Il controllo della radioattività ambientale nelle Marche dall’incidente di Chernobyl ad oggi

Il 26 aprile 1986 si verificò nella centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il più grave incidente nucleare della storia. Lo scoperchiamento del reattore e del suo edificio esterno provocò il rilascio nell’ambiente di una notevolissima quantità di nuclidi radioattivi sia volatili che solidi: più di 100  elementi radioattivi furono rilasciati in atmosfera (la maggior parte dei quali a vita breve e decaduti  molto rapidamente), con presenza purtroppo di elementi molto pericolosi come lo Iodio-131 (I-131), lo Stronzio-90 (Sr-90) e il Cesio-137 (Cs-137).

Durante i 10 giorni della durata del rilascio dei materiali radioattivi il vento cambiò spesso direzione investendo vari territori dell’Europa e del mondo.  In Italia il primo allarme dell’arrivo della nube radioattiva fu dato la mattina del 30 aprile 1986 dal Centro Comunitario di Ricerca di Ispra (VA) che segnalò un aumento, a partire dalle ore 6, della radioattività in aria a livello del suolo. Poiché i livelli della contaminazione al suolo dei radionuclidi sono determinati sia dalla quantità dei radionuclidi presenti nella nube sia in modo rilevante dalla concomitante presenza di precipitazioni atmosferiche, in quei giorni diversi eventi piovosi produssero aree ad alta contaminazione, anche a distanze notevolmente lontane dall’impianto nucleare.

Con un articolo pubblicato oggi sul proprio sito, a 35 anni esatti da quel tragico incidente, ARPA Marche ripercorre gli accadimenti di quei giorni e le ripercussioni registrate nel nostro Paese, soffermandosi a tracciare il quadro di quanto abbia inciso la nube radioattiva di Chernobyl sull’ambiente della regione Marche e di cosa emerga dal confronto dei dati disponibili relativi al 1986 con quelli di oggi.

La Regione Marche venne investita dalla nube radioattiva proveniente da Chernobyl, il giorno 1° maggio[1]. In Italia la contaminazione da Cs-137 al suolo si dimostrò più rilevante in particolare in tre zone, dove si registrarono livelli pari a 40 kiloBecquerel/m2 (kBq/m2): a cavallo della Dora Baltea, vicino ad Ivrea, a cavallo del ramo destro del lago di Como e nella zona dolomitica dell’alto Piave, nel Veneto ed in Friuli. Le Marche furono invece interessate da  livelli di contaminazione al suolo di Cs-137 molto più bassi, pari al massimo ad alcuni kBq/m2.

Il laboratorio di misura attivato presso il Servizio di Fisica Sanitaria della USL n. 12 di Ancona, effettuò in quell’anno una serie di analisi radiometriche su vari campioni alimentari; il grafico sottostante riporta i livelli massimi di concentrazione di attività misurati di Cs-134, Cs-137 e I-131 in alcuni campioni, espressi in Becquerel/kg (Bq/kg).

Oggi, come è possibile rilevare nel caso dei campioni alimentari analizzati nell’anno 2020, tutti i livelli di concentrazione di attività di Cs-137 sono inferiori alla Minima Attività Rivelabile, che è dell’ordine di 0.1-0.3 Bq/kg, tranne che per i funghi porcini, in cui si ha un valore pari a 1.15 ± 0.22 Bq/kg, superiore alla M.A.R. Per ciò che concerne la matrice Aria, i dati riguardanti il particolato atmosferico mostrano livelli di radioattività pari a quelli presenti in atmosfera antecedentemente all’incidente di Chernobyl.

Nelle Marche l’U.O. Centro Regionale Radiazioni Ionizzanti dell’ARPAM, oggi afferente al Servizio Laboratorio Multisito, si occupa sin dalla sua istituzione del controllo e valutazione dei livelli di esposizione della popolazione alla radioattività ambientale, implementando nel tempo sia varie tipologie di matrici ambientali e alimentari da sottoporre ad analisi che varie modalità di campionamento.

La versione integrale dell’articolo a questo link.


[1] Dati ricavati dalla simulazione delle traiettorie seguite in Europa dalla nube radioattiva a seguito dell’incidente di Chernobyl, effettuata dall’Istituto di Radioprotezione e di Sicurezza Nucleare Francese (IRSN) e visionabile in rete al seguente link: https://www.irsn.fr/en/publications/thematic-safety/chernobyl/pages/the-chernobyl-plume.aspx

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