L’anno 2023 è stato il più caldo dal 1961, con una anomalia di 1,24 °C rispetto al clima 1991-2020 e scarti di 0,13 °C e 0,48 °C rispetto ai precedenti due anni più caldi della serie, il 2022 e il 2014. Queste anomalie climatiche sono il risultato del permanere delle temperature al di sopra dei valori climatici per gran parte dell’anno e del verificarsi di molti eventi durante i quali l’indice termico regionale ha superato, a volte anche di diversi gradi, i massimi valori osservati a partire dal 1961. Questo è successo in particolare un paio di volte nei primi mesi dell’anno e ben cinque volte nella seconda metà, quando gli scarti rispetto ai precedenti record termici sono stati anche di 3,9 °C, complici intensi eventi di foehn. Ciò ha fatto sì che l’autunno sia risultato il più caldo della serie storica, con uno scarto di 0,8 °C rispetto a quello del 2022, precedente record. L’anno si è chiuso con il dicembre più caldo dal 1961.
In questo contesto, la primavera ha presentato valori termici confrontabili alla variabilità climatica, se non addirittura inferiori, come nel caso degli eventi di intense gelate tardive osservati tra il 5 e il 7 aprile, quando il valore termico regionale è risultato per un giorno inferiore al minimo registrato dal 1961. Questo evento è stato associato a un intenso calo delle temperature minime che hanno assunto valori nettamente inferiori a 0 °C in vaste aree della pianura per molte ore consecutive e per più giorni; la gelata tardiva ha causato gravi danni alle colture frutticole, con impatti stimati sul 70% della produzione di albicocche e sull’80% per le pere.
Dal punto di vista pluviometrico, con un indice di cumulata regionale pari a 891 mm, il 2023 è stato un anno con precipitazioni totali regionali all’interno della variabilità climatica 1991-2020 (anomalia pari a -2 mm), come mostrato in figura 2, che presenta l’andamento delle precipitazioni medie regionali cumulate dal 1° gennaio per tutto il 2023, in cui i valori a fine anno risultano al centro della fascia di variabilità climatica. Nonostante un valore annuo complessivamente nella norma, la distribuzione delle precipitazioni è stata profondamente irregolare, con un alternarsi di episodi molto intensi e lunghi periodi di scarsità.
I primi quattro mesi dell’anno sono stati caratterizzati da siccità, protrattasi da febbraio 2021 su tutto il bacino padano, con poche, timide e brevissime interruzioni. Queste condizioni hanno provocato gravi impatti sulle portate del Po e sull’ingressione del cuneo salino alla sua foce, sull’agricoltura di tutto il bacino, e, localmente sulla disponibilità di acqua potabile soprattutto nel periodo di massima intensità dell’evento, durante l’estate 2022.
Il periodo di siccità si è bruscamente interrotto in seguito a un evento meteorologico estremo: tra il 1° e il 17 maggio due impulsi pluviometrici di due giorni a distanza ravvicinata hanno scaricato sulla Romagna e sulle aree centrali della regione un quantitativo di precipitazioni tra un quarto e metà del valore atteso per l’intero anno (secondo il clima 1991-2020); i totali di precipitazioni cumulate su 17 giorni hanno raggiunto valori fino a 609,8 mm a Trebbio (Modigliana, bacino del Lamone) e 563,4 mm a Le Taverne (Fontanelice, bacino del Santerno), come si può apprezzare dalla mappa in figura 3.
La commissione incaricata dal Governo per valutare l’eccezionalità di quanto avvenuto ha stimato tempi di ritorno per i singoli eventi tra 100 e 500 anni, a seconda della località considerata, mentre la probabilità che due eventi di tale intensità si verificassero così ravvicinati nel tempo è talmente bassa da risultare in tempi di ritorno superiori a 1000 anni.
Nonostante l’alluvione sia stata ben prevista, se pure con una leggera sottostima rispetto a quanto osservato, l’eccezionale intensità degli eventi ha provocato anche 17 decessi. Gli impatti sul territorio, soprattutto nelle aree della Romagna, sono stati devastanti: allagamenti su più di 540 km2, per quantitativi stimati di acqua in eccesso pari a 350 milioni di m3, 65.598 frane, 78,5% delle quali nuove, per un’estensione totale di territorio di 72 km2, con danni talvolta devastanti a 1.950 strade, senza contare i danni alle case, alle attività produttive e alle infrastrutture. Inoltre, l’alluvione ha causato ingenti danni ai sistemi fognari e di scolo, ostruiti da fango e detriti; la qualità delle acque, stagnanti per giorni, è progressivamente peggiorata risultando nel colore rosso anomalo di alcuni canali, a causa del proliferare di Chromatiaceae, e in una estesa moria di pesci, dovuta ad anossia delle acque. L’ingente quantitativo di acqua dolce carica di sedimenti scaricato nel mare, ne ha ridotto significativamente la salinità degli strati superficiali e costieri e ha portato la frazione di biomassa presente nelle acque a valori pari a 2-3 volte il limite eutrofico.
I danni economici sono stati stimati in eccesso a 8 miliardi e 600 milioni di euro. Le attività di prevenzione sanitaria e il sostegno sanitario e socioassistenziale hanno permesso che il numero di persone in necessità di un intervento sanitario sia stato relativamente basso: solo 193 assistiti nelle strutture sanitarie e 306 in quelle sociosanitarie e socioassistenziali nel territorio di Ravenna, il più colpito. Infine nell’area colpita dall’evento sono state raccolte 10.000 tonnellate di rifiuti, pari ai quantitativi normalmente raccolti in 10 mesi.
Al di là di questo evento, ben visibile anche nell’indice pluviometrico annuo regionale in figura 2, le precipitazioni, nel corso dell’anno, si sono presentate in modo discontinuo, spesso in corrispondenza di eventi intensi, come nel caso degli ultimi quattro giorni di ottobre, quando forti eventi a carattere convettivo hanno colpito principalmente i crinali appenninici centro-occidentali, con massime cumulate su tre giorni di 297,0 mm presso la stazione di Lago Ballano (1.339 m slm, PR) e di 205,8 mm a Lago Paduli (1.151 m slm, MS); le precipitazioni hanno causato significativi innalzamenti dei livelli idrometrici del fiume Enza, del Nure, del Taro e del Parma-Baganza, esondazioni lungo rii e corsi d’acqua minori e numerose frane con danni a carico della viabilità principale e secondaria.
Le precipitazioni che hanno caratterizzato il 2023 sono state spesso a carattere convettivo e, in quanto accompagnate da grandine e raffiche di vento, hanno talvolta causato molti danni. È il caso sia delle grandinate del 19-22 luglio, estese su ampie aree delle pianure dell’Italia settentrionale, con chicchi che in Emilia-Romagna hanno raggiunto dimensioni fino a 5 cm, sia delle intense raffiche di vento, che hanno colpito le aree dell’Appennino centro-orientale tra il 2 e il 5 novembre; durante questo episodio lembi meridionali della tempesta Ciaran, che ha causato gravissimi danni in Gran Bretagna e nell’Europa centro-settentrionale, hanno portato raffiche fino a 154 km/h a Pennabilli (629 m) in Romagna e 148 km/h a Lago Scaffaiolo (1.794 m) il 2 del mese, provocando numerosi schianti di alberi e danni alla viabilità principale e secondaria e a edifici.
Oltre a questi eventi particolarmente rilevanti, il 2023 è stato caratterizzato dal susseguirsi regolare di numerosi altri episodi significativi; ad eccezione di giugno, durante tutti i mesi dell’anno, il territorio regionale è stato interessato da criticità di diversa natura.
Complessivamente il 2023 si distingue quindi per temperature al di sopra della norma e precipitazioni nella media a livello annuo ma con forti anomalie, positive e negative, a livello mensile e stagionale.
Sono disponibili approfondimenti sull’autunno più caldo dal 1961 e sulle temperature record di ottobre, oltre ai rapporti di evento per le precipitazioni di maggio e di ottobre, per le gelate tardive primaverili e altri eventi significativi; infine il numero 5/2023 della rivista Ecoscienza è interamente dedicato all’alluvione di maggio.