Il recente inserimento in Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è una notizia, attesa da decenni, ma anche un importante e concreto impegno per il futuro in particolare per le “future generazioni”, esplicitamente citate nella modifica dell’articolo 9 Costituzione.
Non si tratta solo del diritto dell’ambiente ma del diritto all’ambiente, come è stato detto da alcuni commentatori della riforma. La conferma è anche nella modifica apportata all’articolo 41 che prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno ad alcuni valori costituzionalmente tutelati, come la salute ed ora anche l’ambiente.
Oggi la dimensione etica, la dimensione scientifica e la dimensione di corresponsabilità nei confronti delle nuove generazioni implicano l’individuazione di soluzioni e scelte di livello costituzionale, perché la complessità dei problemi ambientali si risolve con l’individuazione dei princìpi che devono guidare il metodo per affrontarli: le costituzioni rappresentano la sede in cui tali princìpi possono essere recepiti e definiti.
L’ambiente come contrappeso alla libertà economica contenuto nell’articolo 41 della Carta costituzionale riporta in primo piano il rapporto, non sempre facile, tra tutela dell’ambiente e tutela dell’attività economica. Che cosa cambierà e quali saranno gli effetti per le aziende?
La recente modifica costituzionale riveste sicuramente una grande rilevanza, anche se la tutela dell’ambiente era già assurta esplicitamente a rango costituzionale con la modifica del 2001 e l’inserimento della materia fra le competenze legislative esclusive dello Stato. Certamente il nuovo articolo 41 esplicita a livello costituzionale la necessità di un corretto contemperamento fra la tutela dell’ambiente e l’iniziativa economica, anch’essa valore tutelato costituzionalmente. Si tratta di un indirizzo per i legislatori nazionali e regionali, i quali tuttavia già si erano mossi ampiamente in questa direzione, anche sulla base di indicazioni e direttive comunitarie.
Peraltro, nel merito della questione, credo che sempre di più sia possibile e sarà possibile coniugare tutela dell’ambiente e attività imprenditoriale; la svolta della green economy e della circolarità va letta anche in questa direzione. I contatti tra politiche industriali e politiche ambientali saranno sempre più frequenti e proficui.
I distretti industriali in Toscana sono molto diversi ed ognuno deve confrontarsi con la sfida della transizione ecologica e della sostenibilità ambientale. A che punto siamo?
E’ condivisibile mettere in evidenza le differenze fra i vari settori e quindi fra i vari distretti. Credo però che si possa dire che in generale c’è un impegno di tutto il sistema produttivo toscano verso la transizione ecologica e la sostenibilità ambientale. Già da molti anni. Mi riferisco ad esempio a tutti gli investimenti che sono stati fatti nei vari distretti per gli acquedotti industriali e la depurazione consortile. Oppure tutto quello che è stato fatto in tema di efficientamento energetico; in quest’ultimo caso, per altro, risparmiare energia a parità di produzione significa anche risparmiare sui costi. Oggi certamente la situazione economica complessiva, il caro energia, le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, stanno mettendo a dura prova il nostro modello produttivo.
Non dimentichiamoci mai che siamo una Paese e quindi una regione di grandi trasformatori; questa crisi ci sta colpendo duramente, ma il tema del risparmio delle risorse e quindi dell’efficienza nella produzione sarà sempre più di attualità. Tuttavia, la transizione ecologica ha bisogno di tempo e di grandi investimenti, pubblici e privati; sotto questo aspetto il momento economico che stiamo vivendo non aiuta. Serve quindi un grande supporto per le imprese da parte di politiche pubbliche che sostengano gli investimenti, ma anche e soprattutto, in taluni casi, traghettino le aziende fuori da questo momento, assicurando la sopravvivenza dei settori più colpiti dal caro energia e delle materie prime.
La transizione ecologica prevista nel PNRR è un impulso fortissimo per le imprese alla riconversione e al rispetto dell’ambiente, tanto che tutti gli interventi strutturali sono vincolati alla clausola Dnsh (Do no significant harm, ossia l’assenza di un danno ambientale). Questo princìpio è fondamentale per accedere ai finanziamenti. Come si stanno attrezzando le imprese toscane?
Il PNRR rappresenta una grande opportunità per il nostro Paese e la nostra Regione; va saputa cogliere facendo sistema, e anche le imprese toscane sono pronte a fare la loro parte. Una premessa: il quadro macroeconomico odierno, rispetto a quello all’interno del quale è maturato il PNRR, è profondamente cambiato; non escluderei categoricamente la possibilità di modifiche o integrazioni del Piano, ad esempio sugli interventi che riguardano l’energia.
Al netto di questo, però, sicuramente il principio del Dnsh richiede una grande attenzione da parte delle imprese, le quali però sanno bene come il PNRR si muova per sostenere le grandi transizioni del nostro sistema produttivo, quella ambientale e quella digitale. In un certo senso, il principio è già inserito, e non potrebbe essere diversamente, all’interno delle premesse e degli obiettivi del piano nel suo complesso.
Si può nascondere, dietro la formula di tutela costituzionale dell’interesse ambientale, della tutela dell’ecosistema e biodiversità, il rischio di una sorta di “green washing” per il mondo delle imprese?
Non credo che si corra questo rischio e comunque la previsione costituzionale mi sembra ridurlo ulteriormente. Nell’esperienza quotidiana, semmai, vedo anche il rischio opposto. Nel senso, che dovremmo comunicare meglio quello che molte imprese fanno in termini di tutela dell’ambiente, di efficienza energetica, di capacità di coniugare produzione industriale con tutela dei valori ecologici.
E sono le stesse imprese che investono in questi ambiti ad avere interesse che fenomeni di green washing da parte magari dei loro competitors non si verifichino.