L’attuale epidemia COVID-19, la cui diffusione a livello mondiale in questi giorni ha battuto ogni precedente record, ha profondamente cambiato le nostre abitudini di vita. L’incertezza per il futuro continua a farsi sentire e persiste la paura che, in autunno, si possa verificare una seconda ondata di contagi in Europa. Nel tentativo di conoscere sempre di più il temibile virus e poterlo meglio gestire nel caso si verifichi l’ipotesi di un suo massiccio ritorno, molti gruppi di ricerca hanno iniziato a studiare le sue caratteristiche, quali infettività e patogenicità, e a tentare di spiegare l’evoluzione e l’impatto della pandemia sulla base di fattori sociali, sanitari e ambientali.
Proprio in campo ambientale, alcuni lavori hanno riguardato l‘influenza di temperatura e umidità dell’aria (leggi i contributi ai seguenti link Science direct, JAMA Network), o del particolato atmosferico, quest’ultimo sia in qualità di veicolo di trasmissione,sia come fattore in grado di contribuire, in caso di esposizione cronica, a peggiorare l’esito della malattia.
Diverse iniziative sono state annunciate, anche nell’ambito del sistema nazionale per la protezione ambientale, per valutare il legame tra inquinamento atmosferico e COVID-19.
Un ulteriore fattore ambientale ad essere stato indagato per una sua possibile influenza sulla trasmissione del virus e sul decorso della malattia è la radiazione solare ultravioletta (UV). L’effetto su SARS-CoV-2 potrebbe essere duplice: da una parte, è noto che la radiazione UV, artificiale e naturale, ha il potere di “uccidere” (inattivare) virus e batteri (diversi i contributi in tal senso, che sono consultabili ai seguenti link: Wiley Online Library, Oxford Academic 1, Oxford Academic 2 ). D’altronde, il potere germicida dei raggi UV-C (quelli che non arrivano fino alla superficie, perché assorbiti da ossigeno e ozono presenti nell’atmosfera terrestre) è noto già da tempo ed è alla base del funzionamento di speciali lampade per la per la disinfezione di ambienti e superfici in ospedali e luoghi pubblici. La radiazione solare UV, inoltre, per la sua capacità di favorire la sintesi della vitamina D nell’organismo umano, potrebbe anche rinforzare le nostre difese immunitarie e migliorare così la prognosi della malattia (leggi qui e qui), aspetto già verificato per altri tipi di patologie respiratorie e possibilmente in grado di spiegare perché alcuni gruppi etnici siano più colpiti rispetto ad altri a parità di condizioni ambientali . In merito ai probabili effetti biologici della radiazione UV sul Coronavirus Sars-CoV-2, Arpa VdA ha avviato, in collaborazione con l’Accademia di Medicina di Torino, altre agenzie ambientali italiane (APPA Bolzano, ARPA Piemonte, ARPA Puglia, ARPA Veneto) e altri enti di ricerca, uno studio, che è in fase di ultimazione.
Tuttavia, la possibile correlazione con la diffusione dell’epidemia è solo l’ultima evidenza di quanto sia importante studiare la radiazione che proviene dal Sole.
Arpa Valle d’Aosta è stata la prima Agenzia Ambientale in Italia ad attivare un programma di monitoraggio della radiazione UV: ad oggi, per mano del fisico Henri Diémoz, sono stati raccolti ben 15 anni di dati continuativi, dotati di elevatissima accuratezza. In aggiunta, negli ultimi tre anni Arpa ha potuto annoverare tra i propri collaboratori il ricercatore di fama internazionale Ilias Fountoulakis, che ha ottimizzato ulteriormente questa lunga serie di misure, la cui elaborazione è oggetto di un articolo inviato pochi giorni fa alla rivista Earth System Science Data. Nella sola prima metà dell’anno 2020, le misure di radiazione UV di Arpa sono state utilizzate in diversi altri studi scientifici: per meglio decrivere e comprendere le complesse dinamiche del cambiamento climatico , come riferimento per validare e contribuire a migliorare le stime di radiazione da satellite (leggi qui e qui ) o, ancora, nell’ambito di importanti confronti internazionali.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, lo studio e il monitoraggio della radiazione solare non sono argomenti di interesse esclusivo per pochi scienziati e studiosi del settore. Proprio in questi giorni siamo in piena estate e la radiazione UV è massima in Valle d’Aosta per l’effetto congiunto dell’elevazione solare e dell’andamento dell’ozono stratosferico. Stare al sole ci fa bene, ma occorre ricordare che una eccessiva esposizione alla radiazione è rischiosa per la nostra salute! E lo è ancora di più nelle zone di alta montagna, dove l’aria e più pura e trasparente.
Soprattutto durante i mesi estivi, perciò, occorre utilizzare creme solari, cappelli e occhiali per proteggerci, magari dando anche un’occhiata al sito di Arpa per consultare il valore dell’indice UV.
Con l’obiettivo di fornire più informazioni possibili ai cittadini sull’argomento, infine, Arpa attiverà nei prossimi mesi, grazie al sostegno della Fondazione CRT e alla collaborazione con diversi soggetti operanti sul territorio valdostano, un progetto volto a rendere l’informazione sulla radiazione UV più semplice e fruibile per gli utenti.
Continuate, dunque, a seguirci!
Foto di LU-yang da Pixabay
I raggi U.V. , usati nell’ industria alimentare soprattutto nella fase di imbottigliamento acque minerali in qualità di battericida ,favoriscono la formazione della molecola o3 ozono, nel periodo estivo con la terra
vicina al sole (21 giugno) la mesosfera si dilata e permette l’infiltrazione dell’ozonosfera a basse quote.
L’ozono ha le caratteristiche dell’ipoclorito di sodio oltre a essere usato in impianti biologici di depurazione
acque reflue urbane, è usato in medicina alternativa ozonoterapia. L’ozono nell’aria abbassa l’0ssido di carbonio che ossidandosi diventa anidride carbonica. Altri infine sono i motivi per cui ogni hanno si fa la vaccinazione antinfluenzale ad ottobre/novembre per virus che colpiscono tra dicembre e febbraio, tra questi il stare di più all’aria aperta, le condizioni climatiche, il minor contatto fisico (scuole, cinema) ecc.