Martedì 20 dicembre 2022, presso la sede della Direzione generale di ARPAT, a Firenze, si è tenuta una tavola rotonda per parlare di transizione ecologica e cambiamento climatico con le associazioni datoriali e sindacali, le associazioni ambientaliste e il mondo agricolo.
Monia Monni, Assessore regionale all’ambiente e protezione civile, ha trasmesso i suoi saluti, non potendo essere presente in quanto impegnata nelle operazioni di sbarco dei migranti al porto di Livorno.
Il Direttore generale, Pietro Rubellini introduce la tavola rotonda, mostrando la volontà di ARPAT di aprirsi al tema del cambiamento climatico ed essere in grado di analizzare e valutare le possibili correlazioni esistenti tra gli effetti del cambiamento climatico e lo stato delle matrici ambientali, oggetto, ormai da molti anni, di monitoraggio da parte del personale dell’Agenzia.
Gli effetti del cambiamento climatico – evidenzia il Direttore generale – sono ormai evidenti; pensiamo alla siccità, uno dei principali effetti del cambiamento climatico, questa è sempre più presente nell’area del Mediterraneo e costringe i comparti produttivi più idrovori ad intaccare gli acquiferi più profondi, rimobilizzando inquinanti pregressi, frutto dell’industrializzazione degli anni ‘60, riportandoli in circolo.
Nel Mediterraneo registriamo la presenza di organismi alieni che – ricorda Rubellini – entrano dal canale di Suez, diffondendosi e proliferando anche ai danni delle specie autoctone grazie all’aumento della temperatura delle acque, fino a +4° registrate nei nostri mari. Aumento della temperatura, che è alla base anche della modifica delle abitudini di nidificazione della tartaruga Caretta Caretta, le cui uova si schiudono sempre più a nord, di recente in Liguria.
Lasciando il mare, un altro esempio proposto per comprendere gli impatti del cambiamento climatico è quello della crisi delle apoidei, che – spiega il Direttore generale – bottinano, raccolgono polline e nettare, in un raggio di qualche centinaio di metri dal nido, il che li rende più vulnerabili ai cambiamenti ambientali e ad altri fattori di stress ad essi correlati.
Risulta chiaro che la stabilità stagionale è venuta meno, questa ha garantito – precisa Rubellini – lo sviluppo di una società stanziale, basata su agricoltura e allevamento, almeno fino alla metà del 1800, quando la concentrazione di CO2 era pari a 200 ppm. In meno di 200 anni, questa concentrazione è più che raddoppiata, causando mutamenti del clima e determinando, alle nostre latitudini, una tropicalizzazione con sempre più eventi atmosferici estremi.
Al momento l’essere umano, la società, non si sta dimostrando resiliente ai cambiamenti climatici in atto – afferma lo stesso Direttore generale – facendo riferimento anche ad alcuni recenti fenomeni: alluvioni dovute a piogge brevi ed intense, che comportano distruzione del territorio ma anche perdite di vite umane.
Dalla metà del 1800, evidenzia ancora Rubellini, abbiamo intrapreso una strada che, per ora, non siamo in grado di gestire, e che, oggi, sembra addirittura aggravarsi, come sta accadendo a causa della crisi energetica, che ci sta riportando in una seconda era del carbone. Siamo di fronte ad un problema mondiale – conclude il Direttore generale – che al momento neppure i meccanismi regolatori, in particolare le COP, sono in grado di gestire, come emerge dagli esiti dell’ultima COP di Sharm el Sheikh, dove gli Stati non sono riusciti a trovare soluzioni condivise per mitigare e contrastare gli effetti del cambiamento climatico. In quest’occasione, infatti, abbiamo visto come i paesi produttori di CO2, fortemente industrializzati e maggiormente inquinanti, facciano da padroni al tavolo delle trattative mentre i paesi poveri, che più di altri subiscono gli effetti del cambiamento climatico, stentino ad ottenere ascolto e sostegno economico non solo in forma di risarcimento ma come deterrente all’ intraprendere modelli di sviluppo non sostenibile, che, se realizzati, peggiorerebbero ancora di più la situazione climatica globale.
In questo scenario le singole ARPA e l’intero Sistema di protezione ambientale – SNPA – stanno affrontando le tematiche e i problemi connessi al cambiamento climatico che impatta sui comparti ambientali. Per fare questo, è necessario mettere a punto nuovi indicatori ed elaborare modelli aggiornati da integrare con quelli già in uso.
Il Direttore generale lascia, quindi, la parola al Direttore tecnico, Marcello Mossa Verre, che, nel suo intervento, illustra le sfide che attendono l’Agenzia.
ARPAT – ricorda Marcello Mossa Verre – ha presentato, poco più di un mese fa, l’undicesima edizione dell’Annuario dei dati ambientali della Toscana costruito su 96 indicatori ambientali suddivisi in 6 aree tematiche: aria, acqua, mare, suolo, agenti fisici e sistemi produttivi. Gli indicatori sono ricondotti al modello DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti e Risposte), mutuato dall’EEA (European Environment Agency), in grado di raffigurare e connettere tra loro gli elementi e le relazioni nonché interpretare le dinamiche ambientali.
I nuovi scenari ambientali, e in particolare il cambiamento climatico, – ha commentato il Direttore tecnico – ci mettono di fronte a nuove sfide che richiedono anche una riflessione sulla capacità degli indicatori attualmente in uso – riconducibili al modello DPSIR – di rappresentare in modo esaustivo le dinamiche ambientali contemporanee. Risulta, pertanto, non più prorogabile per l’Agenzia la necessità di studiare un set di indicatori in grado di descrivere la qualità dell’ambiente con l’obiettivo di giocare la propria parte nel contrasto al cambiamento climatico e fornire gli strumenti necessari per le relative politiche di mitigazione e adattamento sia a livello regionale che nazionale. Ci attendono, dunque, ha proseguito il direttore tecnico – alcune sfide sia a livello metodologico sia tecnologico e di supporto tecnico al decisore politico.
Il modello elaborato dall’IPCC che prende in considerazione l’aumento delle temperature, le variazioni delle precipitazioni, l’accrescersi numerico degli eventi meteorologici estremi ed altri indicatori, che rappresentano i cambiamenti climatici in atto, può venirci in soccorso, come lo stesso Rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici, pubblicato, nel 2021, dal SNPA. Il rapporto individua e mette a sistema e popola, per la prima volta in Italia, gli indicatori disponibili a livello nazionale e regionale inerenti i possibili impatti dei cambiamenti climatici sulle risorse naturali e sui settori socio-economici del nostro Paese.
Il set di indicatori, suddiviso in Indicatori di livello nazionale condivisi nell’ambito del SNPA e Casi pilota regionali sviluppati dalle singole ARPA, fornisce un primo quadro conoscitivo sui fenomeni potenzialmente connessi ai cambiamenti climatici e rappresenta un sistema dinamico e aggiornabile anche in funzione di eventuali nuove acquisizioni scientifiche.
Lo stato dell’ambiente in Toscana, come emerge dagli ultimi dati raccolti nell’Annuario 2022, mette in luce alcune criticità e nuove sfide da affrontare. Partendo dall’analisi della qualità dell’aria, i dati mostrano il persistere di alcune criticità nella città di Firenze e nella piana di Lucca ma ciò che più conta è la sfida che si prospetta con l’introduzione dei nuovi limiti, più cautelativi per la salute umana, proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la valutazione della qualità dell’aria. Questi nuovi limiti, che saranno valutati a livello europeo nella fase di aggiornamento della direttiva sulla qualità dell’aria, potranno delineare un quadro molto diverso rispetto a quello registrato sinora dai nostri monitoraggi che tengono conto degli attuali limiti vigenti.
Sempre rimanendo nella matrice aria, alcuni indicatori, come quelli relativi all’aerobiologia, – ha proseguito Mossa Verre – evidenziano come il cambiamento climatico incida sulla stagione pollinica, che si mostra ormai da una decina di anni, sempre più anticipata.
Con riferimento, invece, alle acque superficiali, resta ancora da raggiungere l’obiettivo dello stato “buono” delle stesse. Inoltre, occorre mantenere l’attenzione sui PFAS e fitofarmaci, per prevenire un peggioramento della qualità delle acque sotterranee, in quanto attualmente di queste sostanze si rileva la presenza in tracce, senza, tuttavia, superare i limiti di riferimento.
Dal monitoraggio biologico delle acque superficiali è visibile come il cambiamento climatico, a causa dell’aumento della temperatura causa stia influenzando la biodiversità – ha commentato Marcello Mossa Verre -, in particolare con la comparsa di specie aliene fra i macroinvertebrati e le macrofite. Altra conferma deriva anche dall’osservazione della nidificazione della tartaruga Caretta Caretta, che depone le sue uova sempre più a nord rispetto al passato.
Sempre rimanendo sul tema mare, seppure non direttamente correlabile con il cambiamento climatico, la preoccupazione permane per la presenza, in aumento, di plastiche sia sulla superficie marina che sulle spiagge, a dimostrazione della necessità di ridurre, quanto prima, l’abuso di prodotti in plastica usa e getta, oltre che di sensibilizzare a tenere comportamenti più rispettosi dell’ambiente nella gestione dei rifiuti.
Questi esempi ci danno la misura della complessità del problema; per questo, per comprendere e monitorare l’andamento del cambiamento climatico, abbiamo bisogno di modelli che tengano conto delle relazioni complesse tra “forzanti meteo-climatiche” ed impatti, non solo ambientali ma anche socioeconomici. Infatti, per gestire questa complessità anche Ispra ha predisposto un set di indicatori compositi che permettono di avere una lettura più immediata, ad esempio conoscere il trend sul cambiamento del clima utilizzando un solo indicatore al quale concorrono diversi indicatori elementari.
Mossa Verre ha ripreso, infine, le parole del Direttore esecutivo dell’Agenzia Europea per l’ambiente, Hans Bruyninckx, che evidenzia come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità siano collegate tra loro e frutto di modelli di produzione e consumo insostenibili come lo sono anche la produzione e il consumo di energia.
La rotta da seguire – ha concluso il Direttore Mossa Verre – sarà quella di monitorare ma anche agire.
Si possono rivedere gli interventi della tavola rotonda sul canale You Tube di ARPAT