Un recente studio scientifico, al quale ha preso parte anche Arpa Valle d’Aosta, rivela che le sostanze azotate prodotte dalle attività umane raggiungono gli ambienti di alta quota e portano a superare di ben due volte e mezzo la soglia critica per gli ecosistemi più fragili.
Il traffico veicolare e l’agricoltura intensiva della Pianura Padana sono i più probabili responsabili della presenza in atmosfera di specie reattive dell’azoto. Queste ultime, trasportate dal vento e all’interno delle nubi, raggiungono anche le zone più remote e incontaminate e si depositano a terra attraverso la pioggia e la neve.
Lo rivela una ricerca, frutto della collaborazione tra CNR, Università di Torino e Arpa Valle d’Aosta, svoltasi presso il sito LTER (Long-Term Ecological Research) Istituto Mosso, a 2900 m di quota sul confine tra Valle d’Aosta e Piemonte.
Lo studio, di carattere multidisciplinare, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Atmospheric Environment ed è anche il primo in Europa a utilizzare tecniche di analisi fisiche avanzate delle precipitazioni in ambienti remoti di alta quota.
Gli effetti nocivi dell’azoto sugli ecosistemi di alta montagna
Le specie reattive dell’azoto presenti nell’atmosfera sono principalmente il risultato delle attività umane, quali l’uso di fertilizzanti nell’agricoltura intensiva e i processi di combustione. Queste attività sono concentrate nelle aree antropizzate, ma le sostanze azotate viaggiano per lunghe distanze prima di depositarsi a terra.
Gli ecosistemi di alta quota sono estremamente vulnerabili a minime variazioni ambientali, tra cui l’apporto di nutrienti come l’azoto, il che li rende dei veri e propri indicatori dei cambiamenti globali. In questi ecosistemi, aumenti cronici nella deposizione di azoto inorganico, sebbene lievi se confrontati con quelli di ambienti antropizzati, producono una serie di effetti che possono portare alla riduzione della biodiversità.
Una indagine durata diversi anni
Per valutare le quantità di azoto rilasciate al suolo dalle precipitazioni, i ricercatori dell’IRSA (Istituto di Ricerca sulle Acque) del CNR e dell’Università di Torino – DISAFA (Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari) hanno condotto un’indagine che si è protratta per tre anni, dal 2018 al 2020.
Durante questo periodo:
- hanno campionato la pioggia e la neve presso l’istituto scientifico Mosso, a un’altitudine di 2900 m
- successivamente, hanno analizzato i campioni utilizzando una serie di tecniche chimiche e fisiche
- queste metodiche hanno compreso anche la misura del numero di neutroni negli atomi di azoto e ossigeno (precisamente, i rapporti isotopici nella molecola di nitrato), tecnica che fornisce indicazioni sull’origine del nitrato nelle deposizioni atmosferiche. Questo studio rappresenta il primo esempio di utilizzo in Europa di tale metodo su campioni d’acqua raccolti ad alta quota.
Tra i risultati emersi, si è evidenziato un aspetto spesso trascurato negli studi precedenti: in alta montagna, la pioggia contribuisce alle deposizioni di azoto quanto la neve. Eppure, la pioggia è una componente solitamente ignorata nelle analisi di deposizioni di alta quota, a causa delle difficoltà nel garantire un campionamento a elevata frequenza (almeno settimanale).
Il percorso dell’azoto verso le montagne
Le specie reattive dell’azoto, originate dalle attività umane nelle zone antropizzate, trovano la loro strada verso l’alta montagna attraverso la circolazione atmosferica.
Le precipitazioni, sotto forma di neve o pioggia, svolgono poi un ruolo cruciale per la deposizione al suolo. Esse agiscono dilavando gli inquinanti già presenti nell’atmosfera e come portatori di particelle inquinanti precedentemente inglobate nei cristalli di neve o nelle gocce di pioggia (nuclei di condensazione).
Il contributo di Arpa Valle d’Aosta
Dal 2015 Arpa Valle d’Aosta conduce un monitoraggio continuo del profilo verticale dell’atmosfera.
Le vere e proprie radiografie dell’aria che ci sovrasta vengono effettuate regolarmente con un laser e consentono di visualizzare la distribuzione delle particelle sospese a diverse altitudini, fornendo preziose informazioni sulle dinamiche di trasporto degli inquinanti verso le valli alpine.
Queste conoscenze nel campo della qualità dell’aria in aree montane sono state fondamentali per supportare lo studio condotto presso l’istituto Mosso e comprendere pienamente i meccanismi del trasporto delle masse d’aria e le loro variazioni stagionali:
- in inverno, l’atmosfera presso l’istituto Mosso risulta incontaminata, simile addirittura a quella del periodo pre-industriale (16°-17° secolo). Gli inquinanti provenienti dalle aree pianeggianti, infatti, faticano a raggiungere quote elevate durante la stagione fredda;
- al contrario, durante l’estate, il riscaldamento solare intensifica il rimescolamento dell’atmosfera fino a quote elevate. Allo stesso tempo, la circolazione atmosferica dalla pianura verso la montagna favorisce il trasporto degli inquinanti alle quote dell’osservatorio.
Recentemente, l’Agenzia valdostana ha osservato dinamiche analoghe di trasporto di inquinanti a quote ancora più elevate del Mosso, come alla stazione di ricerca di Testa Grigia a Plateau Rosa (3500 m sul livello del mare). Il tema è stato oggetto di due tesi di laurea, in chimica e in fisica, in collaborazione con le Università di Torino e di Trento e con il CNR.
Approfondimenti sulla qualità dell’aria all’istituto Mosso e nelle zone di alta quota rivestono un ruolo cruciale per la Valle d’Aosta.
Date le peculiarità ambientali e territoriali della regione, nonché le significative implicazioni del trasporto di inquinanti, tali studi sono essenziali per comprendere appieno l’impatto dell’attività umana sulla salute pubblica, sull’ambiente naturale e sui delicati ecosistemi montani.
Quali tipi di ecosistema sono compresi in quelli qui definiti “montani”, esattamente?
Quali soffrono maggiormente delle deposizioni?
E’ verosimile che gli impatti si limitino all’alta montagna o vi è da temere anche per ecosistemi più a valle?
Grazie
Con il termine “ecosistemi montani” vengono indicati in modo generico gli ecosistemi terrestri ed acquatici (fluviali, lacustri, acque sotterranee) localizzati in aree montane senza alcuna distinzione rispetto alla quota.
Le deposizioni atmosferiche (pioggia, neve) rappresentano un vettore attraverso il quale i potenziali inquinanti, anche trasportati per lunghe distanze vengono trasferiti dal comparto atmosferico agli ecosistemi terrestri ed acquatici. Per gli ecosistemi remoti, come quelli montani di alta quota, lontani da zone antropizzate, le deposizioni atmosferiche costituiscono quindi la principale sorgente di inquinamento. Molte ricerche hanno dimostrato che gli ecosistemi di alta quota sono più sensibili alle alterazioni ambientali, come ad esempio l’aumento della temperatura e l’esposizione a inquinanti e/o a carichi troppo elevati di nutrienti rispetto a quelli situati a quote più basse.
Anche per gli ecosistemi di pianura le deposizioni atmosferiche rappresentano una possibile fonte di inquinamento, ma in questo caso è una tra le tante.
Ad esempio, gli apporti di azoto in un fiume o un lago situato in pianura comprenderanno quelli provenienti dalle attività agricole, dagli scarichi civili non trattati adeguatamente, etc. oltre a quelli derivanti dalle deposizioni atmosferiche.
risposta fornita da Raffaella Balestrini, IRSA-CNR