Sulla rivista Micron
Sono arrivate da altri Paesi o da altri continenti, importate per caso, trasportate nelle acque di zavorra o attaccate alla chiglia di una nave, nella stiva di un aereo o in una valigia. O ancora per vie legali – e illegali – per essere allevate o per diventare animali da compagnia. Sono le specie aliene, o alloctone, e molte di queste sono diventate un grosso problema. In molti casi, infatti, sono fuggite o sono state liberate in natura dai proprietari. Qui, senza i loro predatori naturali, hanno finito con l’ambientarsi, sono riuscite a sopravvivere e a riprodursi diventando specie aliene invasive. Certo, è difficile che una specie introdotta divenga una specie aliena invasiva, ma succede. E neanche troppo raramente: una su cento fa questo salto.
Tra queste ci sono certamente anche “pet” di ogni genere, come serpenti e lucertole che, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Applied Ecology e firmato da un team di ricercatori della Rutgers University, sono gli animali che vengono rilasciati in natura più spesso. E, quindi, anche quelli che hanno più probabilità di diventare specie aliene invasive. Secondo gli scienziati, infatti, il commercio di specie esotiche è uno dei principali fattori che alimenta il problema. Così hanno stilato una lista di 1.722 specie di rettili e anfibi, tutte esotiche e finite in commercio negli Stati Uniti dal 1999 al 2016. Poi hanno confrontato questa lista con un’altra ricavata da una precedente ricerca, basata sul progetto di citizen science EDDMapS, che ha raccolto i dati degli avvistamenti di specie non autoctone negli Stati Uniti.
Com’era prevedibile, i ricercatori hanno avuto la conferma che gli animali domestici più popolari sono anche quelli che vengono rilasciati in natura con più probabilità. In particolare, quelli importati in grandi quantità, venduti a poco prezzo quando sono giovani e di piccola taglia e che poi da adulti diventano molto più grandi, hanno una probabilità di essere rilasciati in natura tre volte superiore rispetto alle specie, sì grandi, ma importate e vendute in quantità minori.È stato infatti il crescente commercio di animali esotici ad aver spianato la strada alle “invasioni”. È la via principale con cui rettili e anfibi approdano in terre non native, il primo passo per diventare invasori ecologicamente dannosi. Il secondo passo resta, ovviamente, il rilascio in natura. È successo per esempio con le iguane comuni (Iguana iguana), originarie del Centro e Sud America. Vendute giovani e piccole per pochi soldi hanno avuto un grande successo come animali domestici: nel 1995 ne sono state importate 800.000 negli Stati Uniti. Erano diventate di moda. Ma molte di queste, una volta cresciute – arrivano a 2 metri – sono state liberate in Texas, Florida, Hawaii e nelle Isole Vergini americane, diventando una specie aliena invasiva.
«Spesso chi acquista questo genere di “pet” può sottovalutare lo spazio e i costi necessari per ospitare in casa propria animali di questo tipo. Passato qualche anno, si ritrova con animali adulti, molto più grossi, senza sapere più dove metterli» spiega Oliver Stringham, primo autore dello studio e dottorando alla Rutgers. È il caso dell’iguana citata prima, ma anche di alcuni serpenti e anfibi molto diffusi come animali da compagnia. «Per esempio i Boa constrictor (originari del Messico e Sud America, ndr.) arrivano a quattro metri di lunghezza, e i pitoni reticolati (Malayopython reticulatus, originari del Sud-Est asiatico) raggiungono tranquillamente i cinque metri. Le rane artigliate africane (Xenopus laevis) e le tartarughe russe di Horsfield (Testudo horsfieldii), invece, possono vivere fino a trent’anni». Così capita spesso che qualcuno, a un certo punto, cerchi di disfarsene semplicemente liberando il suo “pet” in natura, magari pensando di “restituirgli la libertà” in una visione molto romantica (e romanzata) della natura.
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