Come può uno scoglio arginare il mare, si chiedeva – senza risposta – Lucio Battisti in un celebre successo di qualche decennio fa.
E come può un’alga indicare la qualità del mare?
A questa domanda, invece, rispondono i tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ligure.
Arpal infatti, nella sua opera di tutela del mare e delle coste liguri, effettua diversi tipi di monitoraggio, affidandosi anche all’utilizzo dei bioindicatori.
Proprio in questi giorni, i biologi dell’Agenzia ligure stanno completando il monitoraggio dello stato ecologico delle acque costiereattraverso l’applicazione dell’indice Carlit.
Si tratta di una particolare indagine non invasiva, che analizza i popolamenti superficiali di substrato roccioso prevalentemente dominati da macroalghe.
Questi organismi viventi rispondono ai cambiamenti delle condizioni ambientali in tempi relativamente brevi; una prerogativa che consente di avere una “fotografia” attendibile della situazione in essere.
L’impatto dell’uomo incide sulla varietà, qualità e tipologia di alghe presenti sulle scogliere; o, per dirla in maniera più tecnica, le perturbazioni antropiche di diverso genere (l’urbanizzazione della costa oppure l’eutrofizzazione, ossia l’arricchimento di nutrienti originato dagli scarichi fognari) provocano cambiamenti nelle comunità delle scogliere superficiali.
Le macroalghe brune strutturanti (Fucales) tendono a scomparire, mentre le specie tolleranti allo stress (es. feltri di Corallinales articolate) diventano dominanti in situazioni di moderato disturbo.
In caso di disturbo di grande intensità e durata, invece, si affermano principalmente specie opportuniste (es. Ulvales, la cosiddetta “lattuga di mare”). Molti studi hanno descritto questa tendenza in diverse aree, evidenziando come tali processi possano essere considerati comuni e paragonabili a scala mediterranea, seguendo una dinamica generale.
La situazione osservata nel 2020 è in linea con quella pregressa: in attesa di finire le elaborazioni dell’indice, le osservazioni puntuali non stravolgono quelle dello scorso triennio. Sono state trovate comunità ricche, con una buona densità di organismi, principalmente dominate da cystoseira, indicativa di un’ottima qualità ambientale. Sulle scogliere più esposte all’azione del moto ondoso la comunità algale risulta banalizzata, ma la causa in questo caso è naturale.
Il metodo Carlit è uno strumento utile per uno screening su vaste aree (grazie alla semplicità d’applicazione e ai costi limitati), per mettere in evidenza possibili zone a rischio o individuare dove approfondire il monitoraggio con ulteriori indagini.
Arpal è stata tra i primi ad applicare questo indice, mettendolo a punto insieme all’Università di Genova già nel 2004; ad oggi il Carlit è utilizzato in gran parte delle coste Mediterranee (italiane, spagnole e francesi).