Intervista a Luca Marchesi, direttore generale di Arpa Veneto. Continuiamo con lui il “giro d’Italia” con i direttori generali delle agenzie ambientali che compongono il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, iniziato con Vito Bruno di Arpa Puglia, per capire da loro come stanno affrontando l’attuale periodo di crisi e come pensano di poter contribuire ad uscirne in una logica di “transizione ecologica”, come sempre più spesso si legge nei documenti ufficiali.
Il Paese sta affrontando una crisi sanitaria, e sociale ed economica con pochi precedenti, ma al contempo sta lavorando per uscirne e costruire una prospettiva di ripartenza. In quale modo il SNPA, e gli enti che lo compongono, può dare il proprio contributo perché questa ripartenza sia nel segno dell’ambiente?
In questi momenti ognuno deve fare la sua parte. Immaginare il futuro quando il futuro sembra non esistere più, è stata la sfida su cui ci siamo impegnati nei mesi scorsi. Come Arpa Veneto, mentre continuavamo a garantire tutti i compiti istituzionali dell’Agenzia, abbiamo operato una riflessione ed elaborazione collettiva sul nostro futuro.
Forse perché chi “lavora” una materia prima così preziosa e necessaria alla vita come l’ambiente è predisposto ad avere una visione universale, i tecnici, gli amministrativi, i funzionari, i dirigenti, in presenza o in smart working, hanno elaborato insieme la nuova visione dell’ente.
Abbiamo prodotto, dopo un intero anno di un lavoro collettivo, iniziato con i metodi tradizionali e poi con videoincontri, il documento di posizionamento strategico “ARPAV 2024. Percorso di sviluppo e espansione di ARPAV“. Il documento non è solo il frutto dell’ascolto interno all’ente ma deriva da un’attenta analisi del contesto, è orientato alle necessità degli stakeholder e mette a fuoco Missione e Visione di ARPAV definendo le linee di sviluppo di un’organizzazione dinamica che sarà in grado di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti e alle necessità economiche e sociali future. Abbiamo quindi definito una nuova idea di organizzazione, che ci permetta un’evoluzione e manutenzione dinamica nel tempo. Ce n’è particolarmente bisogno in questo momento così difficile.
Se la ripartenza del Paese deve essere nel segno dell’ambiente, quali potrebbero essere i problemi che ancora impediscono il consolidamento di un forte Sistema nazionale di protezione ambientale, da affrontare e risolvere una volta per tutte?
Il momento è certamente critico, il Paese ha bisogno di un forte Sistema nazionale per l’ambiente per stare al passo con i tempi. Però, la storia delle agenzie ambientali, e direi anche la loro perdurante debolezza attuale, sono segnate dal fatto che entrambe le riforme cui si deve la loro esistenza – quella seguita del referendum del 1993 che ha portato alla legge 61/94 e più recentemente l’istituzione del SNPA – sono rimaste sostanzialmente delle ambiziose ed affascinanti “incompiute”.
La nascita delle agenzie ambientali ha origine, come noto, dal referendum del 1993 che sancì la separazione della “costola” ambientale dal Sistema sanitario nazionale. In quel modo i promotori del referendum pensavano di poter dare maggiore peso al tema ambiente, che all’interno delle unità sanitarie locali era stato fino ad allora la vera e propria “Cenerentola”. Purtroppo già quella riforma è rimasta incompleta. Un aspetto cruciale è quello della fonte dei finanziamenti e della loro consistenza.
Le risorse economiche con le quali viene garantito il funzionamento delle Arpa hanno tuttora origine prevalentemente nel Fondo Nazionale Sanitario e quindi nei relativi fondi regionali. All’epoca del referendum e della legge 61/94, i sostenitori del nuovo Sistema delle Agenzie ritenevano si dovesse garantire almeno l’1% di quei fondi per far funzionare al meglio le agenzie ambientali. Ebbene, ciò non è mai avvenuto e anzi la cifra a disposizione delle Agenzie regionali è sempre rimasta assai distante, se non addirittura in contrazione in alcuni contesti territoriali.
Nel 2018, ad esempio il FSR ammontava a 114.439 milioni di euro, mentre i contributi per il funzionamento dell’intero SNPA (tutte le agenzie ambientali italiane più ISPRA) ammontavano a circa 723 milioni di euro (pari a poco più dello 0,6%). Rapportando questi dati agli abitanti del nostro Paese vediamo che il Sistema per la protezione dell’ambiente costa circa un euro al mese per ogni cittadino italiano, meno di un caffè al mese. Questo è quanto si investe nell’ambiente in Italia.
Non è solamente un problema quantitativo – anche se quest’aspetto ovviamente non è secondario, visto che il “valore della produzione” di Ispra e di tutte le agenzie ambientali ammonta a circa 830 milioni di euro, un importo largamente inferiore a quello di una sola singola Azienda sanitaria locale di medie dimensioni (nel 2018 la ULS di Vicenza 953 milioni, la ASL di Foggia 1.170 milioni).
Il problema è anche di governance. Essere agganciati al FSR significa anche che, in questo modo, i detentori dei “cordoni della borsa” appartengono al mondo sanitario (in senso lato) e non a quello ambientale, con priorità ed esigenze legittimamente diverse. Ciò non ha certo facilitato la messa a disposizione di risorse adeguate, che anzi – tranne pochi casi virtuosi – sono progressivamente calate e non vengono garantite stabilmente, bensì sono rinviate annualmente alla negoziazione che precede l’approvazione delle leggi di bilancio ragionali.
E poi vi sono problemi di corretta e non sempre pacifica imputazione dei costi sui bilanci pubblici. Per esempio, il cd. “Tavolo sulla verifica degli adempimenti del SSR” costituito presso il Ministero della Salute per vigilare sull’applicazione dei LEA e sull’impiego su base regionale delle risorse a ciò destinate, ha ritenuto talvolta non corretta l’imputazione al FSR dei costi sostenuti dalle ARPA per le proprie attività; e analoghe richieste di chiarimento sono state formulate di recente anche da alcune sezioni regionali della Corte dei Conti, che hanno eccepito sul fatto che si utilizzassero risorse destinate alla Sanità per finalità diverse dall’erogazione dei LEA.
La risposta a questa criticità dovrebbe venire dalla istituzione, peraltro auspicata dallo stesso Legislatore al momento dell’approvazione della legge 132/2016, di un Fondo Nazionale Ambiente che finanzi i LEPTA e con il definitivo affrancamento dal Sistema Sanitario Nazionale.
Altri problemi da affrontare sono quelli relativi alla questione contrattuale, all’inquadramento di chimici, fisici e biologici classificati come esponenti delle “professioni sanitarie” dalla legge 3/2018, al ritardo nell’entrata in vigore del regolamento ispettori, del tariffario (ex art. 15) che permetterebbe di applicare il principio “chi-inquina-paga”, della definizione dei LEPTA, tutti temi che meritano approfondimenti specifici di cui potremmo parlare a lungo.
Sulla base di condizioni di rinnovata forza e autonomia il SNPA può svolgere un ruolo importante nello scenario che si sta profilando in Italia e in Europa?
L’istituzione del SNPA è stata il frutto di una apprezzabile e a lungo auspicata iniziativa parlamentare, che ha visto lavorare insieme un vasto arco di forze politiche di maggioranza e minoranza. Come è giusto che sia quando si parla di Ambiente. E’ stata – come era normale che fosse – una soluzione di compromesso, che evitava il rischio, che all’epoca pareva paventarsi, di un chiaro disegno istituzionale neo-centralista, giacché non è mistero per nessuno che da più parti si stava pensando alla creazione di un’unica agenzia nazionale, come in altri paesi europei.
L’istituzione del SNPA ha invece una impronta federalista e tiene conto di una forte componente autonomistica, per cui il ruolo delle Regioni e dello Stato devono essere adeguatamente bilanciati. In questo l’impostazione è da ritenersi ancora più valida oggi che molte Regioni italiane, non solo al nord, rivendicano forme differenziate di autonomia in attuazione dell’Art. 116 della Costituzione. La governance di una realtà complessa come il SNPA certamente non è facile, richiede grandi capacità di decisione e insieme di mediazione; ma rappresenta certamente un banco di prova importante ed interessante per chi ritiene si possa lavorare ancora in chiave federalista.
Probabilmente sarebbero necessari alcuni ritocchi, per superare alcuni elementi di criticità, quali ad esempio il fatto che il Sistema non ha una sua personalità giuridica e quindi non è in grado di operare concretamente se non attraverso uno dei 22 enti che lo compongono. Inoltre andrebbero meglio chiariti alcuni aspetti.
I LEPTA ed i relativi finanziamenti costituiscono certamente il quadro entro il quale deve essere garantito un livello minimo di prestazioni su tutto il territorio nazionale, indicando chiaramente quali queste debbano essere. Poi però le singole Regioni dovranno essere messe in condizione di assicurare livelli maggiori o più estesi di azione, a secondo della peculiarità delle sfide che si presentano localmente in un Paese così lungo e stretto come il nostro. Ad esempio la Regione del Veneto, intende affidare nuove linee di lavoro ad Arpa Veneto con l’introduzione di nuove tecnologie, sviluppo di competenze specifiche nuove e con finanziamenti appositi. Altre regioni, ad esempio l’Emilia-Romagna l’hanno fatto per aspetti amministrativi e addirittura autorizzativi.
Questa impostazione corrisponde ad una logica di sviluppo meditata e di ampia visione, in cui i livelli territoriali più vicini alla realtà riescono ad indirizzare l’azione legislativa e le politiche pubbliche in maniera coerente con le necessità dei territori. Al contrario talvolta ci si imbatte in provvedimenti normativi “spot” (come di recente certe previsioni contenute nella proposta di collegato ambientale o nel decreto Semplificazione) introdotte senza avere piena cognizione delle ricadute sulla realtà.
Il SNPA dovrebbe rafforzare il proprio ruolo di supporto alle policy del Governo nazionale e di quelli regionali in campo ambientale. In Veneto, ad esempio, è stato chiesto il contributo dell’ARPA per la formulazione delle proposte relative al Recovery Plan.
In una situazione in cui, insomma, tutti affermano di avere l’ambiente a cuore, di volere investire sull’ambiente, per il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente possono determinarsi le condizioni per superare decenni di ritardi e completare, finalmente, quel percorso di costituzione come realtà concreta e significativa, acquisendo piena dignità alla protezione dell’ambiente in questo Paese. Per questo occorre rinnovato impegno, maggiore decisione, molto coraggio.
Siamo nell’era del post-Covid, in un momento di crisi sanitaria, economica e psicologica come non ne avevamo forse mai conosciuto. Se non ora, quando?
(a cura di Marco Talluri, coordinatore della Redazione di AmbienteInforma, e Federica Savio, Arpa Veneto)