Siamo ormai tanto abituati a immagini di iceberg che si sciolgono e ghiacciai che scompaiono, da credere che il cambiamento climatico sia cosa lontana da noi e dalla nostra vita quotidiana. Ebbene, è il caso di ricordarlo, purtroppo così non è.
Già uno studio pubblicato la scorsa primavera sulla rivista Climatic Change, promosso dal WWF e realizzato con la collaborazione dagli esperti dell’Università dell’East Anglia e della James Cook University, segnalava infatti il Mediterraneocome una delle aree più a rischio per la biodiversità, ed è accertato come, anche nel nostro Paese, gli eventi estremi del clima stiano diventando sempre più frequenti, intensi ed estesi.
Anche soltanto guardando il nostro giardino, ad esempio, l’impatto dannoso sulle biodiversità può rivelarsi evidente: il riscaldamento globale sta via via alterando la stagione di fioritura delle specie vegetali, portando al rischio di estinzione quelle meno adattogene e favorendo nel contempo l’introduzione, non sempre felice, di quelle non autoctone, come l’Ambrosia artemisifolia.
Ecco allora che le comunità scientifiche hanno cominciato a considerare con sempre maggior attenzione l’osservazione fenologica del ciclo delle piante e lo studio e la quantificazione del prodotto della loro fioritura, cioè dei pollini, in quanto prime sentinelle delle alterazioni metereologiche.
La fioritura anomala di cipresso nelle Marche nel dicembre 2020
È vero che il Cipresso, appartenente alla famiglia botanica delle Cupressaceae e ampiamente diffuso nel nostro territorio, ha un periodo di fioritura piuttosto ampio: il picco di produzione pollinica si registra in genere tra la fine di gennaio e marzo, anche se non è raro si estenda fino ad aprile; è dunque una delle poche essenze a fioritura invernale e spesso tra le prime ad esere causa di fenomeni allergici soprattutto in città, favoriti dalla sua aumentata diffusione a scopo ornamentale nel verde urbano e dall’azione veicolante degli allergeni prodotta dall’inquinamento atmosferico.
Ciò che qui importa considerare, riguarda quanto accaduto nei giorni dal 23 al 25 dicembre scorsi, quando il Centro a valenza regionale di Aerobiologia dell’ARPAM ha registrato, in concomitanza con una forte presenza di vento di Libeccio, una importante fioritura del Cipresso verificatasi con largo anticipo rispetto ad ogni previsione. L’evento “anomalo”, contrassegnato da un insolito innanlzamento della temperatura, ha di fatto causato un vero e proprio “disorientamento” nella pianta: guidata soltanto dalla mitezza del clima, si può dire che essa non abbia più riconosciuto la stagione invernale e sia stata condotta tanto in errore da spargere al vento i suoi pollini.
Confrontando i granuli pollinici di Cupressaceae presenti nell’aria nel mese di Dicembre 2020 ed il dettaglio delle concentrazioni rilevate con i dati storici degli ultimi 11 anni forniti dalla stazione ARPAM di monitoraggio sporopollinico AP4 (ubicata nel comune di Castel di Lama), la peculiarità dell’evento si fa ancora più manifesta.
Il vento di Libeccio
Il vento di libeccio è un vento proveniente da sud-ovest, generalmente associato al passaggio di una perturbazione, che va a colpire segnatamente le regioni del versante Tirrenico, maggiormente esposte a questo tipo di circolazione, lasciando spesso sottovento quelle del versante Adriatico (che risultano invece più esposte a correnti da nord/nord-est e a quelle fredde da est). Le configurazioni che innescano tali situazioni presentano generalmente strutture di alta pressione a sud e a est della nostra Italia e centri di bassa pressione invece ad ovest-nordovest, con la conseguente risalita di aria calda sul bordo orientale della depressione (con movimento sud-ovest-nord-est).
Il Libeccio è quindi responsabile di lunghi periodi piovosi e ventosi con mareggiate sulle coste esposte, quelle di ponente, mentre apporta improvvisi rialzi termici, tempo più asciutto e molto mite sui versanti opposti, quelli Adriatici e anche Ionici. Per fare un esempio: succede spesso che quando scende una saccatura atlantica (una depressione che può essere nel mezzo di due aree anticicloniche) dalla Francia verso il nostro Paese, questa vada ad innescare un minimo di pressione al suolo al nord Italia (Val Padana), che a sua volta richiama dei venti intensi da sud/sud-ovest che vanno ad investire la penisola.
Noto anche con il nome di “Garbino”, specie lungo il medio Adriatico, tra la Romagna e l’Abruzzo, questo è un vento reso molto caldo dal fenomeno della “compressione adiabatica”, che si verifica quando assistiamo ad un repentino aumento della temperatura a seguito di un innalzamento della pressione. I valori termici, in questi casi, aumentano sensibilmente e l’umidità cala bruscamente. Le temperature possono arrivare fin oltre 20 gradi anche in pieno inverno, con un cielo parzialmente nuvoloso contrassegnato dalla presenza di “nubi lenticolari”, come nella foto sotto riportata.
Un fenomeno davvero raro?
Quanto accaduto nei giorni dal 23 al 25 dicembre 2020 è un chiaro esempio di quanto abbiamo sopra descritto. Infatti, una fase molto mite e fuori stagione, accompagnata da forti venti da sud-ovest, ha preceduto un’altra fase decisamente invernale in tutta la regione Marche e più da vicino nella provincia di Ascoli Piceno.
Le fioriture anticipate delle Cupressaceae così repentinamente comparse in quei giorni di fine dicembre hanno coinciso con tale fenomeno, che ha addirittura fatto schizzare lo 0 termico oltre i 3000 metri di quota, incentivando una sorta di risveglio primaverile.
Se però, come abbiamo visto, non siamo in presenza di un fenomeno così raro, è vero che quanto accaduto sembra, con il passare degli anni, farsi sempre più intenso anche a causa dei cambiamenti climatici.
E’ noto che la sopravvivenza del regno vegetale dipende dall’ambiente esterno e dalle sue sollecitazioni, come la temperatura (calore), l’acqua, la luce e il nutrimento organico, così come per le piante anemofile sia il vento a svolgere un ruolo importantissimo per la loro diffusione. E’ per questo che tra specie botaniche e meteoclima esiste un legame indissolubile: esse infatti possiedono un’elevata vulnerabilità ai fenomeni meteoclimatici e la loro fioritura è legata inseparabilmente al fattore “tempo”, cioè all’insieme delle condizioni atmosferiche in un preciso momento e in un dato territorio (che distinguiamo dal “clima”, con il quale si intende invece un insieme di condizioni meteorologiche medie che caratterizzano una determinata regione geografica).
E se il cambiamento climatico, come ormai sotto gli occhi di tutti, è destinato ad estremizzare con fenomeni sempre più intensi e devastanti il “tempo” meteorologico (basti pensare al recente intensificarsi, anche nell’area del Mediterraneo, di nubifragi e trombe d’aria), dobbiamo prepararci ad affrontare, o meglio, contrastare quanto più possibile la catastrofe della perdita di circa il 40% delle specie di piante esistenti sulla Terra, e della scomparsa di tutte le attività umane che da esse dipendono.
Testo di Nadia Trobiani, Alessandro Allegrucci, Thomas Valerio Simeoni