Con il 5G cambia il paradigma di trasmissione, che diventa centrata sull’utente, con l’evoluzione della tecnologia Mimo e il beamforming. Questo comporta alcuni interrogativi sulla metodologia di misurazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici. L’approccio delle Agenzie ambientali dovrà essere rivisto.
Sin dalla nascita della telefonia mobile, gli operatori si sono sempre espressi in termini di copertura del territorio e della popolazione per indicare la capacità del proprio sistema cellulare di raggiungere gli utenti. La copertura viene garantita tramite l’installazione di Stazioni radio base (Srb), le cui antenne generano un segnale il cui inviluppo di potenza si riduce progressivamente all’aumentare della distanza angolare tra la direzione di massima radiazione (di solito perpendicolare al piano principale dell’antenna o al più diretta verso il basso di circa 5°) e il punto di osservazione.
La direzione di massima radiazione è definita in fase progettuale ed è parametro che, insieme alla potenza, determina quale area del territorio sia coperta da una determinata cella della Srb. Secondo il paradigma attuale, la progettazione non guarda all’utente, al dispositivo mobile, ma all’area entro cui esso può circolare.
Un primo allontanamento da questo modo di vedere il concetto di copertura si è avuto con l’impiego, nella tecnologia 4G, delle tecniche Mimo (Multiple Input Multiple Output) che, grazie alla disponibilità di più antenne in ricezione e trasmissione, consente l’impiego di modalità di trasmissione che tengono conto della posizione dell’utente all’interno della cella.
Con la modalità transmit diversity si può trasmettere lo stesso segnale su due diverse antenne, confidando nel fatto che i due segnali incontreranno qualità diverse nella propagazione fra eNodeB (la Srb del sistema 4G) e User Equipment (UE), lasciando poi al ricevitore il compito di determinare, in base a opportuni parametri di qualità del canale, quale sia lo stream di qualità migliore. Con lo spatial multiplexing, invece, flussi di dati diversi vengono trasmessi su canali diversi, aumentando così il throughput del sistema, ovvero la capacità di trasmettere informazioni.
Con il 5G, il paradigma di copertura cambia ancora e diventa definitivamente user-centric. La tecnologia Mimo, già utilizzata con il 4G, si evolve in massive Mimo, che prevede un numero di antenne in trasmissione tale da riuscire a modellare il fascio, dando ai lobi di trasmissione la forma e direzione più opportuna per ottimizzare il collegamento. Questa nuova filosofia, nota come beamforming, contribuisce a realizzare un sistema di trasmissione più efficiente per un particolare utente o gruppo di utenti, che favorisce anche la riduzione delle interferenze e indirizza la potenza solo laddove ci sia una reale necessità.
Come misurare il campo elettromagnetico con il 5G
È evidente che la presenza di più lobi a copertura di un territorio anziché un unico lobo principale e di tanti lobi secondari di ampiezza decrescente pone significativi problemi e interrogativi sulle modalità più opportune per la misurazione dei livelli di esposizione al campo elettromagnetico, sia in ottica di estrapolazione a massima potenza (per la determinazione del caso peggiore di esposizione ai fini di un approccio conservativo) sia per l’estrapolazione sulle 24 ore (utile per un confronto con i limiti di attenzione e gli obiettivi di qualità).
Il CT 106 “Esposizione umana ai campi elettromagnetici” del Comitato elettrotecnico italiano (Cei), nella nuova versione (di prossima pubblicazione) dell’Appendice E “Misura del campo elettromagnetico da stazioni radio base per sistemi di comunicazione mobile (2G, 3G, 4G, 5G)” della CEI 211-7 “Guida per la misura e per la valutazione dei campi elettromagnetici nell’intervallo di frequenza 10 kHz-300 GHz, con riferimento all’esposizione umana”, affronta il problema della misura dei livelli di esposizione dovuti a sistemi 5G. Senza entrare nel dettaglio tecnico, va rilevato come la stessa Appendice evidenzi che una misura effettuata sul sistema 5G che impieghi il massime Mimo sia significativa esclusivamente per il punto misurato e non per l’intera area di copertura della cella. Ciò è la diretta conseguenza del beamforming che, come anticipato, presenta più lobi con l’obiettivo di fornire una copertura differenziata a zone diverse dell’area di pertinenza di una cella.
Se tale è la situazione per un sistema dotato di beamforming statico, si comprende come del tutto aperto sia il problema della determinazione delle metodologie di misura a minore incertezza per la valutazione dei livelli di esposizione in presenza di sistemi che implementino il beamforming dinamico, in grado di “seguire” l’utente nel suo percorso all’interno della cella.
L’approccio delle Arpa/Appa per garantire l’attività di vigilanza e controllo deve necessariamente essere rivisto e adattarsi al nuovo scenario. I due momenti principali in cui si esplica tale attività istituzionale sono la fase preventiva, ovvero quella del rilascio del parere di compatibilità della sorgente con i limiti di esposizione, di attenzione e con gli obiettivi di qualità previsti dalla normativa vigente, rilasciato sulla base del progetto presentato dall’operatore cellulare, e la fase di controllo ad impianto attivo, secondo il dettato della legge che attribuisce alle Arpa il compito di effettuare opportune attività di monitoraggio.
Attualmente le istanze dei gestori vengono valutate inserendo i parametri radioelettrici presenti nella documentazione tecnica allegata alla richiesta di parere in un opportuno software di simulazione del campo elettromagnetico generato dalla nuova Srb. Ciò è stato finora sufficiente a determinare, pur con un approccio numerico affetto, per sua natura, a incertezza, la conformità delle emissioni o la sussistenza di elementi di criticità da sanare già in fase progettuale o da sottoporre a verifica sperimentale ex post, ovvero a valle della prima attivazione.
Con la tecnologia 5G, come in precedenza indicato, il diagramma di radiazione viene modellato, potenzialmente in modo dinamico, per adattarlo alle esigenze di copertura dell’utenza più che dell’area. Se dal punto di vista ambientale ciò è sicuramente un vantaggio, poiché il campo tende a concentrarsi solo sull’utente e non interessa un’area in modo indifferenziato come nelle tecnologie fino al 4G, è pur vero che le caratteristiche di radiazione del 5G rendono più complessa la modellazione mediante software, e riducono notevolmente la significatività dell’attività di rilevazione sul campo dei livelli di esposizione, perché essa potrebbe essere attuata in condizioni di scarsa potenza irradiata sul punto di misura. A oggi le Srb con 5G per le quali è stato richiesto un parere non presentano ancora implementazioni del beamforming dinamico, limitandosi a configurazioni statiche, per cui esse vengono gestite in modo analogo alle Srb con 4G, applicando un fattore correttivo (coefficiente di riduzione della massima potenza) conservativo.
Nel momento in cui l’applicazione della tecnologia 5G sarà completata e il beamforming sarà dinamico bisognerà considerare un fattore correttivo sulle potenze in antenna per tener conto del fatto che l’esposizione in un determinato punto dello spazio si ha solo in presenza di richiesta e sarà comunque diretta funzione del numero di utenti.
Risulta evidente che l’attività preventiva diventa ancora più importante e che l’approccio deterministico utilizzato sinora dovrà mutare verso uno statistico, implementato su un insieme di dati sufficientemente ampio da garantire la significatività del valore numerico del parametro di riduzione della potenza.
Un modo potrebbe essere, in analogia con quanto accade con i siti che utilizzano il fattore di riduzione α24, di richiedere ai gestori degli impianti la registrazione dei valori di potenza trasmessa e renderli disponibili alle Arpa/Appa, possibilmente insieme alla configurazione dinamica dei lobi di radiazione.
Tuttavia, una delle principali criticità che i tecnici Arpa/Appa devono affrontare non è un problema strettamente “tecnico” o legato alla applicazione della normativa vigente, ma è relativo all’impatto psicologico che l’installazione (o la modifica) di una Srb ha sulla popolazione. Le antenne con il progredire della tecnologia sono andate sempre più riducendosi in termini di dimensione e peso, nonché potenza.
La tecnologia 5G, benché preveda antenne di potenza analoga a quelle 4G, presenta una criticità dovuta alla necessità di garantire il giusto disaccoppiamento elettromagnetico con le antenne degli altri sistemi. Ciò si può ottenere aumentando la distanza tra i sistemi radianti con l’inevitabile aumento dell’impatto visivo di una Srb, principalmente in ambiente urbano. Inoltre, nelle Srb 5G, al maggiore numero di antenne (necessario per il beamforming) si aggiunge l’integrazione degli amplificatori nel sistema radiante, con un aumento dell’ingombro totale. Le Agenzie saranno quindi chiamate a un maggiore sforzo per offrire una corretta informazione alla popolazione ed evidenziare l’assenza di una correlazione tra l’impatto visivo delle nuove Srb e gli effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici generati.
Per affrontare il problema della valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici generati da sistemi 5G con un approccio metodologicamente solido, basato su consolidate competenze scientifiche, Arpa Campania ha firmato un protocollo di intesa con il Dipartimento di Ingegneria elettrica e delle tecnologie dell’informazione dell’Università di Napoli Federico II, che ha come obiettivo lo sviluppo di attività di ricerca congiunta finalizzata allo studio delle metodologie per l’estrapolazione a massima potenza e su intervalli di 24 ore dei livelli di esposizione. Lo studio si svilupperà confrontando le prestazioni metrologiche di più metodologie per determinare quale sia quella a minore incertezza e avvierà la ricerca su base statistica dei fattori correttivi che consentano di riportare le valutazioni conservative, ovvero riferite ai massimi livelli misurati, a quelle caratteristiche di situazioni reali, ovvero rilevate in condizioni reali di traffico sostenuto dalla rete cellulare.
Giovanni Improta1, Nicola Pasquino2
1. Arpa Campania
2. Università di Napoli Federico II
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