Il decreto attuativo dell’art.22 del Codice degli appalti norma il dibattito pubblico in Italia, prevedendo un ruolo di cittadini e territori nelle procedure di “informazione, partecipazione e confronto pubblico sull’opportunità, le finalità e le soluzioni progettuali di opere, progetti o interventi pubblici”. Manca ancora un tassello per le piena operatività della norma.
Sulla partecipazione Eurostat ci dice che il 12,9% dei cittadini adulti in Europa dichiara di essere “attivo”, di aver partecipato a riunioni, firmato petizioni o aver partecipato ad altre attività connesse. Il più alto tasso di cittadinanza attiva è registrato in Svezia (31,1%), seguita da Svizzera (26,8%), Paesi Bassi (25,2%), Islanda (24,8%) e Francia (24,7%). L’Italia è solo al 22° posto con una percentuale del 6,3%.
Parlando di dibattito pubblico, una delle forme più organizzate di partecipazione civile nelle decisioni di interesse pubblico, nel nostro Paese lo strumento risulta ancora in fase molto sperimentale; sarà però necessario, nei prossimi anni, preparare le amministrazioni e le loro strutture a farvi i conti, vista la recente uscita del decreto che prevede l’attivazione del dibattito pubblico nel caso di grandi opere.
In Italia, infatti, il Codice dei contratti pubblici, approvato il 26 febbraio 2016, introduce all’articolo 22, comma 2, l’istituto del dibattito pubblico e quindi l’obbligo di coinvolgere le comunità locali nella realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, sociale ed economico. Il decreto attuativo, che definisce modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, è giunto in Parlamento a fine 2017 e solo nel mese di agosto è entrato in vigore, dopo tutte le fasi di consultazione ministeriale (vedi decreto 10 maggio 2018, n. 76).
La procedura prevista intende aprire e discutere con la cittadinanza e gli stakeholder tutti gli aspetti dell’opera, compresi gli impatti sull’ambiente e sulla vita delle persone, attraverso un percorso di informazione e coinvolgimento.
Il sistema si ispira senza dubbio al modello francese del Debat Public, nato nel 1995 con l’obiettivo di mettere in discussione un progetto, discuterne l’opportunità e fare in modo che gli interessati ne parlino e si ascoltino reciprocamente. In Francia tutti i progetti che rientrano nel codice dell’ambiente e che hanno un costo uguale o superiore a 300 milioni di euro devono essere obbligatoriamente segnalati alla Commissione nazionale del dibattito pubblico, che decide se avviare una procedura di dibattito pubblico o un’altra procedura di partecipazione dei cittadini. Se attivato, il dibattito dura tra i 4 e i 6 mesi, durante i quali non può essere presa alcuna decisione politica e amministrativa sul progetto.
Il dibattito pubblico è previsto anche in alcune leggi regionali, come la Lr 46/2013 sulla partecipazione della Toscana, anche se, a livello nazionale, c’è ancora sperimentazione su questo strumento e poche vere esperienze. In Toscana, tra l’altro, si sta parlando di modificare e aggiornare la norma, anche in considerazione della recente introduzione del decreto attuativo 10 maggio 2018, n. 76.
Ma cosa prevede nello specifico questo provvedimento? Il dibattito pubblico si apre nella fase di elaborazione del progetto di fattibilità, quando le alternative progettuali sono ancora aperte e il proponente può ancora modificare il progetto, o nel documento delle alternative progettuali e quindi i risultati del dibattito concorrono all’elaborazione del progetti di fattibilità. Si parla quindi di una fase precedente alla VIA. Il processo si apre dunque sul “dossier” di progetto che deve essere chiaro nello spiegare impatti, tempi, costi ecc.
A differenza del debat public i passaggi e le metodologie non sono specificati e il decreto lascia libertà a chi gestirà il dibattito di scegliere come organizzare il dibattito pubblico, in base alle caratteristiche dell’intervento e alle peculiarità del contesto sociale e territoriale di riferimento.
La durata del dibattito è di 4-6 mesi, preceduti da una fase dedicata alla progettazione del processo (1 mese).
Il decreto affida al proponente dell’opera/progetto il compito di curare il dibattito; il proponente, attraverso procedure di evidenza pubblica, seleziona tra soggetti di comprovata esperienza e competenza nella gestione di processi partecipativi, ovvero di gestione ed esecuzione di attività di progettazione e pianificazione in materia infrastrutturale, urbanistica e territoriale, un coordinatore, figura indipendente che svolgerà il proprio compito in autonomia.
A fine dibattito il coordinatore fa una relazione dove descrive l’andamento del processo e pone una serie di questioni al proponente che ha poi 2 mesi di tempo per presentare una propria relazione in cui evidenziare:
- la volontà o meno di realizzare l’intervento
- le eventuali modifiche apportate al progetto
- le ragioni per cui non accoglie eventuali proposte.
Le due relazioni diventano a tutti gli effetti documenti di progetto e sono discusse pertanto in Conferenza dei servizi e in sede di autorizzazione.
Il dibattito pubblico si applica a grandi opere ed è obbligatorio per opere pari o superiori a 500 milioni di euro. Il Regolamento entrato in vigore il 24 agosto 2018 dettaglia le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito all’allegato 1. Il proponente è comunque sempre libero di aprire un dibattito pubblico quando lo ritiene necessario, aldilà della soglia. Anche le amministrazioni centrali (Presidenza del Consiglio e Ministeri) e gli enti locali possono richiedere l’avvio di un dibattito.
Come si può vedere dall’elenco in allegato 1, il decreto si applica a opere che richiedono investimenti molto rilevanti; per questo motivo il Consiglio di Stato, con parere n. 359 del 12 febbraio 2018, aveva sollevato il dubbio sull’effettiva utilità di un’applicazione così limitata: le soglie economiche fissate dal decreto sarebbero infatti «di importo così elevato da finire per rendere, nella pratica, minimale il ricorso a tale istituto».
Per rendere pienamente operativo il decreto, però, si deve aspettare che il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIT) emani un proprio decreto che definisca il funzionamento della Commissione per il dibattito pubblico. Al secondo comma, infatti, l’art. 22 del Codice dei contratti pubblici istituisce la Commissione nazionale per il dibattito pubblico, collocata presso il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, investita del compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici, nonché di presentare raccomandazioni in merito allo svolgimento del dibattito pubblico.
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