Diminuiscono con un velocità otto volte più grande rispetto a mammiferi, uccelli e rettili. Parliamo del “declino” degli insetti impollinatori, stimato intorno al 40-50% dall’IPBES, l’Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU (l’Ipcc della bioversità, per interderci). Un moria che porta con sè effetti importanti per la conservazione della biodiversità e l’alimentazione dell’uomo. Degli insetti impollinatori ha bisogno il 90% delle piante selvatiche da fiore per riprodursi e oltre il 75% delle principali colture agrarie. Un allarme lanciato da diversi organismi europei in questi anni, che ha bisogno di soluzioni immediate per evitare che entri in crisi il funzionamento degli ecosistemi.
Per offrire un quadro generale del problema e rispondere agli interrogativi che vengono spesso rivolti agli specialisti del settore, Ispra ha pubblicato nella collana “Quaderni” un nuovo documento dal titolo “Il declino delle api e degli altri impollinatori. Le risposte alle domande più frequenti”. Il testo presenta una sintesi efficace di un fenomeno preoccupante: qual’è il tasso di moria delle api negli alveari, quali sono le cause del declino degli impollinatori e quali i rimedi per fermare il trend. Ispra ha organizzato una tavola rotonda per discutere del fenomeno e delle possibili soluzioni.
Il fenomeno preoccupa i biologi e il mondo produttivo. A pagare le conseguenze economiche della moria, infatti, sono gli apicoltori. Un settore che conta 600 mila addetti in tutta Europa, compreso il Regno Unito, e che produce ogni anno 250 mila tonnellate di miele. A questi numeri vanno aggiunti quelli della produzione agricola mondiale direttamente associata all’impollinazione, per un valore economico stimato tra 235 e 577 miliardi di dollari.