Ben 1085 punti di misurazione nelle cinque province calabresi, 267 comuni sinora coinvolti sui 404 presenti nella nostra regione; edifici pubblici, come scuole, municipi, ospedali, ma anche tante private abitazioni di cittadini che hanno aderito alla richiesta di misurare nelle proprie case.
E’ un campione robusto, sebbene “in progress” considerati i Comuni che ancora mancano all’appello, quello che l’Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Calabria) anche quest’anno ha trasmesso in questi giorni all’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (ISIN) per aggiornare il database nazionale riferito alla misurazione della presenza di gas radon in luoghi di vita e di lavoro.
La trasmissione di questi dati all’ISIN rappresenta qualcosa di storico per la Calabria; fino al 2010, infatti – ossia prima che l’Arpacal iniziasse a misurare la presenza di questo gas radioattivo lanciando una campagna a tappeto, comune per comune, ed ancora in corso di svolgimento – la nostra regione non aveva una quantità considerata importante di dati riferiti alla presenza di radon, al punto tale che nella comunità scientifica nazionale era crescente il dubbio che la Calabria fosse “radon free”.
Le misure puntuali dell’Arpacal, anno dopo anno, supportate dalle conoscenze geologiche – che in sostanza descrivono la Calabria come “un pezzo di Alpi della Liguria, e quindi a contenuto prevalentemente granitico, che in epoche geologicamente remote si è staccato per giungere sino alla posizione che occupa ora nel Mediterraneo” – hanno inserito la nostra regione nell’elenco dei territori da monitorare costantemente. Anche perché, ormai è noto, gli effetti che il radon produce sulla salute dell’uomo sono evidenti.
Il radon, in assenza di eventi incidentali, rappresenta infatti la principale fonte di esposizione alla radioattività per la popolazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha valutato la cancerogenicità del radon fin dal 1988 e lo ha inserito nel Gruppo 1: “agenti in grado di indurre il tumore polmonare”. Stime consolidate da decenni a livello mondiale attribuiscono al radon la seconda causa di tumore polmonare dopo il fumo di tabacco con un rischio proporzionale alla concentrazione. In Italia si stima che, su circa 30.000 casi di tumore polmonare che si registrano ogni anno, oltre 3.000 siano da attribuire al radon, la maggior parte dei quali tra fumatori ed ex-fumatori.
I dati calabresi, quindi, saranno presto aggiornati e consultabili sul sito nazionale dell’ISIN al seguente indirizzo: https://www.isinucleare.it/it/radioprotezione-radioattivita-ambientale