Promuovere l’uso sostenibile ed efficiente del suolo in Italia ed Europa. Questo l’obiettivo di SOIL4LIFE, un progetto europeo che vede associazioni ed enti di ricerca uniti dalla consapevolezza che il suolo vada preservato con azioni e politiche più concrete, supportate da analisi e studi capaci di predisporre le informazioni necessarie agli interventi, anche normativi, ormai indispensabili per fermare il consumo di questa fondamentale, ma gravemente minacciata, risorsa naturale.
Alla vigilia della Giornata mondiale del suolo, Ispra, Legambiente, CIA Agricoltori Italiani, CCIVS, Crea, ERSAF, Politecnico di Milano, Comune di Roma e Zelena Istria, hanno lanciato a Roma il progetto europeo SOIL4LIFE, che coinvolge partner di Italia, Francia e Croazia, con l’obiettivo di promuovere l’uso sostenibile ed efficiente del suolo e delle sue risorse in Italia e in Europa. Cofinanziato dalla Commissione Europea con il programma Life, vede coinvolte associazioni ed enti di ricerca uniti dalla convinzione comune che il suolo vada preservato con azioni e politiche più concrete, supportate da analisi e studi capaci di predisporre le informazioni necessarie agli interventi, anche normativi, ormai indispensabili per fermare il consumo e il degrado di questa fondamentale risorsa naturale non rinnovabile.
Aderendo agli obiettivi globali di sostenibilità (SDG), l’Italia e l’Europa si sono impegnate al tavolo delle Nazioni Unite affinché, entro il 2030, ‘si aumentino gli sforzi atti a conseguire, a livello globale, l’arresto dei processi di degrado del suolo’, concetto che traduce la formula ‘by 2030, a land degradation neutral World’. Per questo, nel cuore del progetto Soil4Life, c’è l’implementazione nazionale e la comunicazione delle linee guida per la gestione sostenibile dei suoli, sviluppate ai tavoli della FAO come riferimento per le Nazioni nello sviluppo delle loro politiche agricole e territoriali
SOIL4LIFE parte dalla consapevolezza dell’importanza del suolo nella lotta e nell’adattamento ai cambiamenti climatici, che sono anche una minaccia seria per la sicurezza alimentare, per arrivare alla promozione di alcune scelte indispensabili per invertire la direzione nel rapporto uomo- terra. Bastano pochi numeri per comprendere come quello del suolo sia tutt’altro che un ruolo secondario: nei suoli del pianeta sono stoccati 1550 miliardi di tonnellate di carbonio, una quantità pari a ben 6 volte l’aumento della CO2 atmosferica dall’epoca preindustriale ad oggi: questo significa che uno squilibrio a livello globale della biochimica del suolo è in grado di moltiplicare gli effetti del cambiamento climatico per come li abbiamo conosciuti fino ad ora. Ma anche che, al contrario, una buona gestione di coltivazioni, pascoli e foreste può dare un formidabile contributo allo sforzo globale di riduzione delle emissioni climalteranti, permettendo di sottrarre all’atmosfera enormi quantità di carbonio. Per l’Italia, ciò si traduce nell’affrontare due grandi emergenze: mettere un freno al consumo indiscriminato di suolo e sviluppare una efficace politica di orientamento rivolta al settore agricolo.
Se è vero che le nuove tecnologie negli ultimi decenni hanno consentito di aumentare la produzione alimentare, è anche vero che ciò è avvenuto spesso a danno del terreno e dell’ambiente. Secondo la Fao, il 33% del suolo mondiale oggi è altamente degradato. Le moderne coltivazioni intensive hanno impoverito il suolo, pregiudicando la possibilità di mantenere in futuro la stessa capacità produttiva. Un approccio sostenibile è possibile, per esempio, se si coltiva biologico, se si aumenta la quantità di materia organica senza fare ricorso a prodotti chimici; così come se si seguono i principi base dell’agricoltura conservativa, ossia minimo danneggiamento del suolo, copertura vegetale permanente del terreno e rotazione delle colture. O, ancora, se si ricorre all’agroforestazione, che integra gli alberi nei sistemi di produzione animale e vegetale. La Fao ha stimato che una gestione sostenibile dei suoli potrebbe aumentare la produzione di cibo fino al 58%.
Per queste ragioni, i promotori del progetto hanno rivolto un appello ai ministri dell’agricoltura Centinaio e dell’Ambiente Costa affinché si impegnino in una stagione di rinnovamento dell’agricoltura italiana, investendo i fondi destinati al nostro Paese dalla nuova PAC in iniziative centrate sul recupero di fertilità dei suoli mediterranei, anche in chiave di politiche di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, oltre che di produzione di materie prime. La riforma della PAC decentrerà ai Paesi membri il livello di decisione sulle risorse europee per l’agricoltura, e dunque all’Italia è offerta l’opportunità di sviluppare un programma agricolo strategico che faccia propri gli impegni climatici, usando la leva economica per introdurre ed estendere le buone pratiche che consentono, fra l’altro, di conservare e aumentare la sostanza organica nel suolo.
Sul fronte della riduzione del suolo libero, siamo di fronte a un fenomeno che purtroppo non accenna ad arrestarsi e che porta con se conseguenze spesso irreparabili. Lo confermano gli ultimi dati di ISPRA, che attestano il consumo di suolo nel 2017 su una media di 15 ettari al giorno, ovvero 54 km quadrati all’anno. Una trasformazione di poco meno di 2 metri quadrati di suolo che, nell’ultimo periodo, sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Dagli anni ’50 al 2017 la copertura artificiale del suolo è passata dal 2,7% al 7,65% (+180%), intaccando ormai 23.063 chilometri quadrati del nostro territorio.
Secondo i dati di ISPRA nel 2017 il suolo del Lazio risultava per 144.583 ettari (l’8,4% del totale), mentre in Lombardia il consumo arrivava a 310.156 ettari (il 13% del totale). Il confronto tra le due regioni in sé direbbe poco, in quanto si tratta di realtà che sviluppano contesti territoriali profondamene diversi. Interessante è invece osservare come siano avvenuti gli incrementi del consumo di suolo più recenti, quelli misurati tra il 2016 e il 2017, in rapporto ai bilanci demografici. I valori di incremento, espressi in rapporto alla popolazione, si traducono in un aumento di suolo impermeabilizzato pari a 0,53 mq/ab in Lazio e a 0,60 mq/ab in Lombardia. Valori non molto differenti, se non per un dettaglio: la Lombardia nel 2017 ha avuto una crescita di consumo di suolo in presenza di un aumento di abitanti (+17.092), mentre in Lazio si è consumato suolo a fronte di una popolazione in lieve calo (-1431 abitanti). In altre parole, è come se in Lombardia fosse sorta dai campi una nuova cittadina di 17.000 abitanti, mentre nel Lazio ne fosse sorta un’altra, ma fatta solo di case, senza abitanti.
Stringendo il campo alle rispettive città metropolitane, quella di Roma ha visto crescere il consumo di suolo lo scorso anno di 102 ettari, quella di Milano ha avuto un aumento di 121 ettari. Nel confronto pro capite, questi dati si traducono in una crescita di 0,23 mq/abitante di consumo di suolo nella città metropolitana di Roma, e di 0,37 mq/ab in quella di Milano: una differenza importante, ma che sarebbe in parte spiegabile con gli andamenti demografici: nella metropoli romana la popolazione ha avuto un lieve incremento (+1987 abitanti), mentre in quella milanese l’aumento è stato di 16.457 abitanti
Se si considera per entrambe l’aumento di consumo di suolo, nel solo territorio comunale, Roma ha consumato 36 ettari (incremento procapite pari a 0,13 mq/ab), mentre Milano ne ha consumati 19 ettari (+0,14 mq/ab). Ancora però si perde il senso di queste crescite di superfici urbanizzate, se ci si confronta con gli andamenti demografici: a Milano la popolazione è da anni in crescita, +14.618 abitanti nell’ultimo anno, mentre a Roma è stazionaria (nell’ultimo anno -694 abitanti). A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che la crescita di consumo di suolo è ormai slegata dalla crescita di fabbisogni abitativi, risalta per entrambe le regioni il dato del restante territorio: al di fuori della città metropolitana, laddove gli indicatori demografici sono di stagnazione demografica, se non di regresso. Nonostante ciò, gran parte del nuovo suolo consumato si è sviluppato proprio in questi territori, ed in particolare nelle province più periferiche.
Peraltro, il comune di Roma ha consumato molto di più nel corso degli anni, ma in rapporto a un territorio (amministrativo) ben più grande di quello di Milano, che ha costruito un po’ meno ma in un territorio più ristretto e quindi densamente urbanizzato. Per quanto riguarda il 2017, in entrambe le città si è continuato a costruire, in modo particolare nei comuni dell’hinterland, in modo più significativo in quelli del capoluogo lombardo, e anche in questo caso irrompe il paradosso: si è costruito molto di più in una vasta cintura urbana in cui, al contrario del capoluogo, la popolazione non è cresciuta quasi per nulla.
I dati nel confronto tra Roma e Milano confermano un trend che procede da anni: non si consuma suolo per soddisfare nuovi bisogni abitativi ma, al contrario, si cementifica molto più territorio proprio laddove la popolazione ristagna o decresce, nei comuni di cintura metropolitana e, ancor più, nelle province più periferiche. Al contrario, realtà come quella di Milano riescono ad avere una vivace crescita demografica senza per questo sacrificare nuovi territori: un elemento in più per affermare che consumare suolo il più delle volte non serve a innescare autentico sviluppo.
“Occuparsi di salvaguardia del suolo può sembrare molto accademico. In realtà, si tratta di un’attività meno astratta di quanto si pensi – ha spiegato il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani – considerando che la perdita di suolo è sotto gli occhi di tutti e che i fenomeni estremi che lo coinvolgono, come il dissesto idrogeologico e l’estrema aridità, lasciano ogni anno segni sempre più tangibili sulla pelle del nostro Paese. Con questo progetto intendiamo promuovere la conoscenza e le pratiche che garantiscono una maggiore tutela di questa risorsa naturale tra gli “addetti ai lavori”, tra chi ha un rapporto quotidiano con il suolo, ossia agricoltori e allevatori, ma anche professionisti, come architetti, ingegneri, agronomi e geometri, e personale delle amministrazioni regionali. Perché gli studi si trasformino in attività e le attività in risultati. Perché chi coltiva, chi fa pianificazione urbanistica e chi stabilisce le regole lo faccia seguendo criteri che ne garantiscano la massima protezione possibile”.
“Le conseguenze del consumo di suolo sono sempre più evidenti ed è urgente intervenire – ha dichiarato il Presidente dell’ISPRA Stefano Laporta – E lo è in particolare nel nostro Paese, dove i livelli di suolo consumato, sia pur procedendo ad una velocità più lenta nel corso degli ultimi anni, sia pur in presenza di un territorio particolarmente fragile, sono quasi il doppio della media europea.