Ottimizzare il monitoraggio dei fitofarmaci nelle acque
Alessandro Franchi – Gruppo di lavoro Snpa per il tema prodotti fitosanitari
La Linea guida rappresenta lo strumento ideale per ottimizzare il proprio lavoro in termini di efficacia ed efficienza e raggiungere un sufficiente grado di affidabilità nella valutazione della qualità chimica ed ecologica delle acque. In Italia c’è bisogno di questo miglioramento il prima possibile, perché le differenze fra regioni sono evidenti e in alcuni casi macroscopiche.
Ci sono ancora diverse regioni italiane che adottano profili di monitoraggio inadeguati per numero e tipo di sostanze attive ricercate. Ciò oltre a fornire risultati del monitoraggio fuorvianti e sottostimati circa il grado di contaminazione, è causa di una classificazione incompleta e non omogenea della qualità delle acque sul territorio nazionale.
Confrontando la lista delle sostanze attive da ricercare di ogni regione, ricavata applicando la linea guida, con quelle effettivamente ricercate da ogni agenzia ambientale, si ottiene il grado di efficacia del monitoraggio dei pesticidi come riportato in figura 1 relativamente alle acque superficiali nel triennio 2014-16 (gli ultimi dati disponibili).
Le regioni italiane si distribuiscono equamente al di sopra e al disotto del valore medio. Dieci regioni hanno una efficacia superiore a 0,5. Tre regioni hanno una efficacia superiore a 0,7: Sicilia, Bolzano e Valle d’Aosta. Tre regioni hanno una efficace inferiore a 0,3: Basilicata, Molise, Puglia.
La tipologia delle sostanze ricercate si differenzia notevolmente da regione a regione. In alcune regioni (Liguria, Marche, Puglia e Sardegna) la lista delle sostanze attive ricercate è composta quasi esclusivamente (> 90%) da quelle esplicitamente indicate nelle tabelle 1/A e 1/B del Dlgs 152/2006. In alcune regioni le sostanze attive cosiddette “esuberanti” (cioè quelle ricercate oltre ogni ragionevole motivo) rappresentano oltre il 30% delle sostanze ricercate (Basilicata, Bolzano, Trento, Umbria e Valle d’Aosta). Questo influisce anche sull’efficienza del monitoraggio e porta ai risultati riportati nel grafico della figura riferita alle acque superficiali che misura il rapporto T/R (sostanze trovate/sostanze ricercate).
Sulle “sostanze di legge” delle tabelle 1/A e 1/B del Dlgs 152/2006 occorre un chiarimento. Nella maggior parte dei casi si tratta di sostanze attive non più autorizzate all’impiego nel nostro paese, alcune addirittura da 40 anni come il DDT, i ciclodieni policlorurati, l’esaclorobenzene. Salvo alcune situazioni locali, non si hanno in generale residui misurabili di queste sostanze nelle acque.
Si sente dire che cercare le sostanze indicate nelle tabelle sia necessario e sufficiente a garantire l’osservanza alla norma e quindi a garantire il corretto svolgimento del monitoraggio. Questa affermazione non trova una giustificazione giuridica. Non è sufficiente perchè la normativa obbliga la ricerca di altre sostanze (riconducibili ai pesticidi) qualora siano scaricate, rilasciate o già rilevate in modo significativo bel bacino idrografico. Non è neanche necessario cercare ostinatamente nelle acque per anni e anni certe sostanze ai sensi di una normativa, che prevede di effettuare e aggiornare l’analisi delle pressioni e degli impatti per motivarne il loro monitoraggio. Se un prodotto non viene più utilizzato, quindi non è più introdotto nell’ambiente, e non viene riscontrato nell’ambiente indagato per un periodo di tre/sei anni, tanto cioè quanto sono lunghi i cicli di monitoraggio, non c’è ragione di continuare a monitorarlo.
Diverso è il discorso per le sostanze attive fra quelle presenti esplicitamente nelle tabelle 1/A e 1/B ancora autorizzate all’impiego. In questo caso il monitoraggio è opportuno anche in assenza di riscontri positivi nelle acque nei punti di prelievo interessati da pressioni di origine agricola significative. Appartengono a questa categoria di prodotti le sostanze riportate in tabella.