum è fortemente caratterizzato politicamente, non creda che questo sia un problema?
La mia vita ha due profili, un impegno politico e socialmente marcato, ed uno altrettanto forte che è quello professionale, da avvocato, che si è occupato di diritto ambientale, che ha gestito anche società private.
I direttori generali delle agenzie ambientali sono affiancati da un direttore tecnico.
Ecco, io credo che quest’ultima sia la figura che garantisce gli aspetti scientifici.
Il mio compito è diverso. Devo assicurare il corretto funzionamento dell’Agenzia, preoccuparmi dell’organizzazione manageriale, impegnarmi per le attività nelle quali è essenziale il contatto con i cittadini e le interrelazioni con il territorio.
Una formazione multidisciplinare come quella che possiedo mi permette di avere una visione complessiva del sistema in cui ci si muove, un’apertura alla società, che talvolta i tecnici specialisti non hanno.
(Intervista a cura di Marco Talluri, coordinatore della redazione di Ambiente Informa e Maria Fasano, Arpa Basilicata)