Letizia Marsili dell’Università degli Studi di Siena al seminario “Gli impatti dei cambiamenti climatici sulle acque sotterranee e superficiali”, tenutosi a Firenze, ha incentrato il suo intervento sull’analisi delle specie aliene nelle acque dolci con un focus sulla Toscana.
A livello globale, su 1517 specie aliene invasive registrate, il 39% è stato introdotto intenzionalmente, il 26% involontariamente, il 22% sia intenzionalmente che involontariamente, mentre del 13% non si hanno informazioni disponibili.
La biodiversità viene messa a dura prova dalle specie aliene, che sono la causa del 25% delle estinzioni vegetali e del 33% delle estinzioni animali. Le specie native sono coinvolte in meno del 5% e del 3% delle estinzioni vegetali e animali. L’introduzione e diffusione di specie aliene o esotiche invasive comportano impatti anche sui servizi ecosistemici: l’approvvigionamento di acqua e aria, legname, impollinazione ecc. Inoltre, le specie aliene sono responsabili della perdita della diversità filogenetica, che riguarda quanto le specie sono vicine o distanti da un punto di vista evolutivo; l’11% delle specie native sono minacciate da quelle invasive proprio su questo aspetto.
L’impatto economico dovuto alle specie invasive aliene è incredibile; i costi sono ingenti, stimati a livello globale in 26,8 miliardi di dollari annui, sia per gli impatti diretti che per la gestione delle specie invasive. In Italia, il costo economico è stimato in più di 700 milioni di euro, spesi nel periodo tra il 1990 e il 2020.
Non meno importanti sono gli impatti prodotti dalle specie aliene sulla salute umana.
Le specie aliene invasive sono arrivate, nel nostro paese, tra il 1970 e il 2014; delle 3000 specie aliene registrate negli ultimi trent’anni, il 15% sono considerate invasive. Quelle maggiormente conosciute sono: la nutria, la zanzara tigre, il gambero della Louisiana, il giacinto di acqua.
Per fronteggiare questa situazione, a livello europeo, è stato adottato il Regolamento 1143 del 2014, che detta disposizioni per prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il regolamento è in vigore dal 1° gennaio 2015.
A livello nazionale, con il Decreto legislativo 230 del 2017, è stato affidato alle Regioni e alle Province autonome il compito di effettuare, per tutte le specie di interesse dell’Unione europea, il monitoraggio, il rilevamento precoce, l’eradicazione rapida e il controllo e, qualora necessario, il ripristino degli ecosistemi danneggiati.
Per quanto riguarda le specie aliene nelle acque dolci, bisogna premettere che quest’ultime rappresentano una parte minima delle acque del mondo, lo 0,01% ma sono ricche di biodiversità, il 10% di tutte le specie descritte e il 30% dei vertebrati. Per questo, devono essere oggetto di particolare attenzione visto che le specie aliene invasive mettono a forte rischio quelle autoctone, come nel caso dei vertebrati di acqua dolce particolarmente minacciati, secondo la red list della IUCN- 2022. In generale, 83% delle popolazioni animali di acqua dolce ha mostrato una marcata tendenza alla diminuzione di abbondanza tra il 1970 e il 2018.
Il cambiamento climatico e il commercio globale, soprattutto legato agli acquisti elettronici su Web, sono causa della perdita di biodiversità, anche nelle acque dolci. I cambiamenti climatici possono avere effetti sulla perdita di biodiversità nelle acque dolci sia in modo diretto che indiretto. Nel primo caso, incidono sui cambiamenti del ciclo idrologico e sull’aumento di temperatura dell’acqua, nel secondo caso, invece, riguardano l’aumento del prelievo delle acque per l’agricoltura o altri usi umani, l’aumento della frammentazione dei fiumi per la costruzione di dighe, il peggioramento qualitativo delle acque o l’invasione, appunto, di specie aliene.
Le mutazioni nel clima e le specie aliene lavorano anche in modo sinergico, incidendo sulla biodiversità delle specie di acqua dolce, tanto che, in questo habitat, le specie aliene hanno occupato il 50% della superficie totale; si tratta di molte d’ interesse europeo: 36 specie di piante e 30 specie di animali.
Le specie ittiche di acqua dolce, che rappresentano il 51% della diversità ittica conosciuta a livello mondiale, sono particolarmente minacciate. La fauna ittica italiana, d’acqua dolce, è composta da 48 specie autoctone e 41 specie introdotte. 15 specie introdotte, tra quelle segnalate, non sono ancora considerate naturalizzate. Su 44 bacini indagati, 10 hanno un numero di specie introdotte pari o superiore al numero di specie native.
Marsili ha illustrato poi, in dettaglio, la situazione in Toscana, dove vi sono molte specie aliene nelle acque interne ed anche transfaunate ovvero sono specie nazionali ma appartengono ad un altro distretto ittiogeografico. Nel complesso si tratta di 25 specie aliene e 10 transfaunate.
L’intervento si è concluso ricordando il granchio blu, che non abbandona le proprie attività biologiche, fisiologiche e metaboliche al di sotto dei 15 gradi di temperatura. Purtroppo, ormai le acque, per effetto del cambiamento climatico, si sono riscaldate; quindi, questo granchio mangia e si riproduce in continuazione senza avere antagonisti, se non l’uomo. Il polpo potrebbe essere un importante predatore ma ancora non ha imparato a riconoscere il granchio blu come preda.
L’ultimo intervento del seminario è stato affidato a Ella Guscelli, che ha illustrato il lavoro, frutto del suo dottorato di ricerca sul gamberetto nordico, finanziato dall’Università del Quebec a Rimouski in Canada.
I monitoraggi (abbondanza, sesso, taglia e distribuzione) su questa specie hanno mostrato una crescita di fino al 2005 poi un declino, tuttora in corso, dovuto anche al cambiamento climatico, che ha modificato le condizioni fisico-chimiche dell’habitat in cui vivono i gamberetti impattato dall’aumento delle temperature delle acque, dall’acidificazione delle acque profonde e dall’ipossia (perdita di disponibilità di ossigeno). Il gamberetto nordico risulta piuttosto tollerante ai singoli effetti del cambiamento climatico, meno a quelli combinati, che, insieme, riducono la capacità di sopravvivenza di questa specie, incidendo sulla performance energetica.
Ella Guscelli ha concluso, ricordando che, nel Quebec, sia il settore produttivo che quello governativo stanno cercando soluzioni per affrontare la riduzione di abbondanza del gamberetto nordico. Il dibattito è aperto e tiene conto anche dei dati scientifici per definire le quote di pesca e l’adattabilità del settore ittico ai cambiamenti climatici, puntando, per il futuro, ad una pesca qualitativa più che quantitativa.