Come superare il marchio “Terra dei fuochi”? Sul tema sono intervenuti, a un recente convegno all’Università di Salerno, il vicepresidente della Regione Campania Fulvio Bonavitacola e diversi ricercatori e rappresentanti istituzionali.
Al campus di Fisciano, in una due giorni di studio organizzata dall’università di Salerno il 19 e il 20 ottobre scorsi, si è fatto il punto sul risanamento dei siti contaminati in Campania. L’esigenza di superare il marchio “Terra dei fuochi”, indubbiamente nocivo per l’immagine della regione, è stato al centro di molti interventi.
«Dopo che, nel 2013, è esploso questo caso mediatico», ha sottolineato Antonio Limone, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, «abbiamo lavorato molto in Campania e oggi questa regione è in posizione antesignana sullo studio dei siti contaminati, con il concorso di molti enti e istituti pubblici. In Campania – ha ricordato il direttore Izsm – si è costruito un modello esportabile a livello nazionale».
I controlli fatti nelle province di Napoli e Caserta in seguito all’approvazione, nel 2014, di una legge ad hoc sulla Terra dei fuochi, hanno portato all’elaborazione di un modello scientifico per valutare se un terreno è idoneo alla coltivazione di prodotti agricoli che finiranno sulle tavole dei consumatori. Oggi questo modello è al cuore di una normativa che prima mancava, il Regolamento per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree agricole, che verrà a breve pubblicato in Gazzetta ufficiale.
«Grazie a questi sforzi», ha aggiunto il direttore dell’Izsm, «abbiamo sfatato un pregiudizio: non è vero che il cibo campano nuoce alla salute. Ora abbiamo centinaia di migliaia di dati che lo dimostrano. Vestivamo la maglietta nera degli avvelenatori. Adesso siamo usciti da questo cono d’ombra, senza nascondere le criticità che pure esistono sul territorio».
Tra gli enti che più attivamente lavorano sui controlli per la Terra dei fuochi, c’è indubbiamente l’Arpa Campania, i cui vertici (il commissario Stefano Sorvino e il direttore tecnico Marinella Vito) sono intervenuti al campus di Fisciano, principalmente per illustrare il lavoro dell’Agenzia e i risultati emersi sul campo. Per approfondimenti si rimanda all’apposita sezione allestita sul sito Arpac.
Francesco Pirozzi, professore della Federico II e presidente del Gruppo italiano di ingegneria sanitaria ambientale, si è spinto ad auspicare che «scompaia, dai documenti ufficiali, la denominazione “Terra dei fuochi”. Ha creato molti danni dal punto di vista economico e sociale – ha ragionato lo studioso – e in compenso ha fornito vantaggi solo a chi lavora nei circuiti mediatici. Peraltro è un toponimo scorretto dal punto di vista scientifico, perché i dati disponibili dimostrano che le situazioni di contaminazione riguardano porzioni di territorio molto circoscritte, non certo tutta l’ampia area a cui oggi è affibbiata questa etichetta».
Vincenzo Belgiorno, ordinario del Dipartimento di ingegneria civile dell’Unisa, ha tuttavia ricordato che l’espressione “Terra dei fuochi” è utilizzata dalla normativa vigente, in particolare dalla legge 6 del 2014. È dunque un toponimo che è stato consacrato dal Parlamento. «Oggi», ha detto Belgiorno, «dobbiamo dimostrare di essere in grado di affrontare e superare il problema, cosa che è fortunatamente già in atto». Belgiorno è coordinatore scientifico del progetto RiCeRCa, “Risanamento di siti contaminati in regione Campania”, finanziato dall’Izsm e finalizzato a sviluppare linee guida sulle complesse procedure tecniche necessarie per analizzare i rischi ambientali e sanitari presenti nella Terra dei fuochi e realizzare gli interventi di messa in sicurezza.
Laura D’Aprile, dirigente del ministero dell’Ambiente ed esperta del capitolo-bonifiche, ha convenuto che l’utilizzo dell’etichetta “Terra dei fuochi” è «inopportuno». Una posizione condivisa anche dall’attuale ministro, Gian Luca Galletti. «Però – ha aggiunto la rappresentante del ministero – dobbiamo ammettere che il caso “Terra dei fuochi” è servito a catalizzare le forze, a far sì che molti soggetti lavorassero insieme e costruissero un importante patrimonio di conoscenze». La dirigente ha spiegato che, con il Regolamento per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree agricole, che sta per entrare in vigore, viene finalmente stabilito qual è il livello di concentrazione accettabile di determinate sostanze nel terreno, affinché vi si possano coltivare prodotti destinati ai consumatori o ai pascoli.
Conclusioni affidate a Fulvio Bonavitacola, vicepresidente della Giunta regionale. Il quale ha premesso che il caso Terra dei fuochi si inserisce in uno scenario, quello della competizione globale tra territori per la conquista dei mercati. Una competizione «spietata», ha ammonito il numero due di Palazzo Santa Lucia, in cui la Campania deve oggi «recuperare un tasso reputazionale fortemente compromesso». Oggi, ha aggiunto Bonavitacola, «in questo mondo in cui conta soprattutto il brand, l’immagine della Campania si sovrappone a quella della Terra dei fuochi. Invece, i risultati forniti dal Gruppo di lavoro istituito con legge dello Stato dimostrano che l’area contaminata equivale a una percentuale risibile del territorio campano».
Come si ricostruisce questa immagine ferita? «Non basta una campagna pubblicitaria», ha detto Bonavitacola. «Occorre piuttosto un’opera gigantesca di ricostruzione civile e materiale, come negli anni Cinquanta per l’intero Paese. Abbiamo detto che la Campania non è la Terra dei fuochi, ma non possiamo negare che sul territorio esistano problemi seri. In particolare – ha ragionato il vicepresidente della Giunta regionale – nei decenni dai Sessanta agli Ottanta si è perso il senso del limite, lo vediamo a Bagnoli dove da quel periodo abbiamo ereditato la famigerata colmata, ma penso anche alla gestione selvaggia delle discariche comunali e alla gestione frammentaria del ciclo delle acque. Forse l’assoggettamento di pezzi di territorio alle logiche mafiose è arrivato solo dopo. Bisogna ricostruire. Il motto della Regione è: contrastare le brutture, esaltare le bellezze».
Luigi Mosca – Arpa Campania – l.mosca@arpacampania.it