Benevento e provincia rappresentano un caso positivo nel contesto della gestione dei rifiuti nel Mezzogiorno. Con una quota di differenziata che nel 2016 ha superato il 70% (dati dell’ultimo Rapporto Ispra sui rifiuti urbani), il territorio sannita è il più virtuoso dell’intero Meridione sul piano della separazione degli scarti. Questo modello, però, rischia di essere messo in crisi dalla carenza di impianti, aggravata dal recente incendio che ha colpito lo Stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti (Stir) di Casalduni. Una vera economia circolare implicherebbe una gestione dei rifiuti a chilometro zero, o quasi: invece, i rifiuti urbani sanniti al momento sono costretti a “emigrare” per trovare una destinazione. Ne abbiamo discusso con Liliana Monaco, ingegnere, dirigente di lungo corso della pubblica amministrazione e attualmente responsabile tecnico-amministrativo di Asia Benevento, la municipalizzata di igiene urbana del capoluogo sannita.
Ingegnere, si può parlare della provincia di Benevento come di un “caso di successo” nella gestione dei rifiuti urbani?
«Indubbiamente i risultati qui conseguiti sulla raccolta dei rifiuti sono rilevanti. Il rovescio della medaglia è la carenza di impianti per la gestione dei rifiuti: quelli provenienti dalla differenziata, ma non solo. Il risultato è che gli importi pagati dai cittadini sulla Tari sono alti, nonostante i brillanti risultati conseguiti nella differenziata».
Quali sono, dal punto di vista dell’impiantistica, le criticità più importanti?
«L’impianto Stir di Casalduni, colpito da un incendio, stava per essere rifunzionalizzato. L’obiettivo è fargli trattare anche le frazioni provenienti dalla differenziata: l’organico, innanzitutto, per il quale sarebbe una novità decisiva, il primo impianto disponibile nella provincia sannita. Inoltre si è programmato di utilizzarlo come piattaforma per il trasferimento delle frazioni secche delle differenziata, come la plastica. E in più, doveva essere messo in grado di produrre, dalla frazione non differenziata, una componente umida, idonea per l’utilizzo in discarica come copertura. Ulteriori passi avanti verso un modello virtuoso, che però saranno quantomeno rallentati per via dell’incendio».
La gestione dei rifiuti nelle aree interne della Campania evolverà verso un modello di “economia circolare”?
«Prendo ad esempio quanto sta accadendo nel Sannio. Con la situazione attuale, dopo l’incendio, i rifiuti sanniti non differenziati vengono mandati negli Stir di altre province campane. C’è da ricordare che la discarica di Sant’Arcangelo Trimonte, sotto sequestro dal 2011 e di recente dissequestrata, è ancora ferma per lungaggini burocratiche. Insomma, il cerchio dei rifiuti non è affatto chiuso, piuttosto si sta aprendo».
Come spiega la disparità di risultati sul territorio campano, per quanto riguarda la differenziata?
«Dalla mia esperienza ormai lunga sul territorio, risulta che nelle province di Avellino e Benevento e, in parte, in quella di Salerno, c’è una genuinità sociale che altrove in Campania è più difficile trovare. Nelle aree costiere si respira, mediamente, uno scetticismo nei confronti delle istituzioni, che si riverbera anche nel modo in cui si fa la raccolta dei rifiuti domestici. È una mentalità diffusa: ci si aspetta che le soluzioni siano calate dall’alto, invece i comportamenti individuali possono fare la differenza».
Da questo punto di vista, l’educazione ambientale può incidere positivamente?
«La scuola può incidere sulla mentalità dei cittadini di domani, a patto che su alcuni temi si faccia un lavoro continuo, direi quasi “martellante”. Ho letto dell’iniziativa del sindaco di Firenze, Dario Nardella, che ha lanciato una proposta di legge a iniziativa popolare per introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado l’ora di educazione alla cittadinanza. I sindaci sono in prima fila in questa battaglia culturale: sono loro il tessuto politico che plasma i comportamenti dei cittadini. Se sono troppo indulgenti nei confronti dei propri elettori, non si crea quel senso di responsabilità diffusa che è la base per una gestione ottimale del territorio. I primi cittadini, poi, dovrebbero federarsi per gestire i rifiuti, perché molte soluzioni sono necessariamente sovracomunali e le Province sono svuotate di competenze. Ma siamo lontani da una mentalità che favorisca il gioco di squadra, prevale il campanilismo».
Quale dovrebbe essere, a suo avviso, il ruolo degli enti di contollo, come le Arpa?
«Sento di poter dire che occorre maggiore sinergia tra le varie componenti istituzionali, per rendere più rapide le procedure. Penso alle procedure di autorizzazione per gli impianti, ma non solo».
Luigi Mosca – Arpa Campania
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