Intervista a Stefano Laporta, nuovo presidente dell’Ispra e del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa).
E’ ora ufficiale la sua nomina a presidente di Ispra e del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente. Se dovesse dare tre priorità, quali indicherebbe nella sua mission per i prossimi quattro anni?
Ho ricevuto un mandato dal Parlamento molto preciso, che è quello di attuare ciò che è contenuto nella Legge 132 e su questo orienterò la mia azione. Il futuro sta nell’attuazione di quello che il Parlamento ci chiede con la Legge 132 che, tra gli interventi legislativi del Parlamento, ha avuto un pregio non comune, quello di essere una norma che recepisce l’istanza dei cittadini di avere più tutela ambientale. Ciò significa, per il Sistema nazionale per la protezione ambientale darsi degli obiettivi e rafforzare la propria identità di Sistema, incrementando la consapevolezza di far parte di una “rete” e di lavorare quindi in una logica di squadra; per Ispra, superare delle contraddizioni interne, darci un’organizzazione che, andando oltre alcune logiche obsolete, guardi al futuro.
Tra le priorità che cercherò di portare avanti, sicuramente il raggiungimento di alcuni obiettivi specifici del Sistema nazionale per la protezione ambientale, primo fra tutti i Lepta. Vorrei inoltre potenziare l’identità di Sistema: Ispra e Agenzie regionale contano quasi 11 mila persone, è dunque necessario che tutte queste componenti si sentano parte di un Sistema.
Per Ispra si tratta di dare una mission chiara all’Istituto, che non rinneghi quanto fatto in passato, che sappia portare tutti gli elementi e tutte le conoscenze acquisite a fattor comune, in base a ciò che ci chiede il Paese.
Quali saranno gli elementi di continuità e di discontinuità della sua presidenza rispetto alla precedente?
Essendo stato direttore generale per 6 anni e mezzo, gli elementi di continuità si inquadrano nel profilo di una gestione amministrativa rigorosa e corretta , come abbiamo sempre cercato di fare in questi anni. In un contesto nazionale di difficoltà economica, se l’Istituto per così dire ‘ha retto’ è stato perché noi come amministrazione, insieme alle forze sociali, ci siamo rimboccati le maniche nel trovare soluzioni che facessero fronte alla spending review. Abbiamo fatto un grande investimento, basato sulla riduzione delle spese, su una gestione ordinaria virtuosa e anche, permettetemi di dire, su un investimento di personale. Non dimentichiamo che, al di là di tutto, in sei anni abbiamo assunto oltre 450 persone a tempo indeterminato, abbiamo garantito maggior solidità e continuità alle attività, dando una prospettiva futura in termini di attività e di risorse umane.
Più che di discontinuità, parlerei di una fase nella quale c’è necessità di attuare le leggi entrate in vigore nell’ultimo periodo del precedente mandato: la Legge 132 in primis, la 218/2016 sul riordino degli enti di ricerca, la 68/2015 sugli ecoreati. C’è un contesto normativo che è cambiato, su cui bisogna in qualche modo ricalibrare le priorità dell’Istituto, come anche il Parlamento mi ha richiesto, e su questo intendo lavorare, insieme al Consiglio di amministrazione e al Consiglio scientifico.
Se dovesse indicare il miglior traguardo raggiunto in questi anni e la principale sfida ancora da centrare, cosa indicherebbe?
Ci sono tre cose di cui credo tutti noi dovremmo andare fieri.
Innanzitutto aver creato una sufficiente identità di appartenenza all’Ispra. Questo è passato anche attraverso momenti di tensione, ma non dimentico che, quando sono arrivato, c’erano tre enti che si erano unificati e decine di posizioni di contenziosi pendenti. C’era inoltre una difficoltà iniziale oggettiva di riconoscersi l’un altro, tra ex-Apat, ex-Infs, ex-Icram. Questo credo oggi sia stato superato.
Secondo, la riorganizzazione. Da diverse sedi presenti sul territorio della città di Roma, oggi abbiamo principalmente due poli: uno di tipo tecnico-scientifico- amministrativo di via Brancati, un altro a Castel Romano per i laboratori, che siamo riusciti a realizzare pur nelle difficoltà economiche. Il polo di Castel Romano è oggi riconosciuto all’avanguardia in Europa e nel mondo. Lo testimonia il fatto che delegazioni estere in visita in Italia per vario motivo chiedono di vedere i nostri laboratori e ci domandano di presentare il nostro modello nei loro Paesi. Siamo stati, ad esempio, in Iran e in Cina per portare la nostra esperienza.
Abbiamo dato anche una certa solidità all’Istituto. Ho trovato all’inizio del mio mandato da direttore generale una situazione di lavoratori atipici che superava il 40%. Oggi la percentuale di lavoratori “flessibili” (preferisco definirli così) è intorno al 5-6%, cifra che credo, per gli enti di ricerca, sia da considerarsi fisiologica: la persona apporta al’’Istituto la propria esperienza, ne esce arricchita e si prepara ad affrontare nuove esperienze lavorative.
Le cose su cui da Direttore mi sarebbe piaciuto intervenire posso riassumerle in un concetto: un miglior rapporto tra componente tecnico-scientifica e componente amministrativa. Nonostante gli sforzi che abbiamo fatto, vedo ancora alcune farraginosità, che poi si riverberano sull’attività quotidiana dei colleghi e che evidentemente necessitavano di maggiore e migliore attenzione.
Infine, c’è il tema del nostro rapporto con il Ministero, che mi auguro di rendere più fluido, che non significa essere dipendenti da, ma pòrci in un’ottica collaborativa. Mi aspetto naturalmente che il Ministero, dal canto suo, riconosca nell’Ispra non una succursale, ma un ente tecnico-scientifico che può costituire un valido “braccio destro”, tanto più laddove se ne riconoscono fino in fondo autonomia, indipendenza, terzietà e autorevolezza tecnico-scientifica.
Dal suo speciale osservatorio locale e nazionale come presidente di Snpa, come vede la situazione dell’ambiente in Italia?
Credo che siano stati compiuti dei significativi passi avanti rispetto al tema della tutela ambientale e che negli ultimi anni sia aumentata la sensibilità dei cittadini. Questo ci dà forti speranze per il futuro. Ma l’ambiente è ancora troppo minacciato, troppo fragile: dobbiamo lavorare per aumentare la consapevolezza che l’ambiente è un valore importante e al tempo stesso fragile. Basta un incendio – e ne abbiamo visti tanti in questi giorni – per buttare anni e anni di lavoro, di ripascimento, di rimboschimento, ripopolamento, per privarci di quel capitale naturale che costituisce la vera ricchezza del Paese e che ha uno straordinario valore di biodiversità. In Italia abbiamo la fortuna di possedere tutti gli elementi naturali: mare, montagne, colline, che vanno però tutelati e valorizzati come beni di importanza assoluta, non solo per migliorare e garantire alle prossime generazioni una qualità di vita migliore, ma per poterla garantire a noi che ci viviamo adesso. Questa è un’altra grande sfida per l’Istituto.
Un messaggio al Sistema?
C’è una parola che sintetizza bene il lavoro da fare ed è “insieme”. Lavorare nel quadro di una visione inclusiva di Sistema, che comprende le Agenzie, i livelli istituzionali e non da ultimi anche i cittadini. Lavorare e pensare insieme, capire che c’è sempre un altro, non avvilupparsi in una logica autosufficiente, ma che stiamo lavorando in una dimensione comune. Questo è il target della nostra attività.
(foto di Brunella Urbani, Ispra)
Capisco che andare sullo specifico, in queste occasioni è difficile, però un riferimento alla fauna non è stato fatto. Ricordo che grazie alla collaborazione dei volontari delle associazioni ambientaliste in generale, si ha una gestione del vasto territorio del nostro bel paese, anche con le tante zone di protezione della fauna selvatica, che chiaramente non vadano a disturbare gli allevamenti zootecnici allo stato brado, molto efficiente. Molto importante è il controllo e la vigilanza del territorio protetto e non, con l’apporto delle comunità scientifiche molto importanti come sentore della situazione ambientale anche sotto il profilo faunistico.