Lo scorso 28 ottobre, la Corte d’Appello di Milano ha condannato la multinazionale Livanova PLC a rimborsare allo Stato oltre 453 milioni di euro per sanare il danno ambientale causato nei tre siti di interesse nazionale “Caffaro” di Brescia, Colleferro e Torviscosa dalle attività industriali delle società riconducibili al Gruppo SNIA. Gruppo dalla cui scissione societaria è nata nel 2004 la Livanova, con il conferimento di un ingente patrimonio che avrebbe dovuto essere destinato agli interventi di bonifica.
La sentenza rappresenta uno dei primi importanti pronunciamenti in materia di risarcimento del danno ambientale in applicazione del TU del 2006. Le produzioni Caffaro sono state riconosciute come la causa di fenomeni di inquinamento molto gravi, che hanno messo a rischio interessi di estrema rilevanza pubblica.
A Brescia, la storia dell’inquinamento Caffaro è strettamente connessa con l’unità produttiva di via Nullo, sorta nei primi anni del ‘900 e sede di uno stabilimento chimico originariamente dedicato alla produzione di soda caustica. A partire dalla fine degli anni ‘30, lo stabilimento si specializzò nella sintesi di prodotti derivati dal cloro.
I prodotti che maggiormente caratterizzarono la Caffaro a partire dal 1938 furono in particolare i policlorobifenili (PCB), di cui l’azienda è sempre stata l’unico produttore italiano. Successivamente, dal 1984, cessò progressivamente la produzione dei PCB e nel 1997 venne definitivamente chiuso l’impianto cloro-soda.
All’inizio degli anni 2000, anche a seguito di indagini e studi condotti da Arpa Lombardia, le preoccupazioni sull’incompatibilità ambientale delle produzioni Caffaro nell’area urbana di Brescia trovarono conferma nelle gravi condizioni di inquinamento riscontrate nelle aree agricole a valle dello stabilimento.
Attraverso la complessa e articolata rete di rogge, alimentata per decenni dalle acque degli scarichi industriali della Caffaro, l’irrigazione dei campi ha veicolato su un’area estesa fino a oltre 6 km dallo stabilimento mercurio, arsenico, cromo esavalente, fitofarmaci, solventi clorurati, ma soprattutto inquinanti organici persistenti, quali PCB e diossine.
Nel 2002, per le condizioni ad alto rischio ambientale derivanti dalle passate attività industriali svolte da Caffaro, il Sito di Brescia, comprendente le aree industriali e le relative discariche da bonificare, è stato incluso nell’elenco dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) individuati dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426.
Nel procedimento civile promosso dal Ministero della Transizione Ecologica e patrocinato dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa) e Arpa Lombardia hanno messo a disposizione le competenze tecniche dei propri professionisti per rappresentare, nell’ambito della CTU disposta dalla Corte d’Appello, gli interessi della collettività nella complessa e articolata ricostruzione dell’inquinamento e del danno ambientale prodotto dalla Caffaro.
Si tratta di un primo importante traguardo raggiunto dall’amministrazione pubblica verso il giusto risarcimento da parte dei responsabili dell’inquinamento dei costi di risanamento e ripristino ambientale in linea con il principio comunitario “chi inquina paga”.
a cura di Massimiliano Confalonieri – Arpa Lombardia