Quarantacinque giorni fa era arrivata a notte fonda, nel silenzio di una spiaggia fino a solo poche ore prima brulicante del caos vacanziero di fine luglio. E lentamente avrà iniziato a muovere la sabbia, a scavare con fatica ma senza sosta, nell’urgenza di portare a termine quel compito che soltanto appena prima dell’alba l’avrebbe vista riprendere la via di casa.
Luciana, questo il nome attribuitole, è una tartaruga marina della specie Caretta caretta di circa 20-25 anni, con un carapace attorno ai 90 centimetri, come ce ne sono tante in Adriatico.
Ma qualcosa la rende in qualche modo speciale. In una estate che ha visto spesso episodi simili diventare protagonisti di articoli e servizi sui media locali e nazionali, come i moltissimi sulla costa tirrenica ed in particolare in Toscana, quel 30 luglio 2019 Luciana ha deciso di deporre le sue uova sulla spiaggia di Baia Flaminia a Pesaro, stabilendo così il record del nido più a nord sinora conosciuto in Italia. Sorvegliato 24 ore su 24, si aspetta la schiusa prevista per la seconda metà di settembre.
È stato l’avvistamento casuale della tartaruga intenta a tornare in mare, alle prime luci dell’alba, a sancire l’eccezionale scoperta, quando Andrea, operatore al servizio della ditta che a Pesaro si occupa della manutenzione e pulizia dell’arenile, sorpreso ed emozionato non ha comunque esitatoad informare la Capitaneria di Porto, subito intervenuta per i primi rilievi.
Da quel fortunato momento tutta la gestione del nido è stata affidata alle cure della Fondazione Cetacea di Riccione, associazione senza scopo di lucro nata nel 1988 ed oggi parte del Centro di Educazione alla Sostenibilità “Polo Adriatico”, attiva nelle reti regionali per la conservazione e la tutela delle tartarughe marine di Emilia-Romagna e Marche e Centro di Recupero Animali Selvatici Marini (CRASM) della Provincia di Rimini.
Sauro Pari, Presidente della Fondazione, ci spiega che la presenza della Caretta caretta nell’alto Adriatico è molto più diffusa di quanto generalmente noto: le cifre stimate parlano di circa 45.000 esemplari, che rendono questa parte del Mediterraneo una delle zone a più alta concentrazione di tartarughe residenti, grazie alla importante pescosità di questo mare (soprattutto nella zona antistante la foce del Po) che ne fanno una salvifica riserva di cibo.
Emilia Romagna e Marche sono perciò zone di altissimo interesse per le tartarughe; di questo è tristemente testimone, purtroppo, anche l’alto numero di ritrovamenti di animali sofferenti o feriti raccolti dal Centro di recupero a seguito di spiaggiamenti, arrivato fino a oltre 80 soggetti l’anno(637 curati e rilasciati sino ad ora), con punte di compresenze a ricovero che hanno superano i 40.
L’evento davvero straordinario, in questo caso, è stato l’occorrenza della nidificazione, che possiamo definire eccezionale principalmente per due motivi.
Il primo è rappresentato dal fatto che questa deposizione di tartaruga marina risulta essere quella più a nord mai registrata in Adriatico e più in generale in Italia dove, collocandosi a un passo dal 44° parallelo, batte il record segnato lo scorso anno dalla spiaggia di Rosignano Marittimo.
Non è noto ciò che abbia spinto “Luciana” a scegliere Pesaro; diverse ipotesi si fondano però sulle conseguenze del riscaldamento globale, che provocando il progressivo innalzamento delle temperature spingono le tartarughe a cercare più a settentrione quelle condizioni prima tipiche delle coste meridionali.
Il secondo è legato al momento della nidificazione. Si tratta infatti di una deposizione piuttosto tardiva, avvenuta il 30 luglio scorso, che a questa latitudine non può non destare qualche preoccupazione. La schiusa delle uova è infatti un fenomeno fortemente influenzato dalla temperatura e dalle condizioni climatiche in generale; se si considera che si calcola che le nascite avvengano fra i 45 e i 70 giorni dalla deposizione, e che quindi si entri soltanto oggi nel range temporale ove l’evento potrebbe verificarsi (tra la metà di settembre e l’inizio di ottobre), è naturale temere ad esempio che fenomeni di brusco abbassamento delle temperature o piogge fredde e insistenti, tipici di un autunno precoce e non infrequente in queste zone, possano comprometterne l’esito.
Ma certamente nulla è stato lasciato al caso. Sauro Pari ci ricorda che, pur con la sua lunga esperienza nella cura delle tartarughe marine, il centro non si era mai prima d’ora dovuto confrontare con la gestione di un nido. “Innegabilmente sorpresi ed eccitati da questo evento straordinario – continua Pari – abbiamo però da subito agito nella piena consapevolezza della sua importanza”.
E c’è a questo proposito da riconoscere a Fondazione Cetacea il merito, oltre che di un’ottima gestione dell’evento, di aver saputo creare una fitta rete di relazioni, competenze e supporto in seno alla quale ogni soggetto si è sempre prodigato per assicurare al nido le migliori possibilità di sopravvivenza. In primis la Capitaneria di Porto e i Carabinieri Forestali, la Protezione Civile, poi le autorità locali con in prima linea il Sindaco Matteo Ricci e l’assessore alla Sostenibilità Heidi Morotti, la Croce Rossa, il Parco Naturale del Monte San Bartolo della Regione Marche, le associazioni ambientaliste, ed ovviamente gli altri centri di ricerca e diversi esperti che da subito hanno messo a disposizione le loro esperienze e preziosi consigli.
Fra questi ultimi, la Fondazione ha stretto un forte collaborazione con gli esperti della stazione zoologica Anton Dhorn di Napoli, centro di eccellenza scientifica in materia di tutela e conservazione dei nidi di Caretta caretta in Italia, con i quali ha condiviso e continuerà a condividere durante le prossime settimane di incubazione delle uova tutte le informazioni e i dati disponibili per la migliore gestione dei protocolli specifici.
I rilevamenti scientifici, quotidiani e puntualmente distribuiti nell’arco di tutte le 24 ore, vanno dal prelievo della sabbia, al monitoraggio delle temperature (al suolo e a diverse profondità del nido), alla registrazione delle condizioni atmosferiche fino alla effettuazione di carotaggi per rilevare la presenza di acqua sotterranea e la sua distanza dalla base del nido, e si snodano in un fervido presidio del nido che, è assolutamente doveroso ricordare, non sarebbe stato possibile senza il prezioso contributo di tantissimi volontari (oltre duecento) che dal 30 luglio offrono ciclicamente il loro tempo e il loro impegno turnandosi giorno e notte in affiancamento alla Fondazione per controllare l’area, fornire informazioni e adoperandosi per proteggere il nido da eventi atmosferici avversi e da ogni evenienza.
“I dati analizzati dalla stazione zoologica Anton Dhorn – conclude Pari – ci indicano una previsione del tempo di schiusa, secondo gli schemi riferiti alle temperature registrate, di circa 60 giorni dalla deposizione. Per l’eccezionalità di questo evento, così unico in questa zona, mantenere il condizionale è sempre d’obbligo, ma l’innalzamento della temperatura e in generale le buone previsioni meteo per la settimana prossima ci consentono attualmente un certo ottimismo”.
Il nido di Pesaro, dunque, prosegue il suo percorso fino alla schiusa che tutta la città aspetta in un abbraccio partecipato e carico di speranza, che vorremmo fosse segnale di una non occasionale ma convinta e duratura attenzione all’ambiente, alle specie protette, alla biodiversità.
Testo di Thomas Valerio Simeoni – ARPA Marche