Negli ultimi anni gli studi riguardanti le specie non indigene, note anche come aliene o alloctone, si sono moltiplicati e l’interesse della comunità scientifica è in crescita esponenziale, sebbene la problematica sia nota da decenni. Ma esattamente di cosa si tratta? [Vedi anche gli altri articoli sulle specie aliene pubblicati su AmbienteInforma]
Per “Specie non indigene” (Non Indigenous Species o NIS) si intendono le specie provenienti da un areale geografico noto che, accidentalmente o volontariamente, vengono introdotte in un ambiente al di fuori della loro naturale area di distribuzione. La IUCN (International Union for Conservation of Nature) le definisce come specie che “si stabilizzano in ecosistemi o habitat naturali o semi-naturali, sono agenti di cambiamento e minacciano la diversità biologica“. Se le condizioni sono a loro favorevoli, queste specie possono entrare in competizione con i taxa indigeni (o autoctoni), diventando pericolosamente invasive a tal punto da diventare una minaccia per la biodiversità.
La presenza e l’eventuale introduzione di nuove NIS può essere più pericolosa nel Mediterraneo che in altri bacini in virtù del fatto che il Mare Nostrum, nonostante costituisca meno dell’1% dell’estensione totale delle acque marine del nostro pianeta, ospita circa il 7,5% delle specie animali mondiali (circa 17.000, una ricchezza specifica 10 volte superiore alla media).
Si stima che nel Mediterraneo ci siano almeno 837 specie non indigene (il 5% della biodiversità totale, 20% per i pesci), molte delle quali ormai presenti con popolazioni stabili e in crescita. Mediamente viene segnalata una nuova specie non indigena ogni 9 giorni, ma è quasi impossibile fornire un numero esatto delle NIS che attualmente stanno trovando un ambiente favorevole lungo le nostre coste. Inoltre, data la particolare morfologia del Mediterraneo e in virtù dei collegamenti con i bacini adiacenti, l’incremento è stato nettamente superiore rispetto ad altri bacini come il Mar Nero, il Mar Baltico o l’Oceano Atlantico.
Questa invasione porta l’involontaria firma dell’essere umano: ad eccezione di alcune specie che stanno naturalmente ampliando il loro areale, la stragrande maggioranza delle specie non indigene entra nel Mediterraneo come fouling sullo scafo delle imbarcazioni o sfruttando passivamente l’acqua di zavorra delle grosse navi cargo. Qualche cifra può rendere più chiara la portata del fenomeno: ogni anno oltre 100.000 imbarcazioni attraversano lo Stretto di Gibilterra, mentre circa 18.000 passano dal Canale di Suez e ognuna di loro è un potenziale vettore di NIS. Ulteriore apporto di specie non indigene arriva dagli impianti di acquacoltura: i casi di Magallana gigas e Ruditapes philippinarum, specie ormai comunissime lungo le nostre coste, sono emblematici e particolarmente esplicativi di come ciò che per molti di noi rappresenta essenzialmente del buon cibo possa diventare una pericolosa minaccia per la biodiversità. A questi impatti direttamente causati dall’uomo, bisogna sommare il riscaldamento delle acque del Mediterraneo, che di fatto catalizza i processi di diffusione e acclimatamento di specie provenienti da latitudini inferiori.
Parallelamente alla stesura delle liste di NIS nel Mediterraneo, è necessario tener conto anche delle specie criptogeniche, cioè quei taxa che non possono essere agevolmente classificati come nativi o non nativi di una data regione, lasciando dubbi sulla loro origine geografica. In condizioni a loro favorevoli, anche le specie criptogeniche possono dimostrarsi particolarmente invasive.
Per cercare di arginare questa temibile avanzata e tentare di proteggere la nostra preziosa biodiversità, il 17 giugno 2008 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno emanato la Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino, successivamente recepita in Italia con il d.lgs. n. 190 del 13 Ottobre 2010. La Strategia Marina, messa a regime in Italia nel 2015, si propone di indagare le varie pressioni a cui sono sottoposti i mari che bagnano le coste europee, passando dagli inquinanti chimici alla pressione dell’attività di pesca e dell’acquacoltura. Il secondo degli 11 descrittori menzionati nella direttiva europea riguarda proprio le specie non indigene, indagate sia per il loro impatto che per la loro abbondanza. Le aree prese in considerazione per la valutazione delle NIS sono ambienti sottoposti a marcato impatto antropico e facilmente raggiungibili da specie provenienti da differenti areali: aree portuali, aree di scambio di acqua di zavorra e aree ad alta intensità di allevamento.
In questo contesto, ARPA Lazio ha focalizzato le sue attività di monitoraggio delle NIS sul Porto di Civitavecchia, tra i più importanti d’Italia sia per flusso di merci che per transito di turisti. Al fine di rilevare l’effettivo apporto di specie non indigene ai preesistenti popolamenti, sono state indagate le comunità bentoniche, fitoplanctoniche e zooplanctoniche. I prelievi di benthos, a cadenza semestrale, effettuati in quest’area nel triennio 2015-2017 sono stati effettuati sia su substrato duro che su substrato mobile e hanno permesso di rilevare un cospicuo numero di specie non indigene: sono state identificate 10 NIS totali, per un totale di 519 individui. Quasi tutte le specie sono state campionate su substrato duro e solo 1 di queste è stata trovata su substrato mobile. I taxa meglio rappresentati sono i Crostacei (5 specie), seguiti dai Policheti (4) e dai Bivalvi (1).
Considerevole è anche l’apporto di specie criptogeniche, soprattutto in termini di abbondanza: ne sono state rilevate 4 (3 Crostacei e 1 Briozoo), di cui 3 non presenti in lista, per un totale di 1615 individui. In quest’area, è stata inoltre recentemente segnalata per la prima volta lungo le coste italiana la specie Jassa slatteryi, un Anfipode considerato criptogenico e particolarmente invasivo.
In Tabella I è riportato l’elenco delle specie non indigene e criptogeniche rilevate nell’area in esame, con aggiunta della letteratura di riferimento per i taxa non presenti in lista.
Tab I. Lista delle specie non indigene e criptogeniche campionate.
Aliena/Criptogenica | Phylum | Classe | Specie | N. individui | Substrato |
Aliena | Annelida | Polychaeta | Hydroides dianthus | 3 | Duro |
Aliena | Annelida | Polychaeta | Hydroides dirampha | 19 | Duro |
Aliena | Annelida | Polychaeta | Hydroides elegans | 1 | Duro |
Aliena | Annelida | Polychaeta | Leiochrides australis | 1 | Mobile |
Criptogenica | Arthropoda | Malacostraca | Jassa slatteryi | 37 | Duro |
Aliena | Arthropoda | Malacostraca | Caprella scaura | 224 | Duro |
Aliena | Arthropoda | Malacostraca | Paracerceis sculpta | 24 | Duro |
Aliena | Arthropoda | Malacostraca |
| 46 | Duro |
Aliena | Arthropoda | Malacostraca |
| 46 | Duro |
Aliena | Mollusca | Bivalvia | Magallana gigas | 40 | Duro |
Criptogenica | Bryozoa | Gymnolaemata |
| 46 | Duro |
Criptogenica | Arthropoda | Hexanauplia |
| 1 | Duro |
Aliena | Arthropoda | Hexanauplia |
| 115 | Duro |
Criptogenica | Arthropoda | Malacostraca | Monocorophium sextonae | 1531 |
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Tra le specie non indigene che hanno mostrato la maggior abbondanza, si segnala l’Anfipode Caprella scaura. Questa specie è considerata nativa dell’Oceano Indiano ed è in netta espansione in Mar Mediterraneo, dove è stata segnalata per la prima volta nel 1994. Nei campionamenti effettuati nel Porto di Civitavecchia, questa specie è rappresentata da popolazioni molto abbondanti, tanto è vero che quasi la metà degli individui totali appartenenti alle diverse NIS sono stati individuati nel sito in esame. L’enorme capacità adattativa di questa specie, unita alla sua invasività, hanno fatto sì che venisse inclusa anche nei database NAS (Nonindigenous Aquatic Species) (http://nas.er.usgs.gov/) della United States Geological Survey.
Sebbene le NIS in Mediterraneo, nella maggior parte dei casi, siano di piccole dimensioni, rappresentano un problema da non sottovalutare perché costituiscono una vera minaccia per la biodiversità dei nostri mari; continuare a monitorarle per cercare di trovare soluzioni che possano arginare la loro espansione è, ad oggi, l’unica via percorribile.
A cura di Andrea Bonifazi – ARPA Lazio